La Russia di inizio Novecento ha regalato al mondo due grandi collezionisti di arte moderna, Sergej Ščukin e Ivan Morozov. Nonostante la storia delle acquisizioni di Morozov sia ben documentata, è stato Ščukin ad attirare per primo la curiosità dei biografi. La sua tragica storia familiare, con ben tre suicidi, non gli aveva impedito di mettere insieme una raccolta di pittura francese di livello straordinario, e non poteva non appassionare.
Quando Beverly Whitney Kean per prima iniziò a fare ricerche sulla vita dei due collezionisti moscoviti, il figlio e la figlia maggiori di Ščukin erano ancora in vita e fece quindi in tempo a intervistarli. Il suo libro “All the Empty Palaces”, uscito nel 1983, ha per protagonista Sergej Ivanovič Ščukin e la sua passione per l’arte, e solo un breve capitolo è dedicato a Ivan Morozov, a suo fratello Michail, anche lui collezionista, e al ben più famoso cugino, Savva Timofeevič, uomo d’affari per nulla interessato all’arte.
Il piccolo ed esile Sergej Ivanovič ha oscurato il corpulento Ivan Abramovič a tal punto che il valore della collezione di Morozov aveva come metro di giudizio quella di Ščukin: «Gli stessi maestri di Ščukin ma con un tocco morozoviano» diceva il critico russo Abram Efros. Indubbiamente la raccolta di Ščukin, che aveva portato a Mosca decine di tele di Derain, Matisse e Picasso, è più audace e radicale di quella di Morozov, che in compenso presenta praticamente tutto il panorama della pittura a cavallo dei due secoli, non solo francese ma anche russa, una caratteristica che la rende unica.
Per quanto possa suonare strano, all’epoca non esistevano collezionisti dediti alla nuova pittura francese, né in Europa né in America. Gli americani facoltosi si concentravano esclusivamente sugli impressionisti e Albert Barnes, che con le sue imponenti acquisizioni finì per staccare di parecchie lunghezze i grandi collezionisti russi, ne avrebbe iniziato la raccolta solo dopo la Prima guerra mondiale.
All’inizio del xx secolo gli unici “concorrenti” dei moscoviti erano Leo e Gertrude Stein che, pur non avendo la disponibilità finanziaria dei mercanti russi, riuscirono a batterli sul tempo diventando i primi acquirenti diMatisse e Picasso. Gli Stein agivano d’impulso, sulla scia di improvvisi innamoramenti cui seguivano altrettanto improvvise delusioni, un modo di fare che alla fine portò alla dissoluzione della loro collezione. Ivan Morozov, che sicuramente non perse l’occasione di visitare il salotto parigino dei due americani, riuscì a conquistarsi Bambina sulla palla di Picasso, che un tempo era stata appesa nello studio di rue de Fleurus.
A differenza degli Stein, il collezionista russo si accostava a un nuovo artista con cautela, per poi acquistare le sue opere senza badare a spese. Morozov sembrava avere in mente non solo la lista dei nomi necessari a completare la sua raccolta, ma perfino un progetto su come esporli nel suo palazzo.
La sua collezione privata, che fino all’inizio della Prima guerra mondiale fu accessibile solo a pochi eletti, era di fatto un autentico museo dell’arte francese di inizio Novecento, che non aveva nulla da invidiare a quello creato da Sergej Ščukin per i modernisti francesi.
Ivan Morozov morì per un attacco di cuore nell’estate del 1921 a Karlsbad, dove si era recato per curarsi. Non aveva neppure cinquant’anni. La moglie e la figlia avrebbero voluto portare la salma a Parigi ma non fu possibile, e Ivan Abramovič Morozov fu sepolto nel cimitero locale. Con il passare del tempo il marmo della lapide si annerì e le scritte in russo finirono per leggersi a fatica.
da “Morozov e i suoi fratelli. Storia di una dinastia russa e di una collezione ritrovata”, di Natalia Semënova, (traduzione di Anna Zafesova) Johan & Levi Editore, 2020, 240 pagine, 30 euro