«Le tattiche della National security agency (Nsa) e le sue costanti minacce e intimidazioni, stanno distruggendo le vite di attivisti, difensori dei diritti umani e operatori delle Ong. Non possono lavorare né viaggiare e passano le giornate temendo di essere arrestati. L’obiettivo è chiaro: stroncare l’attivismo politico e quello per i diritti umani», queste dichiarazioni di Philip Luther, direttore delle ricerche sul Medio Oriente e l’Africa del Nord di Amnesty International, riassumono perfettamente il clima di terrore e di repressione che aleggia in Egitto, sede della ventisettesima Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici del 2022 (6-18 novembre).
In un periodo in cui, tra zuppe lanciate sui quadri e vetrine imbrattate, l’attivismo e la disobbedienza civile per il clima sono al centro dell’attenzione mediatica, la Cop27 di Sharm el-Sheikh potrebbe essere contraddistinta da una scarsissima presenza della società civile.
Quest’ultima, però, è un elemento chiave per la credibilità di un appuntamento in cui la voce delle nuove generazioni non può rimanere inascoltata. Ecco perché Greta Thunberg, presente a Glasgow nel 2021, ha deciso di non partecipare all’evento climatico più importante dell’anno: «Lo spazio per la società civile sarà estremamente limitato. La polizia non garantirà l’opportunità di una mobilitazione. Le conferenze Cop non intendono davvero cambiare l’intero sistema. Sono utili per i progressi graduali, ma non per i cambiamenti radicali».
Da mesi gli attivisti ambientali stanno aspramente criticando la scelta di organizzare la Cop27 in uno Stato che conta circa mille prigionieri politici e in cui il dissenso viene represso con violenze e arresti. Critiche che, a meno di una settimana dall’inizio, si stanno sempre più concretizzando. Sotto il governo di Abdel Fattah al-Sisi le manifestazioni pubbliche sono di fatto vietate, e già questa è una partenza in salita. In più, diversi quotidiani internazionali hanno accusato gli organizzatori della Cop di aver limitato gli accrediti e i badge riservati agli attivisti, soprattutto quelli provenienti dalle Nazioni più povere.
Ufficialmente, il governo egiziano ha affermato che l’inclusione della società civile alla Cop27 è una priorità, concedendo a 35 Ong locali di partecipare alla conferenza. La realtà, però, pare non così rosea. Hossam Bahgat, fondatore dell’Egyptian initiative for personal rights (Eipr), ha detto all’agenzia Reuters che «l’elenco delle organizzazioni accreditate non include una singola associazione per i diritti umani: non c’è nessuno dei gruppi indipendenti per i diritti umani in Egitto, compresi quelli che stanno lavorando sul rapporto tra diritti umani, giustizia ambientale e giustizia climatica».
Tuttavia, secondo un portavoce della Cop27 sentito sempre da Reuters, il processo di selezione dei membri della società civile è stato «completamente trasparente» e approvato dall’Onu dopo minuziose verifiche. Ufficialmente, secondo le Nazioni unite, sono state accreditate circa diecimila persone provenienti da quasi duemila organizzazioni diverse: numeri simili a quelli della Cop26 di Glasgow.
Per gli attivisti non sarà semplice accedere all’area di Sharm el-Sheikh da domenica 6 novembre. La città egiziana, situata tra il deserto della penisola del Sinai e il Mar Rosso, è delimitata dal mare (da un lato) e da un muro di cemento e filo di ferro di 36 chilometri (dall’altro) che la separa dal deserto. Si può raggiungere in aereo o attraverso strade colme di posti di blocco delle forze di sicurezza egiziane. Sharm el-Sheikh sarà blindatissima e, secondo Bahgat, «sarà praticamente impossibile entrare per chiunque non sia accreditato per la Cop27».
A scoraggiare gli attivisti, specialmente quelli provenienti dai Paesi più poveri, sono anche i prezzi degli hotel. Solo tre settimane fa il governo egiziano ha messo a disposizione delle stanze a trenta-quaranta dollari a notte e annunciato un tetto massimo di centoventi dollari per gli alberghi a due stelle.
Una decisione presa estremamente in ritardo, secondo i membri di diverse organizzazioni: «C’è un problema di accesso per la nostra gente dall’Africa. Sarà un vertice altamente regolamentato e non ci sarà spazio per le domande scomode», ha detto Omar Elmawi, attivista per il clima dell’Africa orientale e membro della Cop27 Coalition.
I timori di Elmawi e Bahgat sono confermati da un report di Human rights watch, secondo cui il governo egiziano – anche attraverso la violenza e finanziamenti arbitrari – ha costantemente scoraggiato e represso i gruppi ambientalisti locali, costringendo alcuni membri a lasciare lo Stato. L’Ong con sede a New York sostiene che dal 2014, anno di insediamento di Abdel Fattah al-Sidi, lo spazio per l’ambiente e per il clima si sia drasticamente ridotto all’interno del Paese. Gli attivisti – rimasti anonimi – intervistati da Human rights watch hanno parlato di molestie, intimidazioni, restrizioni di movimento e arresti: ingredienti che creano un’atmosfera generale di paura. Lo stesso clima descritto a inizio ottobre da alcuni membri indipendenti del Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite (Unhrc).
«La crisi climatica non riguarda il pianeta. Il pianeta sopravviverà a tutti noi. La crisi climatica riguarda la vita sul pianeta. E la vita in Egitto, ora, è molto pericolosa. Mio fratello non deve morire in prigione», ha detto con la voce rotta Sanaa Seif, sorella dell’attivista Alaa Abd-el Fattah (condannato a cinque anni di carcere e in sciopero della fame da più di duecento giorni), durante un intervento al Parlamento europeo.