Storie di resistenzaNoi tatari di Crimea siamo da sempre filo-ucraini perché conosciamo il peggio della Russia

Per trecento anni abbiamo combattuto con Mosca per la sopravvivenza. Ogni volta siamo stati sterminati e allontanati dalla nostra terra, con la distruzione della lingua e della cultura. Anche per questo oggi scelgono l’Europa

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Sono nato nel 1992 nell’Ucraina sovrana e indipendente, che ho sempre associato all’Europa e ai valori europei. Qui mi sono sempre sentito diverso, perché sono diverso. Di origine sono tataro di Crimea. Tutta la mia famiglia è composta da tatari di Crimea, che, a cavallo tra la fine degli anni Ottanta e l’inizio degli anni Novanta, sono tornati nelle loro terre dopo essere stati deportati dal regime sovietico in Asia centrale il 18 maggio 1944: per più di quarant’anni, i tatari di Crimea avevano vissuto da sfollati senza possibilità di tornare a vivere nella propria terra.

Sono cresciuto in un mondo illogico, da tataro di Crimea nella propria terra di origine (la Crimea, appunto), in un Paese chiamato Ucraina, in un ambiente russofono con una netta narrazione filorussa. Io non ho mai associato la Crimea alla Russia e neanche l’Ucraina alla Russia. Con tutta la sua eredità di Stato postsovietico e con un elenco di problemi tuttora da risolvere, l’Ucraina ha sempre cercato di farsi una propria strada dal punto di vista politico e sociale. La Crimea è stata annessa nel XVIII secolo dall’Impero russo e per trecento anni i tatari di Crimea hanno sempre combattuto per la loro sopravvivenza. Venivamo sterminati sistematicamente e spinti fuori dalla nostra terra: per questo non abbiamo mai accolto le idee filorusse. Ci sono due narrazioni diverse in Crimea: e noi tatari siamo filoucraini, e quindi filoeuropei, oppure filorussi? I tatari di Crimea sono stati sempre filoucraini. E abbiamo sempre visto la nostra Crimea come parte integrante dell’Ucraina democratica. Dal 2014 ci chiedono di rinunciare ai valori che condividiamo con gli ucraini e che per noi coincidono con quelli europei. Ce lo impongono con le armi in mano, minacciando di eliminarci del tutto, manipolando i fatti e la storia, rimuovendo i riferimenti che possano testimoniare questa eliminazione.

La Russia non vuole solo controllare l’Ucraina, la vuole annientare. La questione della libertà rimane fondamentale sia per noi sia per il nostro nemico. Per la Russia la libertà dell’Ucraina significa la morte del “mondo russo”, il quale non potrà mai esistere accanto all’Ucraina libera e democratica proprio al di là dei suoi confini. Ma, per quanto la Russia provi a manipolare l’Ucraina attraverso l’espansione politica, culturale, migratoria, ed economica (perché l’espansione militare è solo l’ultimo mezzo al quale può ricorrere un Paese aggressore), l’Ucraina cerca di resistere. Attenzione, però, perché la Russia ha già attivato anche in altre parti d’Europa alcuni tipi di espansione non militare. Nel 2014 abbiamo perso la guerra dell’informazione, una guerra nella quale la Russia investe milioni, miliardi. È sempre più facile credere a una menzogna che smentirla. E le menzogne russe sono come i razzi. Partono in cento e se anche la difesa antiaerea ne abbatte novantasei quattro arrivano a destinazione. E con quelle quattro la Russia comincia a lavorare.

Mosca ha sempre sfruttato i punti deboli dei Paesi che sono il suo obiettivo. Nella primavera del 2014 la vittima era l’Ucraina, la quale, anche se era riuscita a cacciare dal Paese il presidente filorusso Viktor Janukovyč, era in attesa delle elezioni democratiche. Uno dei razzi della propaganda russa si basa sulla narrazione dei “popoli fraterni”. E questo razzo è arrivato a destinazione in Crimea. I militari crimeani consideravano “fratelli” i marinai russi della flotta russa a Sebastopoli. Vivevano negli stessi palazzi, i loro figli andavano nelle stesse scuole, bevevano la stessa vodka. Nessuno si stava preparando a una guerra uno contro l’altro. Quando i militari russi hanno puntato i fucili contro i militari ucraini, gli ucraini non sono stati pronti a rispondere.

La Russia, quando occupa un territorio, inizia a distorcere la realtà, chiude l’accesso all’informazione libera e cancella il collegamento con il mondo esterno e la possibilità di esprimere i propri pensieri liberamente. Nei territori occupati viene costruito il culto della Russia. Il pensiero critico viene eliminato e le persone cominciano a parlare per slogan. In Crimea, insieme a tutto questo, dopo il 2014 è stata anche usata l’espansione migratoria con l’arrivo di nuova popolazione russa. Gli attivisti filoucraini e i tatari di Crimea hanno dovuto lasciare la penisola. Quelli che sono rimasti, sono finiti dietro le sbarre per non aver voluto tradire i propri principi e la propria patria. Tanti di loro sono già usciti dalle prigioni, ma sono tornati a vivere sotto l’occupazione. Tutta questa politica è l’eredità dell’Impero russo e successivamente dell’Unione Sovietica, anche se non nella stessa misura, perché adesso la Russia sta cercando di creare una falsa immagine su come si vive bene sotto occupazione. L’occupante non può essere, per definizione, buono, perché se ne frega del pensiero dei locali, fa quello che gli conviene. Oggi gli conviene dare un pezzo di pane e lo dà, domani invece no, e magari causa una grande carestia come quella del 1932-1933. Contare sulla clemenza degli assassini è stupido.

I tatari di Crimea sono sopravvissuti e hanno tramandato la propria cultura grazie a un meccanismo di conservazione. Quando ti cancellano la soggettività, quando cercano di eliminarti e di assimilarti, quando qualsiasi menzione ufficiale della tua identità viene tolta dai libri, come è successo ai tatari di Crimea dopo il 1944, l’unica cosa che puoi fare è chiuderti in te stesso, per poter preservare briciole di identità, tradizione, lingua, memoria e storia. Siamo stati deportati per più di 45 anni e ora siamo sotto l’occupazione russa della Crimea e non abbiamo più la possibilità di svilupparci liberamente. In Ucraina avevamo almeno la libertà di farlo, la libertà di essere noi stessi.

La nostra lingua sta lentamente morendo. La si usa per parlare e per scrivere, ma non è unificata. È rimasta congelata. Mentre le altre lingue si sono evolute, dando un nome ai nuovi concetti, i nuovi termini della nostra lingua sono di derivazione russa.Quando nel 2014 la Russia ha invaso l’Ucraina, ho capito subito che cosa sarebbe potuto succedere a noi e agli ucraini. La forza degli ucraini sta nell’avere un loro Stato sovrano, un territorio e una cultura. E nell’avere una lingua che, pur essendo stata ferita, distorta, stuprata e repressa dal regime sovietico, si è conservata di più rispetto a quella dei tatari di Crimea. Noi non abbiamo avuto la stessa possibilità. Se la Russia vincerà questa guerra, e raggiungerà i suoi obiettivi, il popolo ucraino, com’è già quasi successo al mio, tra due o tre generazioni non ci sarà più. Gli ucraini hanno sempre lottato, hanno perso, ma hanno sempre continuato a lottare. Non esserci riusciti e non aver fatto niente per riuscirci sono due cose diverse. Ecco, i russi non stanno facendo niente. Loro non credono nemmeno di poter cambiare qualcosa. Forse è questa la cosa più tragica, perché quando una persona non crede di poter fare qualcosa significa che dentro è morta.

Se la Russia fosse riuscita a prendere l’Ucraina nel 2004 o nel 2014, oggi non avrebbe lanciato missili verso Kyjiv, Kharkiv e Odessa, ma verso Varsavia, Vilnius e Praga. E forse questi missili sarebbero partiti dal territorio ucraino, come oggi vengono lanciati dal territorio bielorusso verso il territorio ucraino. La Bielorussia è l’esempio di un Paese che non ha potuto resistere all’espansione russa, pur se del tipo “leggero”. L’Ucraina ha resistito, per questo sono venuti a casa nostra con le armi. L’Ucraina per ora svolge il ruolo di fortezza d’Europa. Se l’Ucraina cade, l’Europa sarà costretta a un faccia a faccia con la Russia. L’Europa non capisce ancora che la localizzazione di questa guerra è soltanto temporanea.

Quando mi chiedono se credo nella possibilità di poter reintegrare la Crimea nell’Ucraina, io rispondo di sì. La Russia cerca di uccidere la nostra speranza e la speranza è l’ultima fortezza per chiunque abbia un obiettivo. I miei nonni e i miei genitori deportati non avevano nessuna possibilità di tornare in patria, ma se non avessero creduto di poter tornare non sarebbero mai tornati. E io non sarei mai nato in Crimea, ma da qualche parte in Asia centrale, e forse non mi sarei mai identificato come un tataro di Crimea. Invece la speranza e la fede che un giorno saremmo potuti ritornare ci ha sempre tenuti a galla e ci ha aiutato a conservare la memoria. E forse questa è la cosa più importante.

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