Fratelli d’ItaliettaLa legge di bilancio dimostra che Meloni governa il paese come un tinello

La finanziaria è penosa, non solo per alcuni contenuti impresentabili, ma anche per una conduzione tecnica amatoriale e politicamente inadeguata

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Sorpresa di Natale: Giorgia Meloni è una leader fragile. L’influenza di stagione che la sta colpendo non aiuta, ma è chiaro che non è di questo che stiamo parlando. È che stiamo vedendo che non solo la donna urlante del palco di Vox («Yo soy Giorgia, suo una mujer, soy una madre») ma anche la Giorgia che dai cartelloni elettorali garantiva «siamo pronti» in realtà alla prima vera prova politico-parlamentare si è inabissata. Si è lasciata travolgere. Non ha avuto il polso della situazione.

Non sono solo i ministri, i sottosegretari, gli staff a essere scarsi tecnicamente: troppo facile cavarsela così. È debole lei. Lo spettacolo da commedia all’italiana che stiamo tutti vedendo ha infatti una precisa matrice po-li-ti-ca che fa capo al presidente del Consiglio, che a norma di Costituzione (art. 95) «dirige la politica generale del governo e ne è responsabile».

La conduzione alla Camera della sessione di bilancio da parte del governo è penosa, sarebbe troppo lungo fare qui l’elenco di fatti e misfatti cui il Paese ha assistito con sgomento, rabbia e punte di ilarità, e la presidente del Consiglio sembra fregarsene.

Sulle tante marce indietro si è già scritto di tutto. Si aggiungono ora follie allo stato puro come la norma sui cinghiali che sarà possibile massacrare, macellare e mangiare: Petronio nel suo Satyricon non avrebbe saputo fare di meglio. Si vedono norme che entrano e escono, altre votate per errore, ritorni in commissione, bocciature da parte della Ragioneria dello Stato per mancanze di coperture, notizie date e poi smentite, inutili cattiverie come sul bonus cultura per i diciottenni, la minaccia di togliere lo Spid, e anche la perdita del reddito di cittadinanza senza dire con che cosa, come e quando verrà sostituito.

Ma al di là dei pasticci, che sono anche l’effetto della rivalità tra gli “alleati” alla stregua di quello che avveniva negli anni Ottanta col pentapartito, nella illogicità del suo operare in questi giorni Meloni ha fatto balenare una specie di Italietta del tempo che fu, si è avvertito come un vagheggiamento di un’Italia in bianco e nero, quando si andava dal medico di famiglia, che aveva curato il padre e il nonno, per prendere la ricetta, e di ritorno a casa si passava alla posta per fare un vaglia, altro che Spid, e magari a fare la spesa di cose rigorosamente italiane pagando in contanti, altro che Pos, sempre che a casa in questa congiuntura si riesca ad arrivare senza imbattersi in improvvisati cacciatori di cinghiali impegnati a contenere la fauna selvatica – recita il testo della norma – «mediante abbattimento e cattura» nella speranza di non essere scambiati per una grossa faina.

La premier forse senza accorgersene ieri a Porta a Porta ha detto che «c’è un’Italia che che vuole credere, vuole combattere con te, vuole andare avanti, che non vuole sentirsi eterna cenerentola perché non lo è». Ma al di là dell’obbedire e combattere (ha dimenticato il «credere») la sensazione è che i “Fratelli d’Italietta” immaginino la penisola come un grande tinello familiare senza complicazioni e regole – per quelle c’è la sinistra –, prospettandosi insomma il melonismo come una via di mezzo tra la cadenza lenta dei dorotei e il vitalismo dei più accesi nostalgici.

Il tutto mescolato nella sapida minestra della insipienza tecnica e dell’autoreferenzialità politica – magari qualche consiglio di Carlo Calenda potevano prenderlo – con un effetto che dopo l’anno draghiano stride come un’unghiata sulla lavagna, ricorderete quell’«eccellente banchiere», come lo ha definito Francesco Boccia, che insieme al rigorosissimo ministro dell’economia Daniele Franco, la sessione di bilancio l’aveva affrontata come Niki Lauda affrontava le curve: alla perfezione.

Invece oggi ci troviamo dinanzi a una macchina che romba – «automobile ebbrrra di spazio che scalpiti e frrremi d’angoscia...», la filastrocca del Marinetti che tanto piace agli intellettuali della nuova destra al potere – ma con un pilota alla guida che già s’ingarbuglia tra gli ingranaggi della politica.

Non siamo evidentemente di fronte a una crisi di questo governo, anche per la strutturale mancanza di alternative, ma dinanzi a un’evidente incapacità che forse un mese fa non era prevedibile questo sì. Nella polarizzazione tra un governo imprevedibilmente così scarso e un’opposizione così sfrangiata, quest’anno il Natale, come diceva Eduardo, «si è presentato co’ tutt’e sentimenti»: e non c’è un Draghi in vista.

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