L’alternativa che non c’è Il Pd è rimasto senza alleati, senza scopo e senza un (vero) segretario

Ai Democratici servirebbe un guizzo, una ritrovata fantasia politica, una qualche scelta forte, laddove oggi regnano solo rabbia, frustrazione, confusione

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Del campo largo saltato per aria in agosto, tre mesi dopo non rimangono nemmeno le briciole da beccare come fanno gli uccellini nei parchi: la vecchia linea di Enrico Letta è stata bombardata e verosimilmente non tornerà più, dopo Carlo Calenda anche Giuseppe Conte saluta e se ne va; solo che al suo posto non se n’è trovata un’altra, e quindi non ha del tutto torto chi nel Partito democratico immagina di lavorare sul partito piuttosto che lambiccarsi nei discorsi sulle alleanze. 

L’inconveniente però è che ormai il Pd è non solo indebolito ma anche respingente: fatto salvo Roberto Speranza e il suo microscopico partito, Articolo Uno, che si appresta a (ri)entrare al Nazareno, i rapporti col Terzo Polo sono ormai catastrofici ma nemmeno con il partito personale di Giuseppe Conte le cose vanno meglio. 

Se in Lombardia il nome di Letizia Moratti ha ulteriormente allargato il fossato tra Letta e Calenda, con il Pd alla ricerca di un nome un minimo credibile anche se destinato alla sconfitta, nel Lazio il pazzesco aut aut di Conte – ci alleiamo se il Pd molla il rigassificatore voluto dal sindaco di Roma Roberto Gualtieri – equivale a mettere una pietra tombale su quell’ipotesi di intesa demo-populista strenuamente voluta da Nicola Zingaretti, storicamente il più filocontiano dei dirigenti dem assieme al suo maestro Goffredo Bettini, che certo non deve essere contento di lasciare una regione politicamente in macerie. 

La probabile rottura fra M5s e Pd nel Lazio in un Paese normale dovrebbe semmai agevolare un’intesa con Azione sul nome di Alessio D’Amato, ma il Nazareno non è un posto normale e dunque anche qui si naviga al buio; ed è in questo quadro che il partito di Letta ha respinto le avances dell’avvocato del popolo affinché mandasse alla guida del Copasir l’amico Francesco Boccia preferendogli i nomi di Lorenzo Guerini o Enrico Borghi, di gran lunga più qualificati del braccio destro del segretario che ogni tanto si deve arrendere e concedere alle altre correnti. 

Ma non è sfuggito a nessuno che persino Bettini in un’intervista al Corriere della Sera ha escluso di voler dar vita a una Cosa con Conte, evidentemente consapevole che se vuole combattere contro gli Stati Uniti e il capitalismo l’avvocato foggiano serve a poco. È chiaro che “Goffredo” sapeva bene che “Giuseppi” stava preparando le ostilità col Pd, i due ne avranno senz’altro parlato alla cena per il compleanno del primo, c’era pure Massimo D’Alema, l’altro ideologo del popu-comunismo.

Eppure la conferenza stampa di ieri dell’ex presidente del Consiglio è stata molto più dura del previsto, partendo da una sua personale indisponibilità di andare al Copasir (evidente ritorsione per la mancata scelta di Boccia di cui si è detto prima) per finire alla pre-rottura sul Lazio. 

In pochi giorni dunque il Pd si è giocato i potenziali alleati che ormai, come avevamo scritto, giocano a colpirlo ai fianchi in una sorprendente ma non inspiegabile convergenza una volta compreso che l’immobilismo di Letta, che ormai pensa solo a come uscire vivo dal congresso-dei-cinque-mesi, fa ogni giorno perdere punti al suo partito, sceso per Swg al 16 per cento. 

Come in un gioco di specchi, Conte erode da sinistra con il “pacifismo” sottilmente anti-Zelensky e con l’ambientalismo anti-rigassificatore, mentre Carlo Calenda e Matteo Renzi mangiano sulla destra con un movimento corsaro che peraltro non esclude di candidare un uomo di sinistra come D’Amato nel Lazio. 

Preso a sberle da ambo i lati, come il comico americano Red Skelton in quel film dove vestito per metà da nordista e metà da sudista si beccava le pallottole da entrambi, Enrico Letta si trova sempre in affanno, in ritardo. Servirebbe un guizzo, una ritrovata fantasia politica, una qualche scelta forte, laddove oggi regnano solo rabbia, frustrazione, confusione. 

Non bastano neppure i tanti motivi che il governo Meloni offre, a partire dalla vergognosa vicenda dei migranti, per fare un seria opposizione in grado di parlare al Paese perché anche quando il Pd leva la sua voce, questa appare strozzata come se un’incipiente afonia lo prendesse alla gola, mentre tutto intorno si muove come se Letta quasi non esistesse, e non è davvero una condizione invidiabile e neppure sana per la qualità della democrazia italiana.

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