Tigri di siliconeI monopoli delle Big tech sono più fragili di quanto pensano i mass media

Google, Facebook, Amazon potrebbero sembrare imbattibili, proprio come le grandi multinazionali del passato. Ma la storia ci insegna che le posizioni egemoniche sono poco durevoli proprio perché basate sul libero mercato, e quindi destinate, quasi sempre, all’autodistruzione

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Grandi compagnie come Google, Amazon, Facebook, Microsoft e Apple sono viste come il nemico in tutto il mondo. Si tratta di un paradosso: quasi tutti usano i loro prodotti e servizi, ma quasi nessuno ama le aziende che ci sono dietro. Alcune preoccupazioni sono giustificate, soprattutto per le scelte di natura politica compiute da un’azienda come Facebook. Ma molti critici che invocano una regolamentazione più forte o che i monopoli vengano smantellati, tendono a trascurare il fatto che le posizioni dei monopoli di mercato non sono così durevoli come molti pensano.

Una analisi condotta da Dirk Auer e Nicolas Pitt ha confermato che la posizione dei media sui monopoli è sproporzionatamente negativa e che la stampa riporta notizie su presunti monopoli imbattibili più frequentemente e più ampiamente rispetto al loro fallimento. Secondo i dati di Auer e Pitt, i media sopravvalutano la persistenza dei monopoli. La tendenza a creare posizioni di mercato monopolistiche è una delle più vecchie argomentazioni contro il capitalismo.

Le economie basate sul libero mercato, alla fine si autodistruggono, così viene detto, poiché il capitale è concentrato e centralizzato nelle mani di un piccolo numero di monopolisti che sono poi in grado di dominare completamente l’economia. Lenin presentò proprio questa tesi nel suo pamphlet del 1917 Imperialismo, fase suprema del capitalismo, in cui scrisse: «Questa trasformazione della concorrenza in monopolio è uno dei fenomeni più importanti – se non il più importante – dell’economia capitalista moderna».

Lo storico economico Werner Plumpe nota che questa tesi si basa sull’estrapolazione di tendenze generali prese da un numero di settori particolarmente intensivi di capitale, compresa l’industria pesante. Come fa notare, tra le aziende più grandi e maggiormente dominanti della prima metà del ventesimo secolo, quasi nessuna di queste è sopravvissuta nel ventunesimo secolo. 

Myspace
Non c’è nemmeno bisogno di guardare molto indietro nella storia per trovare esempi che dimostrano che la durata dei monopoli è sopravvalutata. In “Is This Time Different? Shumpeter, the Tech Giants, and Monopoly Fatalism” Ryan Bourne presenta numerosi casi di studi molto recenti. Myspace, per esempio, è stata fondata nel 2003 e, come racconta Bourne, ha sperimentato velocemente una rapida espansione della sua base di utenti.

Già nel giugno 2006, «il sito era il più visitato negli Stati Uniti, superando Google». Nel 2007, il principale quotidiano britannico di sinistra, il Guardian, si chiedeva: «Myspace perderà mai la sua posizione monopolistica?». All’inizio del 2008, Myspace beneficiava del 73,4% di tutto il traffico sui siti di social networking e al suo picco di dicembre del 2008 il sito aveva 75,9 milioni di visitatori unici solo considerando gli Stati Uniti. Appena sei mesi dopo, tuttavia, Myspace era stato superato negli Stati Uniti da Facebook e la sua quota di mercato complessiva era scesa ad appena il 30% alla fine del 2009.

Nel marzo del 2019, Myspace ha annunciato di aver perso tutte le foto, i video e i file audio che erano stati caricati sul sito dal 2003 al 2016. Secondo l’azienda, la perdita di dati era dovuta a un errore di migrazione del server. Oggi Myspace è in gran parte scivolato fuori dal radar. Buorne conclude: «È importante notare, in merito alla storia di Myspace, che gli stessi effetti della rete che portano a una crescita enorme possono anche portare a un fallimento rapido nel momento in cui compare un prodotto migliore».

Nokia
Nel novembre del 2008, Forbes pubblicò un articolo approfondito sul produttore di telefoni cellulari Nokia. Il titolo sulla copertina della rivista era il seguente: “One Billion Customers – Can Anyone Catch the Cell Phone King?”. Dopo aver detenuto la corona di più grande produttore di telefoni cellulari del mondo dal 1998 al 2011, Nokia è stata superata da Samsung nel primo trimestre del 2012, quando la società sudcoreana si è assicurata il 25,4% del mercato dei telefoni cellulari; Nokia aveva il 22,5% e Apple il 9,5%. Così, la quota di mercato Nokia era diminuita di più di un terzo rispetto al 2008. Nokia aveva lanciato il primo smartphone negli anni ’90, «ma non ha previsto l’importanza delle applicazioni per il successo dei telefonini fino a quando ormai era troppo tardi». Microsoft ha comprato Nokia nel 2013, in un momento in cui aveva una quota globale appena del 3%.

Questi sono solo due tra i tanti esempi di come aziende che, da una prospettiva contemporanea, appaiono come potentissimi monopoli, ma che spesso perdono il loro ruolo dominante nel giro di pochi anni. Un altro è Kodak, che nel 1976 aveva una quota di mercato di oltre il 90% del mercato statunitense di pellicole per il cinema e l’85% del mercato statunitense delle fotocamere. Tuttavia, dopo essere sopravvissuta al periodo della fotografia digitale ha sofferto quando gli smartphone hanno iniziato a incorporare macchine fotografiche sempre più efficaci.

Nel 2012, Kodak ha avviato la procedura di bancarotta e ora si concentra su altre attività. Kodak è un esempio di un’azienda che è riuscita a mantenere una posizione monopolistica per decenni – ma per molte altre aziende questo non è accaduto, come confermano le storie di Myspace e Nokia. Aziende come Google, Facebook, Amazon e Apple potrebbero sembrare imbattibili oggi, proprio come i monopoli precedenti. Ma la storia ci insegna che le posizioni di mercato dominanti, nella maggior parte dei casi, sono molto meno durevoli di quanto si tende a pensare quando i monopolisti sono all’apice del loro potere. 

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