Bifrontismo bacchettoneL’incoerente doppia vita degli omofobi in politica e nella Chiesa

Lo scandalo dell’eurodeputato sovranista ungherese Jozsef Szajer, coinvolto in un orgia con 24 uomini, è solo l’ultimo caso di un periodo nero per i conservatori impegnati nel distruggere i diritti delle persone Lgbti+ che si sono trovati davanti a un outing tanto difficile quanto liberatorio

Un effetto perdurante della congiunzione astrale tra Giove e Plutone che, avvenuta il 12 novembre, significherebbe rivelazione di segreti inconfessabili. O, magari, il ritorno di Nettuno, il pianeta del caos e delle illusioni, al moto diretto e, dunque, alla realtà a partire dal 29 successivo. Come che sia e con buona pace della libellistica astrologica online, la fine di novembre e gli inizi di dicembre restano il periodo nero per i conservatori duri e puri dalla doppia morale come József Szájer, George Rutler, Petras Gražulis. Periodo nero per chi, a parole, è paladino della famiglia tradizionale, dei valori cosiddetti non negoziabili di ratzingeriana memoria, dell’opposizione alla «deriva omosessualista», nella pratica, invece, se ne infischia forse convinto, con senso di megalomane impunità, che quod licet Iovi, non licet bovi.

Autoidentificandosi ovviamente in Giove e ravvisando nella massa il bue, lo stesso arriva così a enervare quel messaggio di Cristo, alle cui radici si proclama di voler ricondurre la società, e a capovolgerlo imponendo sulle spalle altrui fardelli che il neocrociato non vuole muovere neppure con un dito. Insomma, ipocrisia allo stato puro e dissimulazione disonesta.

A incarnare appieno questi (dis)valori è sicuramente l’europarlamentare ungherese József Szájer, il cui caso, divenuto noto a livello mondiale e arricchitosi di ulteriori particolari negli ultimi giorni, può considerarsi da manuale. Cofondatore di Fidesz e anima della riforma costituzionale magiara del 2011, il cui comma 1 della lettera L ha recepito la definizione di matrimonio quale sola unione tra un uomo e una donna, il fedelissimo di Viktor Orbán annunciava il 29 novembre che, a causa della crescente tensione mentale, si sarebbe dimesso da europarlamentare a partire dal 31 dicembre.

Salvo ammettere due giorni dopo, esplosa la tempesta mediatica, di aver partecipato a un’orgia con 24 maschi nella notte tra il 27 e il 28 novembre ed essere stato multato, al pari degli altri, dalla polizia brussellese per violazione delle norme per il contenimento del Covid-19. Il ritrovamento di una pillola di ecstasy nello zainetto personale – ma a sua insaputa perché, così nella dichiarazione, non avrebbe mai fatto uso di droghe, che pure i partecipanti all’orgia avevano ampiamente assunto -, i dettagli della fuga rocambolesca attraverso la grondaia, gli screen dei messaggi in cui si dichiarava «così eccitato» all’idea di partecipare all’ammucchiata maschile, l’imbarazzo di Orbán che, elogiando «il duro lavoro negli ultimi 30 anni» dell’europarlamentare, ne ha formalizzato la fuoriuscita “volontaria” dal partito, la scontata narrazione complottistica dei media filogovernativi sullo zampino dell’immancabile George Soros e di potenze straniere avverse ai valori cristiani di Fidesz, completano il quadro.

E mostrano ancor più la inescusabilità di Szájer, ultimamente impegnato nell’ennesima battaglia in difesa della famiglia tradizionale. Quella, cioè, che, emendando la Costituzione magiara – se andrà in porto sarà la nona riforma della Carta in nove anni -, vieterà, fra l’altro, l’adozione di minori da parte di coppie di persone dello stesso sesso in quanto la genitorialità viene definita come specifica della madre-donna e del padre-uomo. In una Corte Costituzionale, completamente asservita a Orbán, siede inoltre come giudice dal 1° gennaio Tünde Handó, moglie di Szájer, sotto accusa delle opposizioni per la gestione arbitraria dell’Obh, l’Ufficio nazionale giudiziario, di cui è stata presidente nel settennio 2012-2019.

Di George Rutler e Petras Gražulis si è invece appreso agli inizi di dicembre. Il primo, un sacerdote cattolico di 75 anni, esponente di spicco del conservatorismo statunitense antibergogliano e parroco dal 2013 della comunità di St. Michael Archangel in Manhattan, è stato filmato da Ashley Gonzalez, una guardia di sicurezza 22enne, mentre nel suo studio guardava un porno gay e si masturbava. La giovane ha accusato il presbitero di averla poi assalita fisicamente nel tentativo di un approccio sessuale prima che riuscisse a divincolarsi.

Rutler, che il 20 novembre è stato provvisoriamente sollevato dagli incarichi pastorali essendo in corso le indagini, ha respinto ogni addebito. Autore di oltre 30 libri, speaker della rete televisiva Ewtn e collaboratore del National Catholic Register, il sacerdote si è distinto negli ultimi anni per le critiche violente contro Francesco, paragonato nel 2018 a Neville Chamberlain, il disprezzo verbale verso i liberal e le descrizioni di abortisti e sodomiti quale fronte unico in una lotta di morte e autodistruzione. 

Al limite del grottesco la disavventura capitata il 2 dicembre a Petras Gražulis, deputato del Seimas, il Parlamento monocamerale lituano, e componente del partito nazionalista Ordine e Giustizia (Tvarka ir teisingumas): quando, dopo difficoltà di ordine tecnico per la video-conferenza con la Commissione Cultura, è riuscito finalmente a collegarsi, è apparso in compagnia di un giovane a torso nudo, che forse lo stava aiutando a risolvere il problema. Pochi secondi e poi la cam si è spenta. Ma la frittata ormai era fatta.

Infastidito dalla risonanza sui media, che chiedevano di sapere chi fosse l’uomo misterioso accanto a lui, Gražulis ha stupidamente cambiato la versione dei fatti nel giro di un’ora. Prima dicendo che si trattava di suo figlio, poi puntando il dito contro il noto conduttore televisivo Andrius Tapinas, che, a suo dire, lo perseguiterebbe da mesi. La replica del giornalista, affidata ai social, non si è fatta attendere e ha messo ancor più in ridicolo un politico ultracattolico, così ossessionato dalle persone Lgbti+ da aver proposto nel 2010 una legge contro la cosiddetta propaganda omosessuale e tentato di bloccare il Pride di Vilnius. Senza contare la costante equiparazione dell’omosessualità alla pedofilia, alla zoofilia, alla cleptomania, alla tossicodipendenza e la richiesta di espulsione di gay e lesbiche dalla Lituania.

Considerando questi tre casi, anche se gli ultimi due presentano ancora contorni da chiarire, vengono alla mente le parole di Bergoglio che, pronunciate il 24 ottobre 2016, sono state poi più volte dallo stesso pontefice riutilizzate in forma adattata: «Dietro la rigidità c’è sempre qualcosa di nascosto, in tanti casi una doppia vita; ma c’è anche qualcosa di malattia». Più che di malattia sarebbe meglio parlare di omofobia interiorizzata. Ossia, come spiega Vittorio Lingiardi, l’insieme di sentimenti e atteggiamenti negativi, dal disagio al disprezzo, che una persona prova nei confronti della propria e altrui omosessualità avendone accettato, più o meno consapevolmente, relativi pregiudizi, comportamenti discriminatori e stigma sociale.

I tre recenti casi sono esemplificativi di quanto la martellante rivendicazione dei valori cristiani o l’integrità dottrinaria conclamata rappresentino un percorso di autoredenzione e legittimazione per chi vive l’attrazione verso le persone dello stesso sesso come un dramma da esorcizzare. Ma, a lungo andare, l’adesione alle istanze di partiti conservatori per chi fa politica e la difesa della “sana dottrina” per chi esercita il ministero presbiterale si riduce a un comodo paravento, dietro cui nascondere un’omosessualità o bisessualità disinvoltamente praticate. Scindere infatti ortodossia e ortoprassi è questione d’un attimo soprattutto per chi, presto o tardi, deve fare i conti con sé stesso, col proprio orientamento, con la propria condizione che non riesce più ad accettare come “non naturale” e inferiore in tema di diritti.

E così, mentre calpestano i diritti delle persone Lgbti+ e si scagliano contro le stesse con inusitata violenza verbale, i severi censori applicano poi per sé un opposto standard. Magari, come osservato dall’europarlamentare francese Manon Aubry in riferimento a Szájer, godendo a Bruxelles di quelle libertà e diritti della comunità Lgbti, che in patria si è invece impegnato a negare o limitare. Non tutti, però, sono capaci di condurre bellamente una doppia vita.

Quella di quanti, come scriveva icasticamente Innocenzo III nel De contemptu mundi, «abbracciano di notte Venere, mentre di giorno venerano la Vergine Maria». Per chi ha un briciolo di onestà intellettuale, si arriva a un punto tale di stanchezza, frustrazione, delusione nel mentire a sé e agli altri da non reggere più e da intraprendere la strada del coming out tanto difficile quanto liberatoria e pacificante. Difficile, invero, laddove si consideri a quali difficoltà, incomprensioni e disumanità ci si esporrebbe con un tale passo nella famiglia politica d’appartenenza o nella comunità cattolica.  

Non è un caso, per restare all’Italia, che si conti sulle dita il numero di parlamentari dichiaratamente gay, lesbiche o trans nel corso delle varie legislature. Attualmente ce ne sono soltanto tre, Tommaso Cerno (Gruppo Misto), Ivan Scalfarotto (Italia Viva) e Alessandro Zan (Partito democratico), e tutti collocabili in area di centro e centro-sinistra. Eppure, solo due anni fa Alessandro Cecchi Paone, che nel 2012 aveva parlato di alta percentuale nel centro-destra di politici omosessuali «tutti nascosti e tutti contro i diritti gay», osservava che nel Governo Conte I c’erano tre ministri omosessuali, due del M5s e uno della Lega. I quali, ovviamente, siedono ancora in Parlamento e si guardano bene dal fare coming out, preferendo che se ne vociferi come si usava nella Democrazia cristiana, quando Emilio Colombo, Mariano Rumor e Fiorentino Sullo erano chiamati le «Sorelle Bandiera». 

Non si tratta, detto in tutta chiarezza, di un modus agendi proprio di uomini o donne di partiti di una specifica area politica. Anche perché, per l’addietro, le sinistre nel mondo hanno ampiamente avversato qualsivoglia forma di tutela per omosessuali e talora sostenuto, in alcuni Paesi, la criminalizzazione dei rapporti tra persone dello stesso sesso. D’altra parte, benché sia migliorata ampiamente negli ultimi 25 anni, non può dirsi propriamente idilliaca la loro situazione in Cina sotto l’egida dell’inossidabile Pcc. Inoltre, per fare qualche esempio, in Germania il matrimonio egualitario è divenuto legale grazie alla Cdu di Angela Merkel, mentre in Norvegia il diritto al cambio legale di genere o la revoca del divieto di donare sangue agli Msm (maschi che fanno sesso con maschi) sono risultati ottenuti dall’Høyre: in entrambi i casi, due partiti di centro-destra. 

Il problema si pone coi partiti nazionalisti, sovranisti e, soprattutto, cristiano-conservatori d’estrema destra, che perseguono, fra l’altro, un programma anti-Lgbti+. A loro interno l’unico modo per collocarsi ed emergere è quello scelto da József Szájer, salvo poi partecipare a un’orgia maschile, farsi beccare dalla polizia ed essere così oggetto di un outing umiliante. Non mancano però, benché rari, esempi contrari anche nell’area “fascia”. Alice Weidel, leader di Alternative für Deutschland (Afd), dichiaratamente lesbica e compagna della produttrice svizzera d’origine srilankese, Sarah Bossard, con cui ha adottato due figli, ha invece più volte dichiarato che è stata proprio la sua vita personale ad averne influenzato le scelte politiche puntando il dito contro «l’immigrazione omofoba musulmana rischio per il nostro avvenire».

Al di là della violenta islamofobia, che la allinea ad altre/i leader di partiti di estrema destra anche italiani, Weidel, che aveva ampiamente criticato la legalizzazione del matrimonio egualitario in Germania, così affermava in un’intervista a David Berger per Philosophia Perennis: «Vivo con una donna e alleviamo figli insieme. Sulla base della mia esperienza personale, accolgo generalmente con favore maggiori diritti per le coppie dello stesso sesso e, in caso di dubbio, anche contro l’opinione maggioritaria del mio partito.
Emerge dunque che l’avversione alla nuova norma è in ottica di contrapposizione alla Cdu e di spostamento d’attenzione, in chiave antimusulmana, all’aumento di attacchi omofobici in modo massiccio. Vedi, alla fine della giornata i gay e le lesbiche in questo paese non si preoccupano se la loro relazione si chiama “unione civile” o “matrimonio” quando difficilmente possano fidarsi di andare a braccetto nelle grandi città».

Ora, benaltrismo e ossessione contro i migranti a parte, sono sicuramente concetti che mai troveremo espressi da Giorgia Meloni Matteo Salvini come lo stesso modello esperienziale e familiare di Weidel tra le file di parlamentari di Fratelli d’Italia e Lega.