OneCoinLo strano caso della criptovaluta bulgara che ha ingannato il mondo

L’imprenditrice Ruja Ignatova, soprannominata cryptoqueen ha ideato una delle più grandi truffe piramidali degli ultimi decenni. La sua storia potrebbe diventare un film con protagonista Kate Winslet

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La notizia ha iniziato a circolare lo scorso ottobre: la Metro Goldwin Mayer una delle storiche major di Hollywood, ha iniziato a lavorare a un film (titolo provvisorio, “Fake!”) ispirato alla storia dell’imprenditrice bulgara Ruja Ignatova – già ribattezzata cryptoqueen – ideatrice e volto di OneCoin, la criptovaluta che nelle intenzioni doveva cambiare il mondo, e che invece si è rivelata una delle maggiori truffe piramidali degli ultimi decenni.

A quanto pare, il ruolo principale sarà affidato a Kate Winslet, l’indimenticabile diva di Titanic. E in fondo, sembra esserci un legame simbolico sottile, ma concreto: anche stavolta si parla di un drammatico naufragio, di una catastrofe, anche se stavolta non marittima, ma finanziaria.

Nascita di una cryptoqueen
Quella di Ruja Ignatova è una storia fatta di idee apparentemente rivoluzionarie, grandi eventi di promozione, luci scintillanti, slogan studiati e accattivanti, ma dal finale ancora tutto da scrivere: dopo l’apparire delle prime crepe nel castello dorato di OneCoin, nel 2017 la Ignatova è sparita nel nulla, e da allora se n’è persa ogni traccia. Insieme a lei, sono spariti anche circa quattro miliardi di dollari, che investitori entusiasti da 175 paesi diversi avevano affidato alla regina delle criptovalute, senza però mai più rivedere il proprio denaro.

Come molte delle storie che catturano l’immaginazione, diventando materia prima per l’industria cinematografica, anche quella di Ruja (o Ruzha) Ignatova nasce piuttosto in sordina. La futura – autoproclamata – regina delle criptovalute nasce a Sofia nel 1980, ma ad appena dieci anni, pochi mesi dopo la caduta del muro di Berlino, si trasferisce con la famiglia in Germania (e più precisamente nella città di Schramberg, Baden-Württemberg) per poi laurearsi in Economia all’Università di Costanza.

Chi la conosce da vicino la definisce già allora una donna estremamente intelligente, decisa, in grado di presentare in modo convincente e arguto le proprie idee e convinzioni. La Ignatova si costruisce un background di tutto rispetto, continuando gli studi ad Oxford e iniziando la propria carriera lavorando per la McKinsey and Company, una delle principali compagnie mondiali di consulenza manageriale.

Nel 2012 arrivano però i primi passi falsi: un complesso metallurgico in Baviera, che Ruja aveva acquistato insieme al padre Plamen Ignatov dichiara bancarotta, in circostanze sospette. Interviene la magistratura, che la condanna a quattordici mesi (con la condizionale) per frode, mentre l’amministratore fiduciario del complesso la accusa di aver sottratto alla compagnia almeno un milione di Euro.

L’incidente viene però presto dimenticato, e l’anno dopo la Ignatova si lancia per la prima volta nel settore, nuovo e promettente, delle criptovalute: insieme allo svedese Sebastian Greenwood lancia “BigCoin”, che però avrà vita breve. La Ignatova non si dà per vinta, per lei è solo un primo passo: nel 2014, sempre insieme a Greenwood, la futura “regina delle criptovalute” è già pronta a rilanciare, creando il progetto che la renderà insieme famosa e famigerata a livello globale: OneCoin.

La carica delle criptovalute
Il lancio di OneCoin sfrutta le aspettative e le speranze generate dalla creazione delle criptovalute, la più nota delle quali, “BitCoin” ha fatto il suo esordio nel 2009, non a caso dopo l’esplosione – l’anno precedente –  della crisi economica e finanziaria.

L’intuizione e la promessa delle criptovalute è quella di democratizzare la gestione della moneta, sottraendola a banche centrali e governi, dimostratisi incapaci di mettere a freno l’ingordigia dei centri finanziari e di impedire la crisi. Ma come creare una moneta elettronica in cui tutti possano avere fiducia, a riparo di frodi e falsificazioni, senza la garanzia dello stato?

La risposta viene cercata nella tecnologia informatica e si chiama blockchain, nei fatti un database attraverso cui tutti i possessori di criptovaluta ricevono una copia – crittografata e indipendente, ma identica – di tutte le transazioni avvenute. Se la blockchain è solida nessuno ne è proprietario, e falsificazioni sono in teoria impossibili.

La strada viene aperta nel 2009 da “BitCoin”, ma nelle parole visionarie della Ignatova OneCoin è la nuova rivoluzione, lo strumento destinato proprio a sotterrare BitCoin considerato troppo complesso e difficile da comprendere e usare e a rendere le criptovalute «uno strumento alla portata di tutti, il Facebook delle criptovalute». L’entusiasmo le frutta presto i primi riconoscimenti nella sua Bulgaria, dove nel 2014 vince il premio “Imprenditrice dell’anno”.

Ma alla Ignatova non basta la Bulgaria: sogna in grande, vuole il mondo. Per promuovere OneCoin vengono organizzati – senza risparmio di tempo e di energie – incontri, presentazioni, convention in paesi e città diverse. L’apoteosi è un imponente evento all’arena di Wembley, nel giugno 2016. In un’atmosfera da concerto rock, più che da convention finanziaria, la Ignatova – che per l’occasione sfoggia uno sgargiante vestito di gala rosso fuoco, ornato di pajettes scintillanti – snocciola dal palco numeri impressionanti: due milioni di utenti attivi e una capitalizzazione di 4,5 miliardi di Euro, raccolti in appena un anno e mezzo di attività soprattutto in Cina, Germania, Regno Unito e Stati Uniti.

Sogni perduti
Il futuro di OneCoin sembra radioso, ma nuvole scure cominciano ad addensarsi presto sulla nuova “rivoluzionaria” criptovaluta. Ad esprimere dubbi sulla reale natura del progetto, già nel 2015, è la Commissione bulgara di supervisione finanziaria. Nel 2016 varie autorità competenti invitano alla cautela e a dicembre, in Italia, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato blocca le attività di OneCoin.

Quello che sta emergendo è una realtà ben diversa dalle parole ispirate di Ruja Ignatova: OneCoin è infatti priva di molte delle caratteristiche fondamentali di una criptovaluta: manca addirittura una “blockchain” funzionante, meccanismo necessario, basilare e indispensabile per il suo funzionamento. L’intera operazione, come diventa sempre più chiaro col passare delle settimane e dei mesi, è in realtà un’enorme “schema Ponzi”, una frode in cui in pochi guadagnano cifre astronomiche convincendo altri soggetti ad investire in un prodotto venduto con modalità complesse, ma fondamentalmente vuoto di valore.

OneCoin non è altro che un classico schema piramidale, realizzato utilizzando nuove piattaforme tecnologiche”, dirà poi il procuratore distrettuale di New York Cyrus Vance, quando le natura fraudolenta del progetto sarà diventata evidente.

Come si verrà poi a sapere nel 2016 la magistratura inglese aveva già iniziato a lavorare sul caso OneCoin, ma è durante il 2017 che gli scricchiolii sulla “criptovaluta del secolo” si sono fatti sempre più assordanti. A ottobre di quell’anno la Ignatova era attesa a Lisbona per uno dei tanti eventi di promozione, ma per la sorpresa degli organizzatori, non si è fatta viva. La giustizia statunitense aveva appena emesso un mandato di cattura internazionale a suo carico e forse – sussurrano in tanti – Ruja è riuscita ad avere una soffiata grazie alla larga rete dei suoi contatti. Da allora, nessuno l’ha più vista.

Nell’attesa di una sua riapparizione, mai avvenuta, il timone di OneCoin è stato ceduto temporaneamente al fratello di Ruja, Kostantin, che ha provato a mandare avanti le cose come se nulla fosse successo, ma ormai il castello di carte era in caduta libera: Greenwood è stato arrestato nel 2018, lo stesso Konstantin nel 2019 viene fermato all’aeroporto di Los Angeles: di fronte agli inquirenti americani, si dichiarerà colpevole di riciclaggio di denaro e frode, e rischia ora decenni di reclusione.

Quel che resta di OneCoin
La storia di OneCoin non è ancora stata scritta fino in fondo. L’epopea truffaldina della criptovaluta lascia riflettere sulla vulnerabilità degli esseri umani a meccanismi profondi della nostra psiche, come la fascinazione verso personalità forti, la difficoltà di separare razionalità ed emozioni, la semplice avidità.

Oggi, insieme al mistero della scomparsa di Ruja Ignatova, i risparmiatori e gli investitori truffati aspettano ancora le sentenze delle varie magistrature nazionali, anche se recuperare il denaro perduto sembra una chimera.

Alcuni hanno già rinunciato, altri si sono organizzati per battersi insieme per i propri diritti. Tra quelli più attivi, c’è la scozzese Jen McAdam, che insieme ad amici e parenti ha visto svanire 230mila sterline. Proprio le memorie di Jen e della sua disavventura sono alla base della sceneggiatura del film che la “Metro Goldwin Mayer” si appresta ora a realizzare.

Tra l’altro, a testimonianza della grande fascinazione creata da una storia così semplice e insieme così complessa, la futura pellicola di “Fake!” non è l’unica rivisitazione artistica messa in cantiere sulla Ignatova e la sua fabbrica di sogni e di inganni. Nel Regno Unito, la New Regency TV sta lavorando ad una serie televisiva basata sul seguitissimo podcast della BBC “The Missing Crytoqueen”, realizzato da Jamie Bartlett e Georgia Catt e scaricato ad oggi più 3,5 milioni di volte.

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