L’opinione pubblica tende a guardare alla guerra in Ucraina, un conflitto per sua natura estremo, con l’aspettativa che tutte le notizie che ne derivino siano altrettanto spettacolari. È vero per l’offensiva ucraina, che in molti pronosticavano sarebbe stata un trionfo o una disfatta immediati; lo è altrettanto per le sanzioni, che sono state accolte come il preludio a un collasso in stile sovietico.
Questa prospettiva è una mistificazione. Le sanzioni commerciali non sono state pensate per strangolare la Russia, né provocare un cambio di regime o arrestare l’aggressione in Ucraina, anche se sono state vendute in tal modo a diversi interlocutori politici. Il senso delle sanzioni imposte nel 2022, ma anche nel 2014, non è principalmente quello di “far male” alla Russia, o di punirla. Il loro obiettivo primario è deteriorare le capacità dell’industria della Difesa russa e degradare la qualità delle forze armate russe.
Limitando l’accesso di Mosca a tecnologie chiave e strumentazione avanzata, l’invasore non dovrebbe più essere in grado di produrre una serie di sistemi d’arma come missili da crociera ad alta precisione, impianti di telecomunicazione avanzati per coordinare le unità sul campo, e componenti elettroniche per controllare ad esempio droni o disturbare i segnali ucraini. Nella guerra contemporanea, ogni arma e pezzo di equipaggiamento equivale a un’opzione strategica aggiuntiva per le truppe sul campo. Con armi più rudimentali, gli invasori saranno limitati di parte della loro libertà d’azione.
Nel lungo termine
Ciò vuol dire che il regime di sanzioni è necessariamente un veleno a lento rilascio. Nonostante Putin abbia declamato la resistenza russa al «blitz economico» delle democrazie liberali, è solo oggi che iniziamo a vedere gli effetti concreti delle sanzioni sul campo di battaglia.
Questa settimana, Politico ha pubblicato una lista di prodotti tecnologici che Mosca starebbe cercando di acquisire sul mercato nero globale e aggirando le sanzioni tramite intermediari. La maggior parte dei 25 prodotti, individuati dai servizi segreti ucraini, sono microchip di produzione occidentale (da Intel, Infineon e altri). Non è ovviamente possibile corroborare questa lista. Tuttavia, questa notizia si aggiunge a informazioni più sicure: i semiconduttori presenti sulla lista si aggirano attorno ai 40 nanometri (cioè con uno standard produttivo del 2008).
In più, la Russia ha solo due conglomerati, Angstrem-T e Micron, con la capacità di produrre soltanto microchip più datati (da 65 o 90 nanometri, cioè standard nel 2004). Insomma, Mosca è anni indietro nella produzione di massa di chip necessari per la costruzione di missili ad alta precisione, ma anche computer per il puntamento e fuoco di carri armati e artiglieria. Questo non è l’unico prodotto tecnologico che scarseggia: anche lo sviluppo di nuovi sistemi di visualizzazione termica, ad esempio, avevano ricevuto una battuta d’arresto dopo le sanzioni del 2014, e molte delle tecnologie critiche individuate all’epoca non hanno ricevuto una sostituzione adeguata di produzione russa.
Oggi stiamo anzi vedendo una “industrializzazione al contrario”: molte linee di produzione civili stanno tornando a obsoleti standard degli anni ‘70 per sopperire anche alla mancanza di macchinari e strumenti Made in West necessari per sostenere una catena industriale avanzata.
I limiti dell’industria russa
Tornando ai chip: è improbabile che le autorità russe riescano a recuperarne abbastanza tramite il contrabbando, pur trattandosi a volte di esemplari molto datati rintracciabili anche in un microonde o in una lavatrice.
Detto questo, il sistema economico russo non rimarrà a guardare. L’ingombrante ruolo delle industrie di Stato permetterà di convertire facilmente alcune linee di produzione per tecnologie civili a scopi militari. Tuttavia, la sclerotica gestione dall’alto dei colossi statali renderà difficile razionalizzare la produzione e adattarsi alla penuria tecnologica con soluzioni innovative.
La conseguenza, in ogni caso, non sarà l’inabilità a combattere, quanto più la regressione a un modo di combattere più reminiscente dell’Unione Sovietica che dalle dottrine immaginate dagli strateghi russi contemporanei. La speranza è che più le sanzioni faranno effetto, meno la Russia sarà in grado di recuperare il terreno perduto e iniziare a combattere la guerra sofisticata che non è riuscita a lanciare a febbraio 2022.
La conseguenza per i russi, soprattutto se gli ucraini saranno invece in grado di combattere come prediligono, saranno perdite maggiori, la l’incapacità di mantenere l’iniziativa sul campo e un costo sempre più alto per un’economia isolata e indebolita.