Deep churchIl mancato esame di coscienza dei vescovi cattolici pro-Trump

Papa Francesco dovrebbe prendere una posizione più chiara verso il cardinale di New York, Timothy Dolan, che negli ultimi mesi ha condotto una campagna denigratoria contro Joe Biden. E anche sui porporati che in questi anni hanno ampiamente legittimato il presidente uscente pesa la colpevolezza di quanto successo a Washington

LaPresse

«Nulla si guadagna con la violenza e tanto si perde». Le parole di Papa Francesco all’Angelus nel condannare l’assalto a Capitol Hill sembrano riecheggiare il «Nulla è perduto con la pace. Tutto può esserlo con la guerra», con cui Pio XII stigmatizzò, il 24 agosto 1939, l’imminente inizio del secondo conflitto bellico mondiale. Se di questo il principale responsabile fu Adolf Hitler, del primo, mutatis mutandis, ne è indubitabilmente Donald Trump. Jorge Bergoglio non lo cita mai come non l’ha fatto nella videointervista rilasciata a TG5, i cui contenuti sono stati anticipati due giorni fa prima della messa in onda domenica 10 gennaio. Ma non ha esitato a puntare il dito contro un movimento e gruppi para regolari da condannare, ai cui componenti lo stesso presidente uscente non aveva esitato a esprimere il suo amore, la sera di quel fatidico 6 gennaio, 

All’indomani dell’assedio ci aveva però pensato L’Osservatore Romano a indicare «le responsabilità individuali, soprattutto da parte di chi detiene il potere ed è in grado, attraverso una narrazione polarizzante, di mobilitare migliaia di persone» e a vituperare un «trumpismo destinato a lasciare un solco profondo nella scena politica a stelle e strisce». D’altra parte Bergoglio, che all’Angelus ha preferito puntare su un appello al rasserenamento degli animi e alla riconciliazione nazionale, è stato sempre lucido nel suo giudizio su Trump.

Il mondo cattolico e, in particolare, l’episcopato statunitense avrebbero forse dovuto tenere a mente e regolarsi sin da subito sulle parole dette dal Papa nel 2016: «Una persona che pensa solo a costruire muri – di qualsivoglia natura siano – e non ponti, non è un cristiano». Ma una larga parte ha scelto di non farlo, preferendo sostenere ed esaltare il «grande gentiluomo» Trump, come lo aveva definito il 25 aprile scorso il cardinale arcivescovo di New York Timothy Dolan, e condurre, negli ultimi mesi, una vera e propria campagna denigratoria nei riguardi del cattolico Biden. 

Il 25 aprile 2019 era stato il giorno degli elogi sperticati non solo di Dolan – che il 24 agosto avrebbe poi aperto la Convention repubblicana con la preghiera di rito – ma anche di buona parte dell’alto clero cattolico statunitense, invitato a una specifica conference call organizzata da Trump. Il tutto per spiattellare agli oltre 600 partecipanti, entusiasticamente adoranti, la volontà di continuare a sostenere la Chiesa cattolica in questioni per essa vitali come la lotta all’aborto, la tutela della libertà religiosa e il diritto alla scelta scolastica.

Tra i presenti anche il cardinale Sean Patrick O’Malley, i vescovi Thomas Joseph Tobin (Providence), Richard Frank Stika (Knoxville) e Joseph Edward Strickland (Tyler), tutti e tre accomunati nei mesi successivi da violente reprimende ai cattolici messi in guardia dal votare il pro-choice Biden, e l’opusdeaiano José Horacio Gómez, arcivescovo di Los Angeles e presidente della Conferenza episcopale statunitense. Il quale Gómez, a nome dell’intero episcopato a stelle e strisce, ha sì condannato con durezza il 7 gennaio l’assalto a Capitol Hill ma senza mai menzionare Trump.

Su tanti di loro, e presto o tardi dovranno farsene carico, pesa l’innegabile colpevolezza di quanto successo a Washington. In un durissimo editoriale del 7 gennaio il National Catholic Reporter ha detto senza giri di parole: «Gli apologeti cattolici di Trump hanno il sangue sulle mani», facendo subito notare: «Troppi elettori cattolici si sono accontentati di sostenere Trump in cambio di agevolazioni fiscali o di giudici della Corte suprema o di sussidi per le scuole cattoliche. Molte di queste persone sono state plasmate dai media cattolici di destra, siano preti canaglia su Twitter, siti web come Church Militant o LifeSiteNews o il gruppo di media cattolici Eternal Word Television Network (Ewtn)».

Ricordando poi come «non deve esserci alcun nazionalismo cattolico bianco. E un movimento pro-vita che abbraccia il nazionalismo bianco non è un vero movimento a favore della vita», il noto quindicinale cattolico ha lanciato l’appello: «Mentre alcuni prelati hanno sempre parlato, la Conferenza episcopale, come organo, deve confessare pubblicamente ed espiare la sua complicità nel conferire potere al presidente e al Partito Repubblicano in questa violenza e nel denigrare il Partito Democratico. I vescovi statunitensi potrebbero iniziare sciogliendo quel comitato ad hoc avversario sul presidente eletto Joe Biden e utilizzare le sue varie risorse per cambiare il modo in cui discutiamo di cosa significa essere cattolici pro-vita. Un movimento pro-vita che non vuole esclamare: “Le vite dei neri contano” (Black Lives Matter, ndr) non è un movimento a favore della vita».

Sulla stessa linea anche il gesuita James Martin, consultore del Dicastero vaticano per la Comunicazione, che il 6 gennaio aveva subito commentato sui social: «Questo è il momento per i leader cristiani di ammettere la loro parte nelle violenze a Capitol Hill. Quando definisci le elezioni come “il bene contro il male”, diffami i candidati e dici che votare per un determinato candidato è un “peccato mortale”, incoraggi le persone a pensare che le azioni di oggi siano morali».

Parole, queste, che chiamano in causa più di tutti, per l’esplicita gravità delle dichiarazioni, l’ex nunzio apostolico negli Usa Carlo Maria Viganò, che, in una farneticante intervista rilasciata il 4 gennaio a Steve Bannon per The National Pulse  aveva nuovamente parlato di frodi elettorali, di progetto infernale del Great Reset in cui sono parimenti coinvolti il Deep State che ha espresso Biden-Harris e la Deep Church di Bergoglio, di assalto di tali figli delle tenebre per instaurare il Nuovo Ordine Mondiale, di necessità per i figli della luce di combattere «con coraggio per difendere i diritti di Dio, della Patria e della famiglia» perché a essi «il Signore assicura la Sua protezione».

Se si tiene in conto della consentaneità di un tale messaggio con la visione del mondo di QAnon e di quanto poi successo solo due giorni dopo a Washington, sarebbe forse ora che Oltretevere prenda una posizione più chiara nei riguardi del cappellano dei trumpiani e forse anche di chi, a partire dal potente Ewtn, lo ha in questi anni ampiamente legittimato.

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