Esperimento segretoIl batterio che ha ripulito le statue di Michelangelo

Una specie di arma biologica contro macchie secolari, documentate fin dal XVI secolo. L’operazione, condotta tra i due lockdown, ha restituito i marmi alla loro bellezza originaria

da Wikimedia Commons

Quelle che coprivano i marmi delle Cappelle Medicee, creati da Michelangelo Buonarroti, erano macchie secolari. Documentate dal XVI secolo, risultavano impossibili da rimuovere anche dopo un decennio di pulizie e restauri.

L’unica (creativa) soluzione è stato allora ricorrere ai batteri. Un esercito di microbi iperselezionati che, ricorda il New York Times, in un’operazione «top secret» ha mangiato (alla lettera) la sporcizia, liberando i marmi e riportandoli all’antico splendore. Il tutto a cavallo dei due lockdown.

Tutto comincia con le analisi di uno dei punti più sporchi, un quadrato appena visibile nella nicchia tra la cappella e la tomba monumentale di Lorenzo de’ Medici duca di Urbino (non il Magnifico), custodita nella Sagrestia Nuova – tomba condivisa con il presunto figlio Alessandro.

Secondo Daniela Manna,una delle restauratrici, il responsabile di quello sfacelo è stato proprio Alessandro – o meglio, il suo cadavere. Sepolto di fretta, senza trattamenti adeguati, nel tempo aveva liberato fosfati che avevano intaccato la superficie, con macchie e malformazioni. L’unica risposta possibile era, appunto l’arma batteriologica.

La selezione del microbo giusto (occorre evitare che metta a rischio le componenti del marmo) avvenuta verso la fine del 2019, è toccata ad Anna Rosa Sprocati, biologa dell’Enea, l’Agenzia nazionale per le nuove tecnologie. Il prescelto, tra oltre un migliaio di candidati, è stato un Serratia Ficaria SH7, che applicato sulla macchia dopo una serie di tentativi, ha fatto sparire un segno di sporcizia secolare.

Si può dire, come ha affermato Monica Bietti, ex direttrice delle Cappelle Medicee, che «il batterio ha mangiato Alessandro». Una definizione un po’ cruda e, trattandosi di un morto di quasi 500 anni fa, forse illegittimo e già scomodo all’epoca tanto da non venire ricordato in nessuna lapide. Ma tutto sommato corretta. L’operazione, cominciata a ottobre 2020, all’alba della seconda ondata, è durata un’intera notte.

Un’operazione simile, in realtà, era stata messa a punto anche qualche mese prima.

Durante il primo lockdown erano state pulite le statue del Giorno e della Notte che adornano la tomba di Giuliano de’ Medici, duca di Nemours. In particolare era stato applicato un gel ai capelli della statua femminile (la Notte) con il batterio Pseudomonas stutzeri CONC11, isolato da una conceria alle porte di Napoli. Insieme al Rhodococcus sp. ZCONT (prelevato da una porzione di suolo casertano contaminato con diesel) aveva fatto piazza pulita dei residui di colla, olio e gesso.

Per la faccia si è preferito andare cauti e utilizzare un gel alla gomma di xantano e lo stesso con la testa di Giuliano. Il trattamento ha riguardato anche l’altare sotto cui è sepolto Lorenzo il Magnifico. Per l’esattezza, le dita dei piedi delle statue dei santi. Un particolare che non poteva mancare.

E così – riassume il New York Times – In un’era dominata dai disastri commessi da un virus, con conseguente uso e abuso di amuchina e alcol, la soluzione per un problema secolare è toccata a un batterio. Forse non è una lezione, ma è senza dubbio un aspetto suggestivo.

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