Nei giorni scorsi la compagnia statunitense Good Meat, sussidiaria della società di alternative vegetali Eat Just, ha annunciato la costruzione della serie di bioreattori più grandi al mondo per la realizzazione di carne sintetica. La carne sintetica (o carne “coltivata”) è un prodotto animale in tutto e per tutto, generata sotto forma di strisce di fibra muscolare attraverso la fusione di cellule staminali (allo stato embrionale o adulto) all’interno di un bioreattore. Il primo hamburger al mondo prodotto in laboratorio è stato cucinato e mangiato nell’agosto 2013 durante una conferenza stampa a Londra; il pasto era stato realizzato dal professor Mark Post e dal suo staff di scienziati della Maastricht University in Olanda, estraendo cellule staminali da una mucca.
Entusiasta del progetto, Good Meat ha dichiarato che i bioreattori produrranno oltre 13mila tonnellate di pollo e di manzo all’anno attraverso il prelievo da banche cellulari o da uova, evitando la macellazione del bestiame. Ciò permetterà di fornire decine di migliaia di negozi e ristoranti. Si tratta di un potenziale punto di svolta per questo settore: in tutto il mondo, le aziende che lavorano sulla carne artificiale sono circa 170, ma Good Meat è l’unica ad aver ottenuto l’approvazione normativa per vendere il proprio pollo su un mercato del panorama internazionale (quello di Singapore, a partire dal dicembre 2020).
La progettazione e la costruzione dei bioreattori avverranno grazie all’accordo di sette anni stipulato con la compagnia di biotecnologie ABEC; saranno dieci, ognuno dei quali con una capacità di più di 250mila litri suddivisi in quattro piani. Il sito verrà completato entro tre mesi e sarà operativo a partire dalla fine del 2024, raggiungendo una capacità di produzione di quasi 14mila tonnellate entro il 2030. Uno dei problemi di carattere ingegneristico sarà garantire che con reattori di dimensioni simili le cellule crescano bene come in quelli più piccoli utilizzati finora.
La notizia ha diversi risvolti positivi: bovini, polli e altri animali hanno un enorme impatto ambientale a causa delle loro emissioni di metano e della filiera industriale legata al loro allevamento. Il bestiame, infatti, rappresenta un fattore di stress ambientale decisivo, in quanto produce circa il 15% delle emissioni globali di gas serra (una cifra superiore a quella dell’intero settore dei trasporti). Le principali fonti di queste emissioni sono il metano della fermentazione enterica dei ruminanti, le emissioni legate alla produzione di mangimi e la gestione del letame. Non solo: gli allevamenti contribuiscono al rilascio di azoto e fosforo nei corsi d’acqua, disturbando gli ecosistemi e provocando l’esaurimento dell’ossigeno nei laghi e negli oceani. Inoltre, la produzione zootecnica consuma circa un quarto di tutta l’acqua dolce disponibile.
Capitolo sapore: nel gennaio di quest’anno la famosa gastronoma israeliana Michal Ansky è stata invitata a un test di assaggio organizzato proprio da Good Meat in un ristorante di Tel Aviv, di fronte a un pubblico e a delle telecamere. Il test consisteva nell’assaggio di due campioni, uno di carne di pollo convenzionale e uno di carne coltivata, al termine del quale Ansky non è stata in grado di individuare il campione sintetico: «È una delle uniche volte nella mia vita in cui sono davvero felice di aver sbagliato» ha detto a fine esperimento la giudice della versione israeliana di MasterChef.
Freno agli entusiasmi, però: negli Stati Uniti la vendita di carne “coltivata” non è ancora stata approvata dalla Food and Drug Administration, nonostante Josh Tetrick – amministratore delegato di Eat Just – ha fatto sapere di aver presentato una domanda in via ufficiale. «Penso che i nostri nipoti ci chiederanno perché mangiavamo carne di animali macellati nel 2022», ha raccontato il numero uno dell’azienda al Guardian. «Abbiamo presentato la nostra domanda. Abbiamo riscontrato che l’agenzia è pienamente impegnata, ponendo tutte le domande che ti aspetteresti, dall’identificazione cellulare al prodotto finale».
Il futuro, a ogni modo, sembra segnato: secondo un rapporto della società di consulenza globale AT Kearney, la maggior parte della carne che verrà consumata nel 2040 non proverrà da animali macellati: la stima è che il 60% verrà coltivato attraverso bioreattori o sarà costituito da prodotti a base vegetale.
A oggi l’industria della carne convenzionale fattura oltre un trilione di dollari all’anno in tutto il mondo ma il rapporto, basato su interviste ad esperti, mette in evidenza i pesanti impatti ambientali della filiera tradizionale e la crescente apprensione legata al destino degli animali negli allevamenti industriali, sottolineando la necessità di un cambio di rotta.