Giù la Borsa di Mosca: ma secondo alcune voci ovviamente circolate off the records da parte di personaggi con contatti in Russia sarebbe andata a picco ancora di più, se la mafia russa non avesse deciso di salvarla dal disastro totale pompandoci capitali in quantità.
Martedì a fine sessione di negoziazione era crollato dell’8,84% fino a 2215,67 punti quell’indice MOEX che giusto oggi compie 25 anni e che è il principale benchmark denominato in rubli del mercato azionario russo. E del 9,31%, fino a 2.215,67 punti, quell’ RTS che è un indice ponderato per la capitalizzazione del flottante di 50 titoli russi negoziati alla Borsa di Mosca, e il cui elenco è rivisto ogni tre mesi. «In un contesto di notizie e calo dei prezzi del petrolio», informa la Tass. E spiega che tra queste «notizie» ci sarebbe quella che «il governo discute l’introduzione di una tassa aggiuntiva per gli esportatori di petrolio, gas e Gnl».
Insomma, gli investitori non avrebbero reagito a quello scenario di annessioni e mobilitazioni parziali agitato da Putin e secondo il quale in pratica o la Russia deve bombardare l’Occidente di atomiche al prossimo villaggio del Donbass rioccupato dagli ucraini; o lo stesso Putin fa la figura del «guappo di cartone», come avrebbe detto Totò. No. Sarebbero preoccupati delle troppe tasse all’export di greggio. Vero che la Tass ha genericamente aggiunto che «quasi tutte le azioni hanno perso a causa di notizie negative», senza spiegare quali erano queste altre notizie.
Il fatto, però, è che tra i titoli più penalizzati non ci sono stati solo i colossi energetici: -7.90% per Lukoil; oltre il 6% di perdita per Gazprom e Rosneft. Anche la banca di Stato Sberbank ha perso oltre il 6%, mentre il «Google russo» Yandex è sceso addirittura dell’8,50%. Insomma, la sensazione degli osservatori internazionali è che gli investitori abbiano manifestato per l’annunciata escalation un livello di rifiuto ancora più massiccio rispetto a quello dei cittadini che hanno subito esaurito i posti dei voli per Yerevan, Tblisi e Istanbul: ultime destinazioni aeree ancora possibili per andare dalla Russia a qualche Paese con un minimo di immagine di europeo – in particolare i prezzi dei biglietti da Mosca a Istanbul sono saliti alle stelle: eloquente dimostrazione di quanto siano entusiasti i russi in età di potere essere mobilitati per combattere e morire nel carnaio ucraino.
Qualcuno osserva che, a questo punto, le sanzioni diventerebbero del tutto inutili. Basta Putin da solo a sfasciare quel po’ che ancora restava del tessuto produttivo e dei canali commerciali.
C’è però questo «rumor» sulla mafia russa, che peraltro non è l’unico. Da una parte, infatti, nella ridda di ipotesi sulla misteriosa serie di morti di manager e oligarchi che si sono succedute dall’inizio dell’anno non è mancata quella su avvertimenti mafiosi, appunto.
Nello scenario stanno i traffici della mafia russa pesantemente toccati dalle sanzioni; e i vari dirigenti dei Servizi umiliati da Putin o addirittura puniti; e le accuse ai Servizi di avere indotto Putin a agire in Ucraina sulla base di informazioni fasulle. E l’idea sarebbe dunque quella di una trama tra settori della mafia e settori dei servizi: forse per far bruciare un Putin divenuto troppo invadente; forse per resistere a sue scelte considerate disastrose; forse un misto tra le due cose; forse uno scontro tra settori contrapposti. Anche il misterioso attentato in cui è morta Darya Dugina è stato letto come un avvertimento a Putin, attraverso un personaggio che contava poco o nulla, ma poteva essere mediaticamente simbolico.
D’altra parte, si è anche parlato di un “decreto” anti-guerra dei vor v zakone, i «ladri nella legge»: organizzazione di mafia tradizionale risalente ai tempi sovietici, che avrebbe imposto agli aderenti di «restare neutrali» nel conflitto tra Russia e Ucraina. Ma i vor v zakone sono cosa in parte diversa rispetto alla Organizacija: la nuova mafia moderna emersa dopo lo sfasciarsi dell’Urss.
Peraltro una inchiesta giudiziaria spagnola ha tirato fuori importanti collegamenti tra alte cariche dello stato e membri della «banda di Tambov»: il clan mafioso preponderante nella San Pietroburgo degli anni ’90, quando Putin era vicesindaco della città. E c’è una analisi del sistema di potere putiniano come «Stato mafioso» che va avanti da Wikileaks al più recente libro di Moisés Naím.