La Commissione europea ha riaggiustato le stime sull’andamento dell’economia italiana alla luce dell’evoluzione della pandemia di Covid-19. Il Pil dell’Italia nelle previsioni economiche d’autunno, caratterizzate quest’anno da un livello elevatissimo di incertezza, è visto in calo del 9,9% nel 2020, meno dell’11,2% previsto nel luglio scorso, mentre per il 2021 si stima un rimbalzo del 4,1%, meno del 6,1% atteso in luglio. Per il 2022 la crescita è vista al 2,8%.
Il quadro peggiora per tutti i Paesi membri. È la Spagna il Paese Ue con il calo del Pil più accentuato quest’anno (-12,4%), seguita da Italia (-9,9%), Croazia (-9,6%), Francia (-9,4%) e Portogallo (-9,3%). Secondo le nuove stime della Commissione, la Grecia cala invece del 9%, il Belgio dell’8,4%, la Germania del 5,6%.
Il debito pubblico italiano schizza verso l’alto in rapporto al Prodotto Interno Lordo, salendo al 159,6% nel 2020, dal 134,7% del 2019 (in crescita dal 134,4% del 2018 e dal 134,1% del 2017), per poi assestarsi al 159,5% nel 2021 e al 159,1% nel 2022. Il deficit sale dall’1,6% del 2019 al 10,8% del 2020, per poi calare al 7,8% nel 2021 e al 6% nel 2022.
È improbabile, spiega il documento della Commissione, che la ripresa «sia sufficiente affinché la produzione reale torni ai livelli pre-pandemia entro il 2022». Così come la speranza in una ripartenza a V, cioè con un forte rimbalzo che ci riporti rapidamente al livello di partenza, è stata archiviata dal commissario europeo all’Economia Paolo Gentiloni, presentando in videoconferenza stampa a Bruxelles le previsioni economiche: «Non abbiamo mai fatto affidamento su una ripresa a V. E ora sappiamo con certezza che non ce l’avremo», ha detto.
Tuttavia, continua la Commissione, dopo la fine del blocco, l’economia italiana si è ripresa rapidamente, guidata dall’edilizia e dal settore manifatturiero, che ad agosto avevano entrambi superato i livelli di gennaio. Un fragile rimbalzo che secondo la Commissione fa della domanda interna la spina dorsale della ripresa (anche se soggetta a battute d’arresto causate dalla pandemia). Le indagini sulle famiglie, infatti, indicano che con il riemergere del virus si è indebolita «la fiducia ed è probabile che un’elevata incertezza manterrà i risparmi delle famiglie al di sopra dei livelli pre-pandemici».
I consumi privati invece dovrebbero rafforzarsi nuovamente nel corso del 2021, aiutati anche dal nuovo bonus famiglia. Così come la spesa in conto capitale è prevista in forte ripresa nei prossimi due anni, anche grazie agli investimenti pubblici e agli incentivi fiscali. Mentre la futura spesa relativa al Recovery and Resilience Facility costituisce un rischio al rialzo.
Inoltre, continua il documento, dopo un forte calo, le esportazioni di merci dovrebbero riprendersi, limitando le perdite di quote di mercato. Anche se «è improbabile che le esportazioni di servizi, in particolare il turismo, si riprendano completamente entro il 2022».
Gentiloni poi avverte: «La pandemia potrebbe aggravarsi e durare più a lungo. In questo caso, nel 2021 occorreranno misure di contenimento più stringenti e prolungate, cosa che porterebbe a una crescita più bassa e ad una disoccupazione più elevata, lasciando cicatrici più profonde nelle imprese».
C’è poi il nodo delle finanze pubbliche. «I ricavi delle imposte indirette dovrebbero diminuire per effetto del calo dei consumi privati» si legge nel documento e «il deterioramento del mercato del lavoro, seppur contenuto dal sostegno pubblico, implica minori entrate da imposte dirette e contributi previdenziali». Le entrate del governo, però, dovrebbero beneficiare della ripresa dell’attività economica, mentre la spesa pubblica è destinata a diminuire, poiché la maggior parte delle misure di sostegno adottate nel 2020 erano temporanee.
La Commissione sottolinea anche le principali misure programmate per aumentare il supporto al nostro Paese: «l’estensione del sostegno pubblico ai settori più colpiti dalla crisi, un taglio dei contributi previdenziali per le imprese che operano nelle regioni più povere, l’introduzione di un bonus familiare e risorse aggiuntive per la sanità, l’istruzione e la ricerca» si legge. Secondo il documento, in un’ipotesi di non cambiamento delle politiche, nel 2022 il disavanzo pubblico dovrebbe scendere ulteriormente al 6% del PIL, sostenuto dalla crescita economica e dal miglioramento del mercato del lavoro.