Secondo le previsioni, almeno un quarto dei tedeschi della ex Germania dell’Est voterà in modo più radicale, sia a destra (con Alternative für Deutschland) che a sinistra (Die Linke), rispetto all’ex Germania dell’Ovest. Una tendenza importante: a più di 30 anni dalla riunificazione del Paese, la divisione tra le due metà è ancora profonda, almeno a livello economico e culturale.
La disoccupazione è più alta nell’Est e, a parte la notevole eccezione di Angela Merkel, sono ancora poche le posizioni di rilievo occupate dai tedeschi orientale. Gli stipendi sono più bassi e così la produttività. In molti cominciano a sentirsi gli sconfitti della storia: come aveva detto il presidente della Repubblica Frank-Walter Steinmeier in occasione del trentennale della caduta del Muro di Berlino, «ce ne sono altri che sono sorti nel nostro Paese».
L’entusiasmo iniziale, ben raccontato da Simon Kuper in questo articolo del Financial Times sulla sua esperienza in un villaggio rurale al confine, sembra svanito. Anzi, con uno sguardo retrospettivo più preciso si può dire che l’insoddisfazione fosse emersa fin da quei primi momenti. Certo, i tedeschi dell’Est erano contenti del cambio (1 a 1) dei loro marchi e alla prima occasione possibile avevano votato per la CDU, mettendo da parte i programmi socialisti. Volevano marciare verso l’unificazione a passo spedito. Nelle case comparivano beni mai visti (le banane) e l’abbondanza dell’offerta nei supermercati era vertiginosa.
Al tempo stesso, quattro su cinque di loro avevano perso il lavoro, alcuni in via temporanea, altri per sempre. Per tanti i nuovi impieghi non si erano rivelati all’altezza di quelli precedenti. In generale, la nuova vita non si era rivelata all’altezza delle aspettative (assenza di delazioni a parte).
I tedeschi dell’Est, caduto il muro, si erano trovati a vivere in un momento l’umiliazione del confronto: scoprivano di essere più poveri (anche quelli messi meglio), meno istruiti, vestiti peggio. Furono sommersi dai pregiudizi (che sono tuttora vivi: gli Ossis sono pigri, razzisti, comunisti e spie) e costretti a lasciare i propri Paesi per andare a lavorare nella Germania dell’Ovest.
Il paradosso, a distanza di oltre 30 anni, è che i confini fisici sono spariti. Ma – per usare le parole di Steinmeier – i muri sono rimasti in piedi, soprattutto nelle teste. Mentre il confronto tra le due popolazioni ha fatto nascere una nuova identità: se nel 1991 solo il 43% dei tedeschi dell’Est diceva di sentirsi legato in maniera forte al ricordo della DDR, nel 2016 era il 63%. Tra di loro, gli elettori di AfD sono più che convinti che la vita fosse meglio prima del 1989.
È il nuovo mito del passato, di matrice populista ma che poggia su uno scontento reale. I dati lo confermano: i sentimenti di ottimismo (dati pre-Covid) sono diversi e così gli orientamenti di voto. A definire il futuro della Germania, dopo l’era Merkel, saranno così i riflessi di un evento di oltre 30 anni fa.