A destra appare un Mickey Mouse dai tratti malvagi. Di fronte, una rappresentazione dell’adorazione dei Magi con abiti moderni (o meglio, con divise delle SS). Le altre opere della mostra “Quel silenzioso bagliore” (dal 3 luglio al 15 agosto), in cui sono esposti i lavori dell’artista austriaco Gottfried Helnwein si trovano nella sala successiva, la Sansoviniana, nella Biblioteca Nazionale Marciana a Venezia.
La collocazione non è da poco: le fotografie e i fotomontaggi di Helnwein, artista di lingua tedesca tra i più noti a livello internazionale, amato da Sean Penn («le sue idee mi aiutano a fare meglio») e studiato da William S. Borroughs, si trovano a dialogare con le allegorie filosofiche di Tiziano e Tintoretto e altri autori del Rinascimento veneziano. Un confronto che richiama quello di Jeff Koons ma che se ne discosta. Helnwein parla la sua lingua, quella del presente, e il contrasto con il passato si risolve «nella coesistenza» tra stili, tecniche, idee e dimensioni artistiche diverse. È la prima grande lezione della mostra.
La seconda segue il filo delle sue creazioni. Helnwein, noto per le sue trovate provocatorie e per la nettezza espositiva, indaga il tema della violenza e dell’innocenza. Le immagini ritraggono la brutalità, gli orrori, la guerra, ma anche i bambini, il loro bisogno di protezione. Ci sono fanciulle con divise militari, o bendate, o sporche di sangue.
«Un’opera d’arte è tale se incarna un significato», spiega il critico Demetrio Paparoni, presente all’inaugurazione. «Quelle di Helnwein non è criptica, non è un’arte che risponde a una domanda con altre domande». Più che iperrealistica, come dicono in tanti, è «superrealistica, perché carica l’opera di significati, la arricchisce». Se l’iperrealismo rappresenta la realtà in forma aumentata, il superrealismo la commenta.
E sono affermazioni dure, pesanti. Se Mickey Mouse si incattivisce «è il dileguarsi della modernità, della rinascita seguita al dopoguerra in una evoluzione materialista e violenta», spiega lo stesso Helnwein. Mentre l’inserimento di un personaggio da cartone animato giapponese in una scena di guerra reale, uno dei suoi fotomontaggi più enigmatici e disturbanti, «ricorda a tutti quanto sia difficile ormai distinguere il vero dal falso, o la realtà dalla fantasia». Cosa ancora più dura «per i giovani, nati in un’epoca in cui la differenza è sempre meno marcata e non possiedono gli strumenti necessari per muoversi senza problemi».
Oltre alla violenza e al suo effetto, il senso profondo di caos e disagio provocato da invenzioni e da rivisitazioni (come ad esempio le pose alla Vermeer) lascia il segno. Come spiega Manfred Möller, editore artistico e curatore della mostra, «le opere di Helnwein hanno una missione chiara: sensibilizzare per i tempi più complessi della nostra esistenza».