In cima alla lista dei bookmaker c’è la francese Annie Ernaux. Per vincere il Nobel della Letteratura 2021 l’autrice de “Gli anni” è data 8 a 1 da Ladbrokes. Subito dopo c’è la poetessa e saggista canadese Anne Carson, insieme al giapponese Haruki Murakami, la russa Ludmila Ulitskaya,la canadese Margaret Atwood. Ma anche Maryse Condé, francese della Guadalupa e il kenyota Ngugi wa Thiong’o: tutti dati 10 a 1. Sarà uno di loro ad aggiudicarsi il premio?
Il fatto è che – e ogni anno viene confermato – fare pronostici per il Nobel della letteratura si rivela un’attività oziosa. Le indiscrezioni sono quasi sempre smentite e i papabili finiscono tutti cardinali, per ragioni spesso incomprensibili (il caso Philip Roth è lì a ricordarlo).
Non solo. Con lo scandalo #MeToo del 2018, che aveva comportato la sospensione del premio, i giurati si erano impegnati a rinnovare i criteri di assegnazione: renderli, come avevano detto, più globali e più femminili. In parte è avvenuto: il premio 2018, assegnato nel 2019, è stato dato alla scrittrice polacca Olga Tokarczuk. Quello del 2020 alla poetessa americana Louise Glück. In mezzo c’è stato il controverso riconoscimento a Peter Handke, che a causa delle sue esplicite posizioni filoserbe ha sollevato diverse polemiche.
Il premio 2021, insomma, è quello che potrebbe definire una svolta: il Nobel diventerà più “woke”, come si è chiesto il quotidiano svedese Dagens Nyheter? Dal punto di vista del riequilibrio di genere – secondo i parametri di chi calcola queste cose – un miglioramento c’è stato: due donne negli ultimi tre anni. Ma se si guarda alla geografia, da anni il Nobel rimane confinato nello spazio euro-occidentale. L’ultimo al di fuori di quest’area è stato il cinese Mo Yan nel 2012.
Quest’anno cinque membri sono incaricati di raccogliere un elenco di cinque nomi e sottoporli a tutti i 18 giurati. Loro decideranno, a maggioranza assoluta, chi sarà il vincitore. Secondo quanto spiega al Figaro Jonas Thente, critico del Dagens Nyheter, l’idea è di «trovare un genio locale da un posto che finora è stato trascurato». Se l’atteggiamento può apparire «coloniale», si premura di puntualizzare, «è un colonialismo positivo».
Se si tratta di tornare in Cina, i candidati potrebbero essere Can Xue, Yan Lianke o Lao Yiwu (il cui vero nome è Lao Wei). Se invece si guarderà all’Africa, oltre al già citato Ngugi wa Thiong’o c’è la nigeriana Chimamanda Ngozi Adichie, che forse è troppo giovane (44 anni), o Nuruddin Farah dalla somalia o Mia Couto del Mozambico. Dal medioriente si parla (da anni) del poeta siriano Adonis, che però sembra sulla buona strada per diventare un eterno “quasi” vincitore. Dall’America caraibica, oltre a Maryse Condé c’è anche Jamaica Kincaid, con cui il premio aprirebbe al mondo creolo.
Ma davvero il Nobel si adeguerà al meccanismo delle quote? Potrebbe. Ma potrebbe fare l’esatto contrario. Tra i vari nomi emersi negli ultimi giorni c’è anche quello, più che improbabile, dello scrittore francese Michel Houellebecq, agli antipodi del politicamente corretto. Per i giurati sarebbe una scelta dirompente, ma non certo ingiustificata.
Come ha spiegato il membro dell’Accademia di Svezia Ellen Mattson, in una intervista pubblicata sul sito del Nobel, «l’unica cosa cui guardiamo è il merito letterario». Non c’entra la vita personale, che è giudicata «irrilevante. Noi cerchiamo soltanto letteratura eccellente. Il vincitore deve essere qualcuno che scriva grande letteratura, qualcuno che quando lo leggi senti che lascia una forza, uno sviluppo che si intravede nei suoi libri, in tutti i suoi libri». Sono parole vaghe, concetti difficili da definire. Non lasciano ben sperare.