Le regole le abbiamo capite. Ma vi ricordate tutti i luoghi e tutti i prodotti che sono stati assaggiati nelle sei puntate di “Dinner Club”? Abbiamo fatto un maxi bigino per voi, con tutti i link e tutte le informazioni per rifare i viaggi del gusto di Carlo Cracco & Co.
Alla scoperta del Delta del Po con Fabio De Luigi, navigando il Grande Fiume
Ha il fascino di una vera avventura il viaggio sul Delta a bordo di una chiatta. Dopo un tentativo fallito di cimentarsi con la pesca del pesce siluro, Cracco e De Luigi fanno tappa al Circolo Canottieri di Felonica, dove assaggiano la schiacciata con le cipolle della tradizione mantovana, il tirot. Seconda tappa, l’asta del pesce al mercato ittico di Pila, per cercare di aggiudicarsi la migliore anguilla del Polesine al minor prezzo possibile. Per cucinare il bisato (come si chiama l’anguilla nel dialetto locale) in tecia, i due si spostano nel casotto del pescatore Natale, che prepara il piatto come va fatto. Acqua e terra si incontrano nel Delta, come cucina di pesce e di carne si alternano sulle tavole della zona: così si arriva ad assaggiare la saporitissima salama da sugo di Bondeno all’Osteria Scciancalegn: profumata di vino e di chiodi di garofano, la salama si serve dopo una lenta cottura, accompagnata dall’immancabile purè di patate. Ancora un tuffo nella natura del Polesine quando si entra nella Sacca degli Scardovari: qui si pescano e si assaggiano le ostriche rosa del Delta, che i due gustano crude, ma che ritroveranno, cotte, nella cucina di una grande chef. Rotta verso Venezia, infatti, per ammirare le bellezze della Serenissima e per approdare all’isola di Mazzorbo, a un passo da Burano. Il ristorante Venissa è il regno della chef Chiara Pavan, che coinvolge De Luigi nella preparazione di un risotto d’autore.
In camper con Luciana Littizzetto, alla scoperta di Puglia e Basilicata
Quando si parte per visitare regioni come la Puglia e la Basilicata, tutto ci si aspetterebbe tranne che il freddo gelido e i paesaggi innevati. Invece è proprio questa la cornice dell’itinerario di Carlo Cracco e Luciana Littizzetto a bordo di un camper vintage. Si parte, gastronomcamente parlando, dalla malandra, il fegato di polpo: i due lo gustano infarinato e fritto a bordo di un peschereccio, la Nuova Angela Danese, nel porto di Monopoli. Dai sapori di mare a quelli di terra: a Conversano, nel Barese, Cracco e Littizzetto assaggiano la pecora in pignata della Macelleria di Vito Schena, piatto rustico, ricco di patate, cipolla, pomodori, erbe selvatiche e funghi, servito direttamente da un orcio di coccio; non basta: l’occasione è perfetta per provare anche le bombette, fettine di capocollo di maiale farcite con un ripieno a base di caciocavallo tritato e prezzemolo. Pesce, carne, e non poteva mancare il formaggio. Ad Altamura è il turno di quelli di Vito Dicecca che offre ai suoi ospiti un caciocavallo podolico, seguito da una “merenda” costituita da una focaccia con la burrata, e per finire un formaggio erborinato, un “blu” che viene immerso per cento giorni nel vino, nel Primitivo. Si procede verso Matera, dove nel ristorante stellato di Vitantonio Lombardo si assiste alla preparazione del cazzomarro, specialità locale a base di interiora; e non manca la spiegazione di come si prepara il peperone crusco. La tappa successiva richiede un passaggio particolarmente impegnativo, almeno per lo chef Cracco, che attraversa il ponte tibetano di Sasso di Castalda. Il viaggio si conclude ad Aliano, dove protagonista è la rafanata, piccantissima specialità a base di uova, farina e ovviamente rafano fresco grattugiato.
Diego Abatantuono, alla ricerca della Sardegna autentica
Tutto ha inizio da una custodia di violino. Da lì si parte, a bordo di una cabriolet d’epoca, per cercare i sapori più autentici della Sardegna. La prima tappa porta Cracco e Abatantuono a Nurallao ad assaggiare il violino di capra, prosciuttino stagionato e profumato di finocchietto selvatico: si tratta in realtà di una specialità originaria della Valchiavenna, che prende il nome dalla tecnica usata per il taglio delle fette, che ricorda il modo in cui si suona un violino. Da qui ci si sposta a Sadali, per assaggiare la minestra con casu ‘e fitta, mentre l’anziana zia Maria toglie il malocchio ad Abatantuono e a Cracco; i due si concedono poi un bicchierino di Lampus, il primo gin elettrico al mondo, che dà una leggera sensazione di scossa alle labbra. L’assaggio successivo è in riva al mare, nella sede della Cooperativa dei pescatori di Tortolì dove i due provano diversi tipi di bottarga di muggine, e si dedicano poi alla preparazione di un piatto di spaghetti alle vongole. Sulla spiaggia non possono mancare un paio di calci a un pallone, ma poi si torna a parlare di cibo: a Oliena si sorseggia Cannonau Nepente, quello prodotto dall’azienda Puddu, accompagnato nel piatto da una lasagna di pane carasau con ragù di pecora, marinato con vino ed erbe, il tutto spolverato di pecorino. E si riparte. Villagrande Strisaili è il paese della longevità: qui le sorelle Mulas, preparano per i due i tipici culurgiones. In cambio, un bel giro sulla cabriolet. Per il gran finale, Abatantuono e Cracco si preparano a trascorrere la notte nell’ovile di Otulu, nel Supramonte di Orgosolo: dopo un tagliere di salumi e formaggi, arriva il pezzo forte, il sanguinaccio, preparato con il grasso che riveste l’intestino delle pecore, pane carasau, pecorino, e ovviamente sangue. Sullo sfondo i canti tradizionali e la bellezza del paesaggio.
Valerio Mastandrea va in Cilento, percorrendo in bicicletta parte della splendida Via Silente
I due dormono a Felitto, al Rifugio del Calore. Poi fanno indigestione di fichi conservati in tutti i modi possibili dal signor Paris Ruocco, dell’azienda agricola Il Fico, che è il regno indiscusso del fico bianco del cilento doc biologico. Attraverso la zipline si raggiunge Capaccio e il Ristorante stellato – Le Trabe Tenuta Capodifiume di Marco Rispo, per assaggiare gli spaghetti bufala bufala bufala (che Mastandrea non apprezza per la sua idiosincrasia verso i cibi bianchi). Il clou della puntata è nelle storiche sale della La Cantina del Marchese a Marina di Camerota, dove si assaggia la maracucciata: il maracuccio, un legume piccolo simile alla lenticchia si coltiva solo qui e viene molito insieme al grano per fare una polentina che viene servita coi ceci maritati. La tappa successiva passa da Cono a Rofrano per gustare gli spaghetti di farina di castagne, un piatto povero nato per superare la crisi e i bucchinotti con castagne e cioccolato, tipici di carnevale. Castelnuovo del Cilento è la tappa finale della via Silente e del viaggio dei due, che chiudono la puntata gustando su un prato il caciocavallo del migrante, un formaggio semiduro che racchiude un gustoso salume al suo interno. La legge degli Stati Uniti proibiva l’introduzione di carni e di salumi, mentre i formaggi erano ammessi. L’ingegno dettato dal bisogno dei contadini in cerca di fortuna diede vita all’idea di inserire i salumi nel caciocavallo, per eludere i controlli e portare con sé i sapori di casa.
Sabrina Ferilli e la Maremma, tra butteri e gnudi
La puntata si apre con un cavalcata alla rincorsa delle maremmane, con il buttero Stefano della La Tenuta di Alberese. La tartare maremmana di Alberese è il primo pasto dei due viaggiatori, che attraversano Talamone e Pitigliano, e degustano i formaggi e i salumi della zona con Enrico, che propone la coppietta, il lardo, la finocchiona e il pecorino toscano.
Si passa poi in cucina con Domenico Pichini che fa provare alla Ferilli gli gnudi maremmani, il ripieno dei tortelli di magro ma senza pasta, un impasto di ricotta, uova e spinaci condito con burro. Si passa poi al dolce, lo sfratto dei Goym, una specialità tipica di Pitigliano e Sorano, nel cuore della Maremma toscana, un piatto che racconta la storia: nel XVI secolo, gli ebrei dell’Italia centrale, oppressi dalle persecuzioni dei papi e del granduca di Toscana Cosimo II, si rifugiarono in zone di confine, come Pitigliano, e vennero riuniti tutti in un unico quartiere, dove iniziò una pacifica convivenza in questa “Piccola Gerusalemme”. Dall’incontro tra le due cucine nacquero la “tegamata”, uno stufato di carne di manzo, pomodoro e patate, il risotto con i carciofi e lo sfratto dei Goym (termine che vuol dire “coloro che non sono ebrei”), nato per ricordare il momento in cui i giudei venivano cacciati dalle loro case da un messo del granduca che, con un bastone – chiamato, appunto, sfratto – batteva sulla porta delle case, intimando agli abitanti di lasciarle.
Ma il viaggio prosegue, alla scoperta delle frittelle di pane, preparate con il tipico pane toscano di Manciano, che fa parte del circuito delle Città del Pane. La lievitazione naturale, la cottura a temperatura non elevata, la notevole pezzatura sono alcuni degli elementi che rendono tipico questo prodotto, ma la caratteristica base è la mancanza di sale, causata dalla storica guerra del sale tra le repubbliche marinare di Pisa e Firenze. Il piatto che Sabrina porterà alla cena è la zuppa di ricotta, tipica di Scansano, un piatto povero che fa diventare i prodotti della terra e dell’allevamento come ricotta, cipolla, spinaci, olio e pane toscano una prelibatezza. I poeti estemporanei accompagnano la cena.
Arriva l’ultima tappa, la più rilassante, dove i viaggiatori si riposano nelle acque sulfuree delle terme di Saturnia, giocando con un uovo e cercando di renderlo sodo con il calore naturale dell’acqua che esce dalla sorgente a una temperatura di 58°. Le terme si trovano in aperta campagna, tra le dolci colline toscane, punteggiate di cipressi, olivi e filari di vigneti.
Pierfrancesco Favino scopre in Méhari la vibrante gastronomia siciliana
Il viaggio dell’ultimo protagonista si apre con le meravigliose immagini delle saline Culcasi a Trapani, dove da oltre 100 anni la famiglia Culcasi produce e commercializza il sale marino di Trapani rispettando le tradizioni degli antichi salinai del territorio, coltivando e raccogliendo questo prezioso frutto del mare all’interno della Riserva delle Saline di Trapani, area WWF e luogo del cuore FAI.
Si passa poi ai prodotti tipici derivati dal tonno, nel negozio Il Tipico da Diego – Prodotti tipici trapanesi, siciliani e di tonnara: i due viaggiatori scoprono la bottarga di tonno di corsa, la più pregiata, il mosciame di tonno, una sorta di bresaola di pesce, e il lattume, che si ottiene dalla lavorazione della sacca del liquido seminale dei maschi del tonno.
Tra il sacro e il profano, si passa ai mandorlati del monastero delle benedettine di Palma di Montechiaro, un paesino arroccato e fitto di case dove si trova un monastero che fa scoprire un pezzo di storia siciliana. Qui dalle monache di clausura si possono acquistare i loro dolci a base di pasta di mandorle.
Per il pranzo i due degustano invece il tagano di Aragona, una sorta di pane molto ricco, aromatico, ricco di gusto e anche di sostanza. La carne viene accompagnata da formaggi e uova e anticamente si preparava in vasi di creta.
Una breve sosta per assaporare i cannoli di Dattilo, considerati i migliori della Sicilia, e via verso le cucine stellate di Pino Cuttaia, per preparare il suo celebre (e complicatissimo!) uovo di seppia. La digestione è garantita dalla famiglia Doria, con il suo rosolio ai fichi d’india, il liquore di Calatafimi. Qui si degustano anche i piatti tipici, come la pasta al pesto alla trapanese e le deliziose cassatelle, un dolce fritto con la ricotta come ripieno. La puntata, e la prima stagione di “Dinner Club”, si concludono al glamping nella campagna trapanese, scoprendo la polvere di terra di lumache, che curiosamente sa di mare.
Pronti a ripetere i viaggi del gusto? Noi di sicuro siamo ansiosi della seconda stagione della serie che ha finalmente cambiato i canoni del racconto enogastronomico italiano.