Mentre il Conte Bis boccheggia in attesa di un destino, il governo del suo grande rivale della scorsa estate, il Rutte Ter, è già finito. Il primo ministro olandese Mark Rutte ha presentato al Re dei Paesi Bassi le dimissioni in massa di tutto il suo esecutivo, un gesto insolito ma non senza precedenti. Successe anche quando un rapportò svelò le responsabilità militari e politiche olandesi per il massacro di Srebrenica, in Bosnia. Insomma, una mossa simbolica estrema, riservata alle occasioni più drammatiche. Il governò rimarrà in carica fino a quando non ne sarà nominato un altro, con scopo e vita comunque brevi.
Il 17 marzo si vota nei Paesi Bassi e nonostante le dimissioni e lo scandalo che le ha originate, il consenso di Rutte è ancora alto nei sondaggi e tutto fa pensare a una nuova vittoria. In pratica, Teflon Mark, il politico più inossidabile d’Europa dopo Angela Merkel, potrebbe farcela ancora una volta. Sarebbe una prova di resilienza politica enorme, almeno quanto l’imbarazzo per il disastro che ha messo fine al suo governo.
Per anni le autorità fiscali hanno vessato decine di migliaia di famiglie olandesi, andando a caccia di presunte (e inesistenti) irregolarità negli indennizzi concessi per l’assistenza ai bambini. Il rapporto che ha dato origine alla valanga si intitola Ingiustizia senza precedenti e usa toni netti nel descrivere lo scandalo: «le autorità hanno dato ingiustamente la caccia alle famiglie e hanno reso il governo nemico del proprio stesso popolo». Rutte ha riconosciuto la portata dello scandalo: «Persone innocenti sono state criminalizzate e le loro vite sono state rovinate», ha ammesso ai giornalisti.
Gli effetti sociali ed economici sulle famiglie trattate come truffatrici e costrette senza a motivo a rimborsare anni di indennizzi sono stati devastanti: case perse, bancarotte, divorzi. Dodici di queste famiglie hanno già fatto causa al governo, tirando direttamente in ballo il coinvolgimento e la negligenza di tre ministri di Rutte. Tra questi c’è Wopke Hoekstra, responsabile delle finanze, il «poliziotto cattivo» del governo, stesso che aveva duramente attaccato l’Italia e gli altri paesi del Sud europea durante l’avvicinamento alle trattative per stabilire i fondi NextGenerationEu, il piano da 750 miliardi della Commissione europea.
Uno degli aspetti chiave di questo scandalo è che la stessa autorità fiscale chiamata in ballo ha dovuto ammettere che metà delle famiglie coinvolte era stata selezionata per i controlli in base a una evidente profilazione razziale. Sono stati 11mila i nuclei sottoposte a indagini vessatorie per il solo motivo di essere di doppia nazionalità. Dopo essere finiti sotto la lente dei controlli del fisco, bastavano un errore di calcolo, uno sbaglio di procedura, una firma messo nello spazio sbagliato, per trovarsi sanzionati e costretti a rimborsare gli assegni. Qualsiasi errore amministrativo veniva visto come doloso, un volto spietato mostrato dalle istituzioni olandesi nei confronti dei cittadini che non sembra tanto distante dall’inflessibilità mostrata in campo europeo.
La storia era nota da mesi, poi è stata scavalcata nelle priorità politiche dalla pandemia e dalle battaglie europee di Mark Rutte, ma già a marzo il governo aveva accantonato 500 milioni di euro per le famiglie colpite, 30mila euro per nucleo familiare. Dal punto di vista politico la pubblicazione del rapporto è stata comunque una deflagrazione: i quattro partiti che formano l’attuale coalizione di governo hanno preferito le dimissioni a un voto di sfiducia che sarebbe inevitabilmente arrivato in Parlamento. Paradossalmente, queste dimissioni così drammatiche e spettacolari avvantaggiano Rutte e gli permettono di diluire le responsabilità tra i quattro partiti al governo, un modo per attribuire la falla a una cecità del sistema e non sue specifiche colpe politiche.
Questo scandalo non lo danneggerà. Ciò che invece potrebbe causare seri problemi alle urne è la gestione della pandemia e soprattutto della campagna di vaccinazione, che in Olanda è cominciata in modo disastroso. Il paese è stato l’ultimo nel continente a iniziare, perché tutto il piano del Rutte ter era basato, come da noi, sul vaccino AstraZeneca, mentre niente era pronto per la catena del freddo richiesta da Pfizer. Il 27 dicembre, il D-Day del vaccino, nessuna somministrazione è stata fatta in Olanda, cosa che ha permesso al populista Geert Wilders di affermare: «Siamo gli scemi del villaggio d’Europa». La campagna è iniziata con due settimane di ritardo, un disastro di immagine per Rutte.
La sua forza politica al momento è tutta nella debolezza dei rivali. I populisti Wilders e Baudet continuano a mangiarsi voti a vicenda, anche se Wilders al momento è al secondo posto nei sondaggi. I Cristiano-democratici hanno perso la leadership: Hugo de Jonge, ministro della salute, ha rinunciato a guidare il partito alle elezioni perché troppo impegnato nella lotta al Covid. I Laburisti sono stati coinvolti dallo stesso scandalo che ha fatto crollare il governo. Lodewijk Asscher, che avrebbe dovuto portarli alle urne, si è dimesso dalla guida del partito per il suo ruolo come Ministro degli affari sociali nel Rutte bis. Il nome a sorpresa per la sinistra olandese potrebbe essere quello di Frans Timmermans, commissario europeo per il Green Deal. Potrebbe essere l’uomo giusto per sfidare Rutte, ma secondo il Financial Times nemmeno lui se la sentirebbe di sfidare Teflon Mark.