Ma cos’è la destra?Il curriculum dello studente, Gaber e il paleoliberismo

Il cv che mezzo milione di maturandi dovranno compilare è un documento che permette di valorizzare le competenze acquisite e le esperienze vissute durante il percorso di studi. Non per Tomaso Montanari che con le sue dichiarazioni disconosce un percorso di avvicinamento tra politica e mondo associativo che viene da lontano e che ha portato a una contaminazione positiva delle policies scolastiche

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La formalizzazione del curriculum dello studente secondo Tomaso Montanari è «una delle decisioni che chiariscono meglio la natura di questo governo: un gabinetto paleoliberista di destra». Ne siamo proprio sicuri? Non tema il lettore: non è nostra intenzione aggiungere il curriculum dello studente all’elenco di cose di cui ci interessa capire se siano di destra o di sinistra. Anche perché Gaber ha già chiarito che «È evidente che la gente è poco seria/quando parla di sinistra o destra».

Quello che ci ha colpito però è l’argomentazione di Montanari, seguito a ruota dall’onorevole Nicola Fratoianni che ha parlato di «certificazione della diseguaglianza inventata dal governo Renzi». Argomentazione che purtroppo fa breccia in una minoranza rumorosa di corpo docente che definire reazionario (e quindi ontologicamente ‘di destra’, ci perdoni Gaber) è purtroppo – come vedremo – necessario.

Cominciamo con il disvelamento di cosa sia, veramente, il curriculum dello studente: la raccolta dei dati «relativi al percorso degli studi, alle competenze acquisite, alle eventuali scelte degli insegnamenti opzionali, alle esperienze formative anche in alternanza scuola-lavoro e alle attività culturali, artistiche, di pratiche musicali, sportive e di volontariato, svolte in ambito extrascolastico». Questa la sua descrizione, contenuta nella legge 107: il ministro dell’Istruzione Patrizio Bianchi ha solo applicato la normativa vigente.

A destare scandalo è la valorizzazione delle competenze acquisite in ambito extrascolastico, ovvero quello che in gergo si chiama apprendimento non formale o informale. Eppure la valorizzazione nel contesto scolastico (quindi formale) degli apprendimenti avvenuti in contesti non formali e/o informali è una delle innovazioni richieste dal mondo dell’associazionismo, in particolare quello che si occupa di diritti dei bambini e degli adolescenti, dello sviluppo della personalità dei minori, nonché da chi promuove il volontariato e la cittadinanza attiva. Tutta gente di destra? È da questo mondo che Montanari e Fratoianni prendono le distanze, disconoscendo un percorso di avvicinamento tra politica e mondo associativo che viene da lontano e che ha portato a una contaminazione positiva delle policies.

Il documento di cui stiamo parlando permette alle studentesse e agli studenti dell’ultimo anno delle scuole superiori di valorizzare le competenze acquisite e le esperienze vissute durante il percorso di studi. Certificazioni linguistiche o informatiche, certo. Ma anche attività professionali, artistiche, musicali e culturali, oppure attività sportive, di cittadinanza attiva e di volontariato. Secondo Montanari e Fratoianni tutto questo penalizzerebbe chi non è in grado di pagare costosi corsi ai propri figli per avere le certificazioni di lingua, informatica o altro. Ci sembra che la critica sia quanto meno superficiale. Il loro approccio appare analogo a quello di chi davanti a un libro trae le proprie conclusioni leggendo il titolo o guardando la copertina. Peraltro in questo caso abbiamo il sospetto che il giudizio lo abbiano dato leggendo i nomi degli autori, visti il richiamo di Fratoianni a Matteo Renzi e il riferimento di Montanari al Bianchi economista.

Se invece stiamo al merito, ci chiediamo cosa ci sarebbe di così discriminante nel chiedere a uno studente di parlare di ciò che lo appassiona fuori dall’ambiente scolastico. Oppure della sua esperienza lavorativa come bagnina o cameriere durante l’estate, ma anche della sua esperienza nell’attivismo, nello scoutismo, nel volontariato.

Chi non ha esperienze extra sarà penalizzato nel giudizio? Ovviamente no: ciò che viene valutato non è il numero di saggi di danza o le recite della studentessa o dello studente, le ore di allenamento in palestra o in piscina, il numero di concerti o l’aver o meno fatto carriera negli scout; quella che viene valutata è la capacità di collegare, argomentare e fare analisi e sintesi Per scoprirlo bastava leggere il decreto 62/2017, che norma il colloquio dell’esame di Stato: «La commissione, tenendo conto anche [del curriculum], propone al candidato di analizzare testi, documenti, esperienze, progetti, problemi per verificare l’acquisizione dei contenuti e dei metodi propri delle singole discipline, la capacità di utilizzare le conoscenze acquisite e di collegarle per argomentare in maniera critica e personale».

Vediamolo un po’ questo paleoliberismo, questa certificazione delle diseguaglianze. La commissione «verifica l’acquisizione dei contenuti e dei metodi propri delle singole discipline». E fin qui sta parlando della scuola dell’Ottocento che evidentemente tanto piace a Montanari e Fratoianni (voti, materie, nozioni…). La commissione verifica anche «la capacità di utilizzare le conoscenze acquisite»: qui siamo al Novecento quando abbiamo capito che non ci sono solo le conoscenze ma anche capacità e competenze. La commissione verifica infine la capacità di collegare le conoscenze acquisite «per argomentare in maniera critica e personale»: questa invece è la scoperta del pensiero critico, la cui valorizzazione nel Novecento era di sinistra ma per Montanari e Fratoianni nel nuovo millennio pare essere diventata paleoliberista.

La deriva reazionaria di parte della scuola, che la sinistra fattasi destra si attarda a coccolare, viene da lontano. È la stessa matrice culturale di chi rifiuta le prove INVALSI e i test PISA perché le considera una ingerenza nell’operato degli insegnanti. Per troppi la povertà educativa, la dispersione scolastica esplicita e implicita, il deficit di competenze negli adulti, l’analfabetismo funzionale che affligge un italiano su cinque (incluso qualche detrattore del curriculum, temiamo) è roba buona per i convegni e i post allarmati su Facebook, ma guai a porre il loro superamento alla base di una qualsiasi politica pubblica. La scuola italiana non è democratica: non permette di valorizzare i meriti e non consente ai più capaci di affrancarsi dall’ipoteca sul loro futuro rappresentata dal contesto culturale, sociale ed economico in cui nascono. Il nostro paese è agli ultimi posti in Europa per numero di laureati e ai primi per dispersione scolastica e numero di NEET (ragazzi che non lavorano, non studiano e non si formano).

Le diseguaglianze di cui dovremmo discutere sono queste, non quelle che il curriculum dello studente certificherebbe. Forse dà fastidio parlarne perché sono esattamente quelle diseguaglianze che la scuola ‘formale’, quella dei voti, delle materie e delle nozioni, fa sempre più fatica a sanare. Chi continua a descrivere contrasti dove non ci sono, a farsi guidare dall’ideologia, non fa che peggiorare le cose. E torna in mente Gaber: «L’ideologia, l’ideologia/Malgrado tutto credo ancora che ci sia/È il continuare ad affermare/Un pensiero e il suo perché/Con la scusa di un contrasto che non c’è».

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