Niente da temereI problemi (risolvibili) che pongono le mascherine a scuola

Sul tema ci sono posizioni contrapposte. L’Italia ha scelto la strada dell’obbligo, altri Paesi hanno preferito soluzioni diverse. La verità è che, se è vero che la capacità di riconoscere i volti si perfeziona intorno ai 14 anni, gli alunni scoprono nuovi modi per interagire, forse utili anche da grandi

AP Photo/Daniel Cole, pool

Necessarie per il ritorno della scuola in presenza, utili per la prevenzione del contagio e il contrasto alla pandemia. Le mascherine per i bambini – obbligatorie dai sei anni in poi – sono, a livello globale, una delle questioni più complicate e dibattute, sia a livello scientifico che politico. In alcuni Paesi, come in Gran Bretagna, si è preferito evitare qualsiasi imposizione. In America dipende dagli Stati: alcune le impongono, altri le vietano, altri lasciano decidere agli istituti o alle contee.

Il fatto è che le mascherine rendono difficile riconoscere i volti, e questo vale ancora di più per i bambini: fino ai 14 anni, dimostrano alcuni studi, il cervello non ha ancora perfezionato la capacità di riconoscere le facce. Non solo: il disagio di non saper riconoscere gli interlocutori è accresciuto dal fatto di non sentirli nemmeno bene, o di non essere sicuri di essere ascoltati bene.

Sul punto in Inghilterra Conservatori e Labour sono uniti: temono di rendere più complicata la comunicazione dei bambini. Lo stesso OMS ha raccomandato di valutare con attenzione eventuali ricadute «socio-psicologiche». Il tutto bilanciando la necessità di mantenere alto il livello di sicurezza contro il virus.

Come spiega questo articolo dell’Atlantic, con le mascherine le difficoltà dei bambini, soprattutto nei primi giorni di scuola, sono un problema reale. Esistono però dei rimedi che aiutano a superarle e, addirittura, possono potenziare le capacità sociali di ciascuno. Come spiega al magazine Judith Lowes, ricercatrice in psicologia dell’Università di Stirling, in Scozia, le persone affette da prosopagnosia (o cecità facciale), cioè l’incapacità del cervello di riconoscere i volti (Brad Pitt sostiene di esserne affetto), usano altri metodi per sapere sempre con chi hanno a che fare. Uno di questi (il più semplice) è guardare le scarpe.

A suo avviso gli insegnanti dovranno spingere i bambini a parlare di più, sia in gruppo che l’un l’altro. Potrebbe essere utile presentarsi più volte, magari ogni giorno, anche settimane dopo l’inizio della scuola. Spingerli a salutarsi ogni volta, quando si siedono. In alcune scuole si usano postazioni prestabiliti, per rendere più facile l’associazione tra persona e spazio occupato. In altre, vengono appese fotografie di ogni alunno senza mascherina, per prendere familiarità con il volto.

Ma non solo ai bambini viene spiegato, in maniera semplice, come interagire con gli altri. Come diventare amici e quali formule utilizzare per parlare di sé. Costretti dalla mascherina, sono obbligati a imparare presto a esprimere come si sentono e a chiedere agli altri come stanno. In un certo senso, è un aiuto a superare la timidezza (anche per i bambini meno avvantaggiati dal punto di vista sociale) e a prestare attenzione alle parole e ai movimenti degli altri. Non potendo vedere sorrisi, dovranno badare ad altri segni.

In questo senso gli insegnanti e gli educatori non sono preoccupati. Le mascherine, è vero, rendono più difficili le interazioni e richiedono un certo adattamento. Ma i bambini, appunto, si sanno adattare. Secondo Lowes non ci saranno effetti permanenti nella psicologia dei bambini: «Non c’è nessun bisogno di andare nel panico», aggiunge. E forse, addirittura, visto il lavoro di compensazione, si troveranno a essere più attrezzati a livello sociale delle generazioni precedenti.

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