Una delle caratteristiche di Lupin è quella di prendere di sorpresa gli altri. Lo ha fatto con la prima parte, quando la serie francese su Netflix, prodotta da Gaumont e con Omar Sy come protagonista, ha superato ogni previsione e si è trasformata, nei mesi invernali della pandemia e della reclusione, in un successo globale (rilanciando, insieme al merchandising, anche le edizioni dei libri di Maurice Leblanc sul Lupin originale).
Lo ha fatto anche con la seconda, attesa per fine 2021 e uscita, in maniera inaspettata, il 9 giugno.
Stessa formula fatta di episodi brevi (intorno ai 45 minuti), cinque puntate e un totale di nove ore. Chi ha tempo a disposizione la può vedere tutta di fila senza soffrire: il ritmo è sempre alto e le invenzioni narrative rimangono fresche. Le interpretazioni, a partire da quella di Sy, nella parte del delinquente gentiluomo Assane Diop, sono sempre divertenti.
Certo, le migliori cartucce si sparano all’inizio (e alla fine). Partire a metà obbliga a portare un filo di pazienza, mentre sullo schermo prosegue la ricerca del figlio Raoul, rapito dallo scagnozzo del cattivissimo Monsieur Pellegrini alla fine della prima parte, e si vede allargare il cerchio degli alleati di Diop.
Oltre al vecchio amico d’infanzia ed esperto falsario si aggiungerà (non è uno spoiler) il poliziotto buono (Soufiane Guerrab), l’unico del dipartimento ad avere intuito il legame non solo letterario tra Assan Diop e il personaggio di Lupin. Ce ne saranno anche altri: quasi a suggerire che il metodo, il sangue freddo e la genialità criminale non bastano. Bisogna sapersi conquistare la fiducia degli altri, tanto da spingerli a fare scelte controintuitive.
Per il resto c’è spazio anche per qualche paesaggio extra-parigino, cioè la Normandia dei piccoli borghi, degli abitanti taciturni, dei vecchi manieri abbandonati.
Come ha spiegato a Le Monde l’autore della serie, il britannico George Kay, nel costruire l’ambientazione «ho esplorato lo spazio compreso tra due diverse immagini della Francia». Quella del ladro aristocratico, seduttore e idealista che si trova nei romanzi e quella, più contemporanea, proposta dallo stesso Sy. Kay ha camminato per Parigi, frequentando i quartieri più belli (dove il ladro colpisce) ma anche seguendo le linee della metropolitana, «raggiungere le parti più periferiche, dove il giovane Assane è vissuto ed è diventato grande».
Non per niente l’andirivieni temporale tra passato e presente, che spezza le scene con la puntualità di un metronomo, punteggia gli episodi, mantiene alta la tensione e permette di approfondire il senso della missione di Assane: non il furto fine a se stesso, ma la vendetta. In questo senso è più una derivazione di Alexandre Dumas che di Leblanc.
Non a caso, alla leggerezza beffarda dei primi episodi il passo cede a tinte più oscure. È la resa dei conti, i personaggi sono chiamati a decisioni sofferte e tentativi estremi. E perfino per il coté sentimentale la situazione diventa più intricata, con Sy sospeso tra la moglie, che non sopporta più la sua vita spericolata e criminale, e la antica fiamma Juliette Pellegrini, figlia innocente del suo arcinemico.
Sia chiaro: se dubbio c’è, viene al massimo accennato. Lupin, o Assane, non ha tempo per queste cose: deve fuggire dalla polizia e al tempo stesso incastrare il suo avversario. Senza dimenticarsi di meravigliare il pubblico.