Erano diventati dei luoghi pubblici, sicuri per le donne, dove si poteva leggere, studiare e conoscere nuove persone. Negli ultimi anni anche fuori dalla capitale Kabul, in Afghanistan, avevano cominciato a spuntare le biblioteche. Spesso erano il risultato di iniziative private, se non addirittura personali, come ad esempio la Najiba Hussaini Memorial Library, fondata da Hussain Rezai in memoria della promessa sposa uccisa in un attentato dei talebani nel 2017. Nel tempo ha raccolto oltre 12mila volumi. Insieme a un laboratorio di computer, era un punto irrinunciabile per l’istruzione nelle campagne del Paese. Dopo il ritorno al potere dei talebani, il centro è stato preso d’assalto, con vandalizzazioni e saccheggi. È bastato un giorno per rovinare tutto.
Come ricorda questo articolo del Financial Times, lo stato di salute dell’Afghanistan si misura, insieme alle cose più evidenti, anche dalle sue biblioteche. I talebani, dopo le vane promesse di moderazione e riforme (ma chi ci ha creduto davvero?), per il momento hanno deciso di chiuderle tutte, comprese quelle universitarie. Non solo: le donne non possono più lavorare al loro interno e lo staff sarà compreso di soli uomini.
Un danno enorme, perché va a colpire una possibilità di occupazione femminile e una via per la loro istruzione. Anche perché, con un personale solo maschile, entrare e frequentare le biblioteche sarà ritenuto sconveniente e pericoloso. In ogni caso, la libertà di una volta è scomparsa.
Durante il primo dominio talebano, il mondo dei libri, come quello della cultura in generale, era stato devastato: otto delle 18 biblioteche di Kabul erano state distrutte, altre sette erano diventate edifici religiosi. Esemplare il caso del Centro culturale Hakim Nasser Khosrow Balkhi: nel 1998 i talebani sono entrati con lanciarazzi e mitragliatrici e hanno bruciato i 55mila volumi al suo interno, alcuni dei quali preziosissimi manoscritti miniati persiani. Leggere opere non in pashto, la lingua locale, era proibito. Chi lo faceva rischiava la morte e i talebani facevano perquisizioni casa per casa.
Gli archivi nazionali dell’Afghanistan, dopo la cacciata dei talebani, hanno ricevuto nuovi fondi e sono stati riaperti sotto il governo di Hamid Karzai. Con il ritorno delle milizie, l’istituto è stato sottoposto a saccheggio nello scorso agosto. La situazione era così grava che il direttore ha dovuto pregare i talebani, via Facebook, di non distruggere il patrimonio tradizionale dell’Afghanistan. Una richiesta che non ha ricevuto risposta (anche se poi il direttore ha dichiarato che sia lui che il suo staff hanno ricevuto aiuto dai talebani per proteggere il suo istituto).
Non è chiara, invece, la sorte della biblioteca dell’Università di Kabul, una delle più importanti di tutta l’area. Vantava una collezione di 200mila volumi che venivano consultati da studiosi provenienti dai Paesi vicini (Iran, Pakistan, Tajikistan e India). Fu distrutta durante la guerra contro l’Unione Sovietica e, nonostante ci fosse un progetto per ricostruirla, i talebani fermarono tutto. Anzi, dopo averla bombardata, ne approfittarono per fare razzia dei volumi vendendoli sul mercato nero. La sua ricostruzione, dopo il 2021, l’ha riportata in vita, ma il suo futuro (è stata appena richiusa dai talebani) è più che incerto.
Il panorama è desolante: archivi e biblioteche, negli ultimi 20 anni erano diventati un punto di riferimento per la rinascita del popolo afghano. Avevano formato una generazione di studenti e studentesse, garantendo accesso a cultura e informazioni prima impensabili. Adesso è il contrario: molti stanno distruggendo registri scolastici, libri e volumi. Hanno paura che diventino un pericolo, se finiscono nelle mani dei talebani.