Non credo di essermi mai non dico entusiasmato ma nemmeno interessato ai vicesegretari del PD, eppure la decisione di Enrico Letta di nominare vicesegretaria del partito Irene Tinagli, accanto al più tradizionale Peppe Provenzano, è una di quelle notizie che alleviano il blues di una campagna vaccinale ancora col freno a mano tirato, specie se sui social vediamo newyorchesi di ogni età entrare in farmacia a farsi la punturina salva vita.
Ma torniamo a Irene Tinagli: nostra premiata come eurodeputata dell’anno sul magazine pubblicato con il New York Times, autorevole presidente della Commissione economica del Parlamento Europeo, eletta alla Camera con Scelta civica e al Parlamento europeo con il sostegno di Renzi e di Calenda, iscritta al circolo milanese Pd di riformisti e di renziani fortissimamente contrari alla linea dell’alleanza strategica populista di Zingaretti, insomma una politica brava e preparata. Tinagli vicesegretario del Pd è una scelta coraggiosa e interessante di Letta, arrivata peraltro un giorno dopo aver fermato o sospeso, tipo AstraZeneca, la candidatura di Roberto Gualtieri a sindaco Roma.
Si muove bene, benissimo, Enrico Letta, confermando ciò che ha detto che avrebbe fatto nel discorso di investitura domenica scorsa: il suo Pd è un Pd largo che vuole guidare il centrosinistra, non subire l’influenza fortissima di quel tizio di cui nessuno ricorda più il nome, e per farlo sceglie come vice un esponente d’area Ds, per capirci, e una economista preparata e moderna che si fatica a definire strettamente del Pd.
Tutto questo mentre il presidente americano Joe Biden, esponente della stessa famiglia democratica di Letta & co, conferma che quel Vladimir Putin nei cuori dei Cinquestelle di ogni ordine e grado, compresi quelli ancora al governo cui il Pd si era sottomesso, è un killer che pagherà le conseguenze delle sue azioni, comprese quelle di manipolare anche le ultime elezioni 2020, ovviamente a favore di Donald Trump, altro sodale del tizio rispedito a Volturara-a-Lago.
Tutto questo, infine, mentre il Tribunale di Milano smonta l’ennesima campagna forcaiola contro una grande azienda di Stato e di mercato, l’Eni, e di mascariamento dei suoi manager, perché il fatto non sussiste. E non solo il Fatto, peraltro, ma anche la Gabanelli, la7 e tutto il cucuzzaro.
Contro il Covid non siamo ancora vaccinati, contro il populismo pare di sì. Avanti con la seconda dose.