Uscire dalla pandemiaIl lockdown dei non vaccinati e il rischio di cedere ai moralismi (e non alla scienza)

La proposta di isolare chi non si è immunizzato è irrealistica e sbagliata: rispecchia, in negativo, la Great Barrington Declaration di un anno fa. Con l’arrivo del Covid si è continuato a dividere la collettività in buoni e cattivi, preferendo soddisfare esigenze psicologiche anziché adottare approcci pragmatici e basati sui fatti

di Roman Podlinnov, da Unsplash

Lo scorso anno di questi tempi la discussione sulle risposte appropriate a Covid-19 era infiammata dalla “Great Barrington Declaration”: un documento controverso, promosso da alcuni scienziati, firmato da circa 860mila persone e fortemente avversato da altri studiosi.

La “Dichiarazione” suggeriva, grosso modo, che, anziché porre in essere politiche di confinamento generalizzate, fosse più appropriato concentrarsi sulla protezione dei “vulnerabili”. Questa posizione veniva tradotta, nel dibattito pubblico, nella proposta di un “lockdown per gli anziani”: idea contro la quale militavano due considerazioni di buon senso.

La prima, che la moderna idiosincrasia per le ingiustizie avrebbe fatto fatica a digerire una discriminazione basata sull’età. La seconda, la difficoltà di riuscire ad applicare una misura siffatta. Immaginare una situazione nella quale un poliziotto, per esempio, riaccompagnava a casa una persona coi capelli bianchi o ne multava un’altra perché si era arrischiata a fare una passeggiata ci risultava, giustamente, implausibile.

Oggi si torna a parlare di qualcosa di simile nel momento in cui si prospettano “lockdown per i non vaccinati”. Se la si considera un’idea in buona fede, l’obiettivo è lo stesso della “Great Barrington Declaration”: cioè proteggere i più vulnerabili, in questo caso coloro che non hanno fatto il vaccino e pertanto potrebbero avere una vicenda sanitaria più complicata, all’incontro con Sars-Cov-2.

Il problema è che anche solo contemplare l’ipotesi ci trascina in un caravanserraglio di problemi ed eccezioni. L’opinione pubblica è abbondantemente edotta del fatto che non tutti i vaccini sono uguali, ma tende a non ricordarsi che non tutti i vaccinati sono eguali. Un trentenne vaccinato in buona salute non è un settantacinquenne vaccinato ma con patologie pregresse. Anche al netto del vaccino, gli esiti sanitari di un incontro col virus possono essere molto diversi. Siccome gli individui sono tutti diversi, lo stesso si può dire dei non vaccinati: non aver fatto la vaccinazione equivale a essere più deboli innanzi al virus, ipotizzando una “parità di condizioni” fra due soggetti, uno vaccinato e l’altro no. Un ventenne non vaccinato, per quanto ne sappiamo ora, tende a ammalarsi di Covid-19 in forma molto lieve e non necessariamente più marcata di un settantacinquenne vaccinato, ma con patologie pregresse. Per dare un’idea, Colin Powell è morto di Covid malgrado tre dosi.

Che fare, dunque? Condizionare il lockdown all’anamnesi dei confinati? Immaginare un mix di assenza di vaccinazione e fasce d’età, per cui innanzi a un aumento dei contagi si comincia col chiudere in casa chi ha superato una certa età e non è vaccinato? E subito dopo, chi viene? Un coetaneo vaccinato, o un non vaccinato più giovane? Sulla base di quali parametri? E soprattutto, chi controlla? Immaginiamo ronde di poliziotti che fermano tutti i passanti canuti e gli altri invece a campione, in un gioco allo scova il non vaccinato? Pensiamo di affidare il compito, di nuovo, ai ristoratori e ai proprietari di esercizi aperti al pubblico?

Sin da principio, la pandemia è diventata un terreno di opposti moralismi. Anziché cercare di affrontare i problemi uno alla volta, come hanno fatto in altri Paesi (per esempio, con incentivi positivi) o come per la verità ha fatto il generale Figliuolo, che ha sempre rivolto tutta la sua attenzione al raggiungimento dei target di popolazione vaccinata, abbiamo deciso che la pandemia ci serviva per il nostro gioco preferito: dividere il mondo in buoni e cattivi. Il popolo buono e l’establishment corrotto, o viceversa il popolo bue e l’élite illuminata.

La logica di un lockdown per i non vaccinati, al di là delle difficoltà di trasformarlo da una proposta in una policy, è dichiaratamente punitiva: si vuole colpire chi non ha scelto di vaccinarsi, perché ha scelto di non vaccinarsi. Ha senso? Aiuterà le vaccinazioni? A che prezzo? È un prezzo più alto o più basso, per la società e per i governi, di quello di eventuali incentivi (una lotteria, un sussidio per la vaccinazione, un biglietto del cinema, etc)?

Colpisce che mentre andiamo fieri del fatto che nelle nostre società liberali e democratiche ci facciamo guidare dal consenso informato nelle decisioni mediche, impostiamo quasi ogni ragionamento sulle vaccinazioni prescindendo dall’uso della comunicazione per costruire quella fiducia nel medico che è alla base del consenso.

La vaccinazione è un tema delicato e complesso, che tira in ballo il corpo delle persone. Abbiamo scritto più volte che i vaccini sono l’unico trattamento, a parte alcuni di natura estetica, a cui le persone si sottopongono mentre sono in salute, per prevenire un rischio che è statistico e che di norma non sanno concettualizzare. Bisognerebbe affrontare i timori e gli autoinganni con i quali le persone esitano, ragionando su benefici e costi delle soluzioni proposte. Invece noi abbiamo un nucleo ristretto di persone che ritiene che chi non si è vaccinato sia un bifolco irresponsabile, peggio: qualcuno da irridere sui social, che per reazione rafforzerà le proprie convinzioni (dissonanza cognitiva).

Tutte le opinioni sono legittime, lo è anche sbeffeggiare chi ha paura o non “crede” ai vaccini, ma bisogna vedere in che politica tutto ciò si traduce. Angela Merkel, nella sua ultima intervista, ha messo in guardia contro la crescente polarizzazione della società e suggerito che l’obbligo, nelle zone in cui c’è più renitenza al vaccino, potrebbe avere l’effetto opposto a quello auspicato. Tante cose si possono dire di Frau Merkel ma non che difetti di pragmatismo. Noi aggiungiamo un altro caveat.

La moralizzazione dei non vaccinati si innesta sull’idea che il vaccino rappresenti una sorta di incantesimo che di per sé ci libererà da Covid-19. Sarebbe bello, ma non è detto che sia così. Dal punto di vista della società, i vaccini servono a ridurre le ospedalizzazioni e quindi il rischio di mandare in tilt il servizio sanitario nazionale. A livello individuale, di singola persona e di singolo paziente, vaccinarsi è un atto di responsabilità e prudenza ma non è una magia. Il non vaccinato rischia di più di un vaccinato che ha le sue stesse caratteristiche ma c’è, come direbbe un vecchio medico di famiglia, paziente e paziente. I singoli sbagliano spesso nello stimare i rischi medici per sé ma non necessariamente li stima meglio chi li “clusterizza” dall’alto, decidendo che appartengono a questa o quella categoria di persone sulla base di un singolo dato (l’aver effettuato il vaccino).

L’obiettivo che dobbiamo darci, come Paese, è quello di mantenere immuni quante più persone possibili. Ha senso affannarsi per costringere a vaccinarsi coloro che non vogliono farlo, anziché dare priorità alla terza dose per chi invece la vuole? Siamo sicuri che forme più o meno esplicite di coercizione aiutino la campagna vaccinale?

A un anno e mezzo dall’arrivo di Covid-19 nelle nostre vite, dovremmo provare a ragionare, laicamente, su obiettivi e strumenti per contenere l’epidemia. Dovremmo anche provare a ritarare i sistemi di allarme, ora che ci sono i vaccini, e aiutare il processo inevitabile di adattamento psicosociale alla presenza del virus, che per qualche tempo sarà qualcosa di normale e di sempre più compatibile con un ritorno a una vita comunque soddisfacente e via via più libera da costrizioni.

Invece un aumento dei contagi è sufficiente per rinverdire soluzioni i cui effetti nel contenimento della pandemia sono dubbi, ma servono a fare stare psicologicamente meglio chi le propone. La soddisfazione psicologica nel fare una proposta non è una grande guida per le politiche pubbliche in tempi normali, figuriamoci in emergenza.

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