L’Ucraina è il Paese che sognavo da bambino. Gli ucraini sono un popolo fiero, glorioso e antifascista che lotta con coraggio per la sua indipendenza, che freme per la libertà, che respira l’Europa, che guarda l’Occidente, che si sente parte del mondo libero. Un popolo che vuole vivere come noi, libero, non sotto il giogo di un regime autoritario e di un’ideologia illiberale.
Dopo decenni di tentativi più o meno riusciti o più o meno falliti di esportare la democrazia, ecco finalmente un popolo che chiede a gran voce di importare la democrazia occidentale e, assieme ai diritti e alle libertà, di importare anche le armi per difenderla dalle aggressioni autoritarie, con uno spettacolare e tragico cambio di paradigma rispetto all’idea post Iraq secondo cui le armi non servono a costruire una nazione democratica.
Le armi servono, le idee sono necessarie, lo spirito di un popolo è fondamentale.
Gli ucraini conoscono i russi, sanno di chi stanno parlando. Sanno che i russi hanno cominciato a dominarli e a sterminarli ai tempi dell’impero e poi durante la rivoluzione bolscevica fino alla pianificazione staliniana della carestia e all’esecuzione durante le purghe dei leader politici, civili e culturali nazionali considerati nemici del popolo.
Leggere La grande carestia di Anne Applebaum è un’esperienza dolorosa ma anche illuminante perché il metodo russo è sempre lo stesso da oltre un secolo, così come le tecniche e la propaganda. I russi creano sempre una realtà parallela per giustificare i crimini, una volta per dekulakizzare l’Ucraina (cioè per sterminare i contadini) e un’altra volta per denazificarla (cioè per radere al suolo il Paese). Ma si tratta sempre della stessa isteria imperialista e della stessa strategia di pulizia etnica con la medesima finta richiesta di aiuto a Mosca da parte della popolazione russofona dell’Ucraina, che è russofona perché gli è stato imposto di esserlo o per effetto della colonizzazione, ma che in ogni caso è usata come pretesto per invadere e sottomettere gli ucraini. Per dire: oggi il leader dell’autoproclamata Repubblica indipendente di Donec’k, Denis Pushlin, uno che nelle interviste ai giornali italiani dice di non avere nessun rapporto con il Cremlino in realtà è un deputato del partito unico di Putin alla Duma di Mosca, altro che leader indipendentista.
Gli ucraini sanno che l’unica alternativa alla plurisecolare pulizia etnica, linguistica e culturale che subiscono da Mosca è la sconfitta piena e totale dei russi. Sanno che l’alternativa alla loro cancellazione è esattamente opposta alle chiacchiere che si sentono nei talk show o si leggono su alcuni giornali italiani secondo cui basterebbe fare concessioni al Cremlino, rinunciare a qualcosina, abbandonare i propri connazionali in modo da dare una via d’uscita a Putin, perché Vladimir Vladimirovič, poverino, ha proprio bisogno di non uscire umiliato dalla guerra imperialista che ha scatenato.
Per capirci, i sapientoni italiani propongono agli ucraini che da secoli sono soggiogati e uccisi e cancellati dai russi di concedere ai loro aguzzini buona parte del loro territorio. Come è già successo a Bucha.
Cioè la proposta oscena agli ucraini è di accettare una buchizzazione dell’Ucraina. E poi si stupiscono che gli ucraini liquidino come spazzatura putiniana i loro balzani suggerimenti o che alcuni italiani segnalino come propaganda russa le loro pseudoanalisi.
Gli ucraini oggi sono la storia che si è rimessa in moto. Se devono morire, come sono sempre morti, preferiscono farlo lottando contro l’invasore anziché dirgli prego si accomodi pure a stuprare le nostre figlie e la nostra cultura. Gli ucraini lo hanno già dimostrato quando nel 1991 hanno dichiarato l’indipendenza per la seconda volta in un secolo, quando nel 2004 hanno promosso la rivoluzione arancione e poi la piazza europea nel 2013 e nel 2014, e a maggior ragione adesso che vedono finalmente svegliarsi e pronti ad aiutarli coloro che considerano fratelli occidentali, ovvero noi.
Gli ucraini sanno.
Sanno che l’alternativa alla sottomissione violenta è l’umiliazione della Russia, il default militare ed economico, oltre a quello morale, di Mosca e della cosca putiniana.
Gli ucraini sono un popolo reale, vero, d’acciaio, nonostante le fregnacce diffuse dalla propaganda russa e bieloitaliana. Un popolo capace di insegnare molto all’Europa e all’Occidente: intanto a non dare per assodata la libertà di cui godiamo e ad apprezzare i diritti che il mondo libero ha conquistato e altri ancora no.
Gli ucraini li vedi dal coraggio, dall’altruismo e dalla fantasia. Gli ucraini sanno.
Questo numero di Linkiesta Magazine non è semplicemente dedicato a un popolo ammirevole e alla sua battaglia per la libertà, ma è stato ideato, progettato, scritto, disegnato e fotografato da intellettuali, scrittori, registi, designer e fotografi ucraini, sotto la guida della scrittrice Yaryna Grusha Possamai, docente di Letteratura ucraina alla Statale di Milano, collaboratrice de Linkiesta dall’inizio della guerra e protagonista della favolosa serata “Per l’Ucraina, per l’Europa” organizzata da Linkiesta e da Repubblica al Teatro Franco Parenti di Milano il 13 marzo 2022.
Yaryna Grusha ha coinvolto i designer Romana Romanyshyn e Andrij Lesiv per la cover di questo numero, il principale intellettuale contemporaneo ucraino Volodymyr Yermolenko, la scrittrice del Donbas Olena Stiazhkina, il regista tataro di Crimea Nariman Aliev, il direttore dell’Ukranian Institute Volodymyr Sheiko e la saggista di Kyjiv Kateryna Zarembo, oltre a scrivere lei stessa un testo sullo sgomento di vivere la guerra in remoto dall’Italia ma con la famiglia e gli amici sotto la minaccia costante dell’aggressione russa. Le fotografie sono di Stanislav Senyk e raccontano le feste per la maturità degli studenti delle scuole distrutte di Chernihiv.
Siamo partiti dall’entusiasmo rivoluzionario e antifascista della Barcellona degli anni Trenta che George Orwell ha reso immortale in Omaggio alla Catalogna, perché non c’è niente di più simile a quella febbricitante aspirazione antifascista quanto l’universale mobilitazione popolare ucraina contro l’invasore russo. Omaggio all’Ucraina, dunque.
Questo numero ospita anche gli articoli del progetto Big Ideas del New York Times. La “grande idea” su cui si sono esercitati opinionisti, commentatori e personalità internazionali e italiane, a cominciare da Giorgio Armani, Takashi Murakami e Ferran Adrià, gira intorno al tema di che cosa sia oggi la realtà. Ecco, la risposta esatta alla domanda posta dal New York Times è questa: nel mondo di oggi non c’è niente di più precisamente reale di un popolo che combatte per la sua e la nostra libertà contro un nemico ideologico dell’umanità.
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