«La mole della polenta era in ragion dell’annata, e non del numero e della buona voglia de’ commensali: e ognun d’essi, fissando, con uno sguardo bieco d’amor rabbioso, la vivanda comune, pareva pensare alla porzione d’appetito che le doveva sopravvivere. Mentre Renzo barattava i saluti con la famiglia, Tonio scodellò la polenta sulla tafferìa di faggio, che stava apparecchiata a riceverla: e parve una piccola luna, in un gran cerchio di vapori».
Alessandro Manzoni, “I promessi sposi”, capitolo VI
Un monte dorato, caldo e fragrante: la polenta veniva versata direttamente dal paiolo nel mezzo della tavola; al centro, un piccolo cratere veniva riempito di sugo, arricchito con qualche pezzo di carne o di salsiccia. La famiglia si riuniva intorno a questa meraviglia, armata di cucchiai e di una grande fame. La fame, l’”amor rabbioso” di cui parla Manzoni spingeva a gara i commensali, ma la regola vietava di buttarsi a capofitto sul saporito cuore di sugo. Bisognava arrivarci attraversando la distesa bollente, consumando bocconi di polenta scondita per aprire un varco verso il centro e conquistare qualche pezzo di carne. È stata un’immagine frequente per secoli nelle regioni del Nord, dove la polenta è stata a lungo alimento fondamentale nella dieta quotidiana: i “polentoni”, tuttavia, hanno imparato a insaporire l’umile preparazione e a renderla gustosa con quello che c’era a disposizione, ricchi intingoli nei periodi di vacche grasse, un pezzetto di burro e uno spicchio di aglio quando i tempi erano più difficili. Carni, insaccati e verdure, formaggi, panna: persino il latte era ed è compagno della polenta.
Le regole per preparare una buona polenta
La preparazione è semplicissima. Mediamente si calcolano 250 grammi di farina di granturco per litro d’acqua, che possono aumentare o diminuire leggermente a seconda che si voglia una preparazione più densa o più cremosa. Versate l’acqua in un paiolo o in una capace pentola a bordi alti, portatela sul fuoco e salatela al bollore. Generalmente si calcola un cucchiaino di sale per litro di acqua, un po’ meno se la polenta accompagnerà preparazioni molto sapide. Quando l’acqua sta per bollire, versate la farina a pioggia sbattendo energicamente con la frusta per evitare la formazione di grumi. Acqua e farina si amalgameranno in modo uniforme e al bollore la polenta inizierà a rapprendersi. Mescolate allora con il cucchiaio di legno e proseguite la cottura per 40-50 minuti, mescolando ogni tanto: più la grana della farina è grossa, maggiore sarà il tempo necessario a cuocere. Il procedimento è talmente semplice, essenziale, elegante, da essersi meritato un posto in letteratura. Così raccontano la ricetta in poesia i bellissimi versi del Pascoli (Il desinare, da “Primi Poemetti”), che ripercorrono passo passo la preparazione:
Ubbidì Rosa al solito comando.
Sotto il paiolo aggiunse legna, il sale
gettò nell’acqua che fremè ronzando.
Stacciò: lo staccio, come avesse l’ale,
frullò tra le sue mani; e la farina
gialla com’oro nevicava uguale.
Ne sparse un po’ nell’acqua, ove una fina
tela si stese. Il bollor ruppe fioco.
Ella ne sparse un’altra brancatina.
E poi spentala tutta a poco a poco,
mestò. Senza bisogno di garzone,
inginocchiata nel chiaror del fuoco,
mestò, rumò, poi schiaffeggiò il pastone,
fin che fu cotto; e lo staccò bel bello,
l’ammucchiò nel paiolo, col cannone
di pioppo; e lo sbacchiò sopra il tarvello.
In casa Pascoli come nel resto d’Italia, la polenta si cuoceva un tempo sul camino, oggi si cuoce sui fornelli a gas o sul piano a induzione, ma ancora si può acquistare il paiolo di rame. Oltre al paiolo, per preparare la polenta serve il bastone per mescolare. Un tempo era lungo, sottile, tondo, oggi si usa di preferenza la spatola di legno: tuttavia è anche possibile scegliere un paiolo elettrico con una pala che rigira continuamente la polenta, evitando che attacchi. Importantissimo: a mano o a motore, la polenta va mescolata sempre nello stesso verso. È inoltre possibile ricorrere alla pentola a pressione, dimezzando così i tempi di cottura.
Servire e condire: le varianti regionali
La polenta è cotta quando si stacca dalle pareti della pentola: è il momento di versarla sulla tafferia, il classico tagliere rotondo: la si potrà prelevare con un cucchiaio, ma se avete preparato una polenta soda, da servire a fette, per tagliarla usate coltelli di legno, oppure un filo di cotone da cucito, ben resistente, che tenderete stringendolo tra le dita per farlo passare nella polenta. A questo punto potete servire la polenta: semplicemente condita con burro e formaggio, come accompagnamento di piatti di carne o di pesce in umido, insaporita con un ragù o con un sugo di funghi, con una fonduta di formaggio o con quello che vi suggerisce la fantasia. Ancora, la potete friggere a fette, o usare per realizzare gnocchi.
Tantissime sono le preparazioni di cucina regionale, radicate non solo nel Nord, che tracciano una particolarissima geografia d’Italia. In Veneto si preparano sia la polenta di mais giallo, che si sposa con qualsiasi altra vivanda, sia quella di mais bianco, perfetta in abbinamento con il pesce: un classico il binomio con il baccalà; tipici di Belluno sono gli gnoch de polenta, da condire con burro e salvia. Nel Friuli-Venezia Giulia si prepara la polenta pasticciata, con varie carni (maiale, piccione, castrato), accompagnata con il tipico frico, il formaggio di malga cotto. In Trentino-Alto Adige la polenta carbonera si prepara con tre tipi di formaggi, salame, cipolla, sale, pepe e burro. In Lombardia la polenta si serve con l’ossobuco, con il brasato, con la cassoeula, si fa vuncia, con burro e formaggio, si serve grigliata con i missoltini, gli agoni del lago di Como, oppure con latte e un cucchiaio di zucchero. In Piemonte la polenta si accompagna con il classico brasato al Barolo, mentre in Valle d’Aosta si abbina alla ricotta, ai funghi o alla selvaggina. E se in Emilia-Romagna la polenta accompagna le anguille di Comacchio o la picula di cavallo piacentina, nelle Marche si sposa con salsicce e costine di maiale. Il “polentone” grigliato abruzzese si condisce con olio, aglio e peperoncino, mentre in Calabria si fa la polenta con i curcuci, sorta di ciccioli di maiale, e con i broccoli. Ancora, a Napoli la polenta si frigge per ottenere i gustosissimi scagliozzi, così come in Puglia, in Sardegna la si abbina con il pecorino, mentre in Basilicata con la farina di mais si prepara la frascatula, arricchita con lo strutto.
Granturco ma non solo
Base per la preparazione della polenta è la farina di mais. Ma quale? Ne esistono infatti diverse tipologie, che si distinguono in base alla grana di macinazione del mais: la farina bramata è quella macinata in modo più grossolano, adatta per polente rustiche e sode; poi si hanno la farina a macinatura media, per preparare polente più morbide, e quella a macinatura fine, il “fioretto”, ideale per una polenta morbidissima e delicata. Un cenno a parte merita la farina di mais bianco, dalla consistenza sottile e dal gusto elegante. Ovviamente la polenta gialla di granoturco, il formentone dei nostri nonni, è sicuramente la più conosciuta e diffusa, ma si possono fare ottime polente anche con altri ingredienti. Primo fra tutti il grano saraceno, base della polenta taragna valtellinese, così chiamata dal “tarello”, il bastone di legno usato per mescolare l’impasto. Per prepararla si usa un mix di farina di grano saraceno e farina di mais da cuocere a lungo in acqua salata, talvolta mista a latte. La polenta, scura e saporita, viene condita con burro fresco e formaggio Bitto a fette. Ancora, si possono preparare polente con la farina di Castagne, tipica ad esempio dell’Appennino Tosco Emiliano, o con quella di farro, ma anche con i legumi, su tutti le fave.