Ridentem dicere verum quid vetat?Lo stile provocatorio di Luca Desiata mostra quanto sia ancora viva la lingua di Cicerone

Con il suo ultimo libro, “Il latino per aver successo nella vita”, l’autore originario d’Isernia dà ancora una volta prova di essere capace d’impartire insegnamenti seri con fare accattivante e scherzoso

Wikimedia Commons / Fanciullo che legge Cicerone

Il latino per aver successo nella vita. Certamente più d’una persona riderà al sentire queste parole. Arriverebbe forse a schernire chi le avesse pronunciate. Ma Luca Desiata, che così ha intitolato il suo ultimo libro per i tipi ortonesi Vestigium (pp. 123, 12,90€), ne può ben rivendicare la fondatezza e dirlo orgogliosamente di sé.

Originario d’Isernia, dov’è nato il 10 dicembre 1971, e laureato con lode in ingegneria meccanica all’università di Pisa, ha infatti ricoperto, a partire dal ’95, ruoli di rilievo in multinazionali, agenzie mondiali, società dello Stato italiano. Di quella per la gestione degli impianti nucleari (SOGIN) è stato amministratore delegato tra il 2016 e il 2019. E proprio nel 2019 Forbes Italia lo ha inserito tra i 100 manager vincenti dell’anno.

Ma già alcuni anni prima Luca Desiata era balzato agli onori della cronaca per un singolare primato. A imporlo alla pubblica attenzione e ammirazione proprio la lingua di Cicerone, con cui, sotto lo pseudonimo di Lucas Cupidus, pubblica dal 2014 Hebdomada Aenigmatum. Si tratta della prima rivista di enigmistica e cruciverba in latino, dopo la quale il manager classicista ne ha fondato il corrispettivo in greco antico Ὀνόματα Kεχιασμένα.

Tre anni fa è diventata un libro, autentico bestseller internazionale pubblicato dall’editrice francese Maison du Dictionnaire: identico il titolo, identici i nomi dei coautori, componenti della redazione del periodico: Theodorus, di cui si ignora l’identità, Lydia Ariminensis, ossia Lidia Brighi, e Ava Rela, l’ex professoressa di liceo Rela Girolami scomparsa nel 2018 all’età di 96 anni.

Proprio a quest’ultima, riguardata in vita come decana del gruppo e come tale ancora ricordata, Luca Desiata ha riservato il più ampio dei ringraziamenti posti in un certo senso – ed è bello pensarlo – a explicit de “Il latino per aver successo nella vita”. L’«instancabile e vulcanica creatrice di giochi enigmistici in latino» vi è infatti tratteggiata quale «riferimento ed esempio di forza di volontà e di creatività».

Dell’una e dell’altra è intrisa ognuna delle 128 pagine della nuova opera, in cui l’autore ha di quelle trasfuso il senso più profondo. Ma con uno stile così leggero e divertente da rendere “Il latino per aver successo nella vita” una pubblicazione controcorrente e provocatoria. Desiata dà insomma prova di persona capace d’impartire insegnamenti seri con fare accattivante e scherzoso: per lui si potrebbe ripetere la massima latina ancora in uso con tale significato, che è in realtà uno splendido passo oraziano: «Ridentem dicere verum quid vetat?» (Sermones I, 1, 23-24: «Che cosa vieta di dire il vero ridendo?»).

Scritto col fine primario di «rispondere a una necessità molto sentita nelle scuole da parte sia di professori che di genitori i quali non riescono a far appassionare i ragazzi allo studio del latino», il libro si suddivide in due parti.

Nella prima, che si compone di due capitoli, viene mostrata tutta l’inconsistenza della solfa del latino lingua morta, che è al contrario più viva che mai nel mondo moderno: dalle convenzioni internazionali ai motti di nazioni e università, dai nomi di vini e di cantanti ai tatuaggi di divi e dive di Hollywood. A tal riguardo Desiata menziona, a titolo d’esempio, la coppia Pitt-Jolie, che si sono fatti rispettivamente tatuare le scritte «Invictus» (Invincibile) e «Quod me nutrit, me destruit» (Ciò che mi nutre, mi distrugge). Ma latino lingua viva anche come idioma di compromesso in organizzazioni transnazionali quando non si vuole fare un torto a membri delle stesse.

Nella seconda parte, che si compone di 16 capitoli, si passano invece in rassegna i vari ambiti della vita in cui l’autore mostra come sia addirittura possibile «avere successo con il latino! Ci scrolleremo di dosso – si legge nell’introduzione – una volta per tutte quella patina di polverosità e noia che contraddistingue lo studio di questa materia nelle scuole con l’obiettivo di restituirle non solo dignità e lustro ma anche una connotazione “pratica” che tanto piace ai personaggi di successo che affollano le nostre televisioni».

Si parte così dal sacro, col sottolineare l’ineffabilità esperienziale nel partecipare alla messa in latino, per arrivare al profano, ossia il linguaggio internazionale del sesso e dell’arte amatoria, passando per il mondo del lavoro, i contesti internazionali, la cucina, lo sport, la musica, la politica.

Ambito, quest’ultimo, in cui vengono addotti non pochi casi di strafalcioni in latino da parte di parlamentari, tra i quali la palma va data a Vito Crimi col suo «homus politicum».

Questo singolare iter si conclude con un gustoso ripasso di tutto il lessico «per eccellere nell’arte amatoria»: da cunnilingus a penilingus, da fellatio a irrumatio, da mentula a vagina, da vulva a phallus, da futuo a coeo fino alla triplice distinzione del bacio, per i quali i Romani potevano ricorrere a ben tre parole: basium, osculum e savium (o suavium).

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