Vetero-greenL’ambientalismo da ricchi nostalgici della vita povera danneggia la transizione ecologica

Una proposta grillina di riforma della Costituzione, sostenuta dalla maggioranza, dimentica lo sviluppo sostenibile e scarica il debito e la crescita zero sulle generazioni future

Unsplash

C’è un imperativo categorico a cui analisti, commentatori e chiacchieroni in genere delle cose della politica dovrebbero prudentemente attenersi: quello di considerare l’ampiezza dei consensi e del favore che una proposta riscuote, e magari pure l’entusiasmo plebiscitario che suscita, come una prova provata della sua forza equivoca, destinata a rovesciarsi in una clamorosa eterogenesi dei fini. Tutti sono d’accordo, quando hanno tutti torto. 

L’unità democratica della nazione, per non dire di quella non democratica, si è sempre implacabilmente costruita sulle premesse di qualche rovina. Il debito pubblico, come se non ci fosse un domani, come via nazionale al socialismo interclassistico. La giustizia ridotta a teatro della protervia inquirente e della cattiva coscienza popolare. Il welfare state degradato a sistema di rendite parassitarie e gerontocratiche. Il federalismo come campanilismo assistito e rassegna di inguardabili e autoproclamati vicerè. Il vittimismo antieuropeo come alibi per il declino. 

Alla rassegna dei grandi successi di pubblico e di critica autoprodotti dalla politica italiana negli ultimi decenni, ora si va aggiungendo rapidamente, grazie al NextGenerationEu e al mantra della transizione green, un’idea vetero-ambientalistica e fumettistica dell’ecologia, come ritorno a un’età dell’oro in cui uomini, animali e piante vivevano in una edenica armonia, poi corrotta dall’imperialismo antropico (e industrialista e sviluppista e – diciamolo – liberista!). 

Questo ambientalismo da ricchi nostalgici della vita dei poveri o da reduci dell’antagonismo sociale planetario ha nutrito per anni tutte le più stupide e vittoriose battaglie senso-comuniste (per “l’acqua pubblica”, “contro le trivelle”, fino all’incredibile e inqualificabile vicenda dell’Ilva) ed è ormai dilagato in forma trasversale. La sua ricaduta pratica in termini ambientali è praticamente nulla, quando non è negativa. 

Tutte le rivoluzioni green che si vanno realizzando sono al contrario fenomeni di mercato, favoriti da una buona regolazione pubblica consapevole del legame intrinseco tra sostenibilità economica, sociale e ambientale. Chiunque si occupi di transizione ecologica sa perfettamente che questa implicherà un cambiamento quasi fantascientifico di modelli di produzione, stili di vita e competenze personali, non un ritorno al passato, ma il tuffo in un futuro incognito di ibridazione di intelligenza umana e artificiale. Tutto il contrario dell’immaginario luddista e decrescista del ritorno allo stato di natura.

In questo quadro, dove tra l’ideologia passatista e la tensione futurista non ci sono di fatto punti di contatto, lo sbarco dell’ambiente in Costituzione, salutato in modo quasi unanime come una pietra miliare del nuovo percorso di rinascita, rappresenta, come dicevamo all’inizio, il perfetto esempio di quanto possa essere gradita politicamente una conquista che, nella migliore delle ipotesi, non è niente di buono, e nella peggiore e neppure troppo ipoteca, qualcosa di cattivo. 

Su iniziativa del Movimento 5 Stelle e con una discussione che ha coinvolto tutte le forze della maggioranza la Commissione Affari Costituzionali del Senato ha licenziato da qualche giorno un testo che, in coda all’articolo 9 della Carta, aggiunge le seguenti parole: «[La Repubblica] Tutela l’ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni. La legge dello Stato disciplina i modi e le forme di tutela degli animali» e all’articolo 41 introduce i danni alla salute e all’ambiente come cause di giustificazione della limitazione dell’iniziativa economica privata. 

Si tratta di un testo di riforma decisamente più datato di quello che si iniziò a discutere alla fine della scorsa legislatura per merito del deputato di Scelta Civica Andrea Mazziotti e poi divenne nel 2018 una proposta di legge denominata “Figli Costituenti”, depositata al Senato da Emma Bonino.

In quel testo, c’è tutto ciò che nella versione attuale manca (nel senso che è stato tolto), cioè il riferimento allo sviluppo sostenibile, che è tale, anche nella definizione datane nel quadro degli accordi internazionali, non solo perché è compatibile dal punto di vista ambientale, ma perché è in grado di “sostenere” politiche di contrasto alla fame, alla povertà e alle disuguaglianze e di inclusione sociale ed economica.

E manca qualunque riferimento all’equità intergenerazionale, che nella proposta “Figli Costituenti” era contenuta in un emendamento (scomparso) all’articolo 2 della Costituzione, quello sui diritti inviolabili, con un riferimento al dovere di solidarietà politica ed economica verso le generazioni future come condizione imprescindibile di sviluppo sostenibile.

Se quindi la proposta Mazziotti-Bonino affermava il principio del diritto allo sviluppo sostenibile, inteso anche in senso sociale, come diritto inviolabile e quello alla solidarietà intergenerazionale come dovere inderogabile dello Stato, la proposta della attuale maggioranza parlamentare trasforma la sfida della sostenibilità in una sorta di vincolo conservazionista. Il punto in comune tra le due proposte è quello della tutela ambientale, ma secondo prospettive sostanzialmente contrarie.

Il fatto che anche studiosi accreditatissimi, come il ministro Enrico Giovannini, salutino con favore questa riforma non ne cancella certo i limiti, che emergono ictu oculi soprattutto rispetto agli interessi delle nuove generazioni. Bisogna peraltro tenere presente che quando ci sveglieremo dal nirvana del “non ci sono problemi di soldi”, assicurato dalla Bce durante l’inferno del Covid, le nuove generazioni scopriranno che il peso più insostenibile sulle loro spalle sarà quello di un debito smisurato, in un paese debilitato da anni di crescita zero.

X