UKraineIl futuro di Boris Johnson passa dall’Ucraina più che dal Regno Unito

L’ex primo ministro è un attivista instancabile della causa di Kyjiv, a cui ha dedicato un editoriale strepitoso, ma stavolta è lui ad aver bisogno dell’amico Zelensky. Il viaggio ha obiettivi di politica interna più che internazionale: riprendersi il partito conservatore alle prossime elezioni

L'ex primo ministro inglese Boris Johnson a Kyjiv per una visita a sorpresa
Associated Press/LaPresse

Secondo il Telegraph, il 2023 sarà l’anno di Boris Johnson. Di nuovo. Se n’è mai andato? A parte questo, l’ex primo ministro inglese non ha smesso di progettare il ritorno al potere. Meditava di farlo quando è imploso il governo di Liz Truss e conserva mire sul partito. L’«Hasta la vista, baby», pronunciato all’addio da premier, era un intento programmatico. È convinto di poter guidare alle prossime elezioni i conservatori, i cui scandali sono rimasti a Downing Street nonostante la defenestrazione di Boris. Persino il suo viaggio a sorpresa a Kyjiv, non concordato con l’ambasciata, rientra in questa strategia: cercare quanto resta della sua leadership e del prestigio perduto nell’Ucraina che lo ama più della madrepatria.

La stampa britannica ha visto nel blitz del «parlamentare semplice» di Uxbridge un tentativo di delegittimare l’esecutivo di Rishi Sunak. Il capo di governo in carica era stato in Ucraina a novembre, proprio per riaffermare il sostegno di Londra. Con il presidente Volodymyr Zelensky, che lo ha accolto domenica scorsa, Johnson vanta una celebrata «bromance». Nelle foto dell’incontro, quella istituzionale al tavolo, davanti all’ex premier svetta una bandierina del Regno Unito, gemella di quella ucraina di fronte a Zelensky, ma non risultano incarichi ufficiali. Per questo, il viaggio rischia di avere più ricadute sulla politica interna di quante non ne avrà su quella internazionale.

A Kyjiv Johnson ha ricevuto la cittadinanza onoraria. In Ucraina è considerato un eroe. Non a torto. La mobilitazione per il Paese invaso va ascritta nel proverbiale «Ha fatto anche cose buone» di un premierato disastroso. Ha sempre strigliato l’attendismo degli alleati, è rimasto un attivista instancabile della causa ucraina. È volato a Kyjiv a febbraio 2022 e poi è stato tra i primi a tornarci, ad aprile, non appena le colonne russe si sono ritirate dai sobborghi della città. Anche stavolta, ha usato la piattaforma per criticare le titubanze del cancelliere tedesco Olaf Scholz sull’invio di carri armati Leopard 2 (finalmente sbloccato).

Rispetto al passato, o all’ultimo abbraccio di agosto per il Giorno dell’Indipendenza, i rapporti di forza con Zelensky si sono invertiti. Adesso è Johnson ad avere bisogno del presidente, che gli resta grato come si deve a un amico che c’era nel momento del bisogno, e non più il contrario. Cerca di agganciare una leadership fallimentare – la sua – a quella di successo di Zelensky. È una tattica antica. Sarebbe cinico ritenerlo l’unico motivo della comparsata a Kyjiv, ma sono credenziali preziose per un politico in crisi quelle che gli ha tributato il ministero della Difesa ucraino: «Amici come questi valgono più di uno squadrone di tank». Parole tanto più pesanti perché arrivate a ridosso dello stallo di Ramnstein.


Una fonte ufficiale ucraina ha detto che la visita non era «né ufficiale né privata». È proprio così: era una via di mezzo. L’ex primo ministro è stato a Borodyanka e Bucha, nella capitale ha parlato con il presidente di alcune sue «idee». Nei mesi scorsi, era circolata l’ipotesi che lanciasse una fondazione, per raccogliere finanziamenti per armare il Paese oggi e aiutarlo a ricostruire domani. Per ora il progetto è fermo. Tornato a Londra, Johnson ha firmato sul Daily Mail un editoriale che sembra uscito dalla sua vita di prima. Se non da grande giornalista, visto il rapporto creativo con la verità di quand’era corrispondente da Bruxelles, testimonia una straordinaria penna.

«Venite con me tra il fango ocra sul sagrato di Bucha, oltre la chiesa di Sant’Andrea crivellata di proiettili. Passate sulle tombe dei 416 abitanti di questa città, tra i quali nove bambini, che sono stati uccisi dai russi nel tentativo di terrorizzare gli altri. Guardate le foto dei loro cadaveri, con le mani legate dietro la schiena, lasciati per strada a marcire o mangiati dai cani. Unitevi a me sulle macerie annerite di un condominio a Borodyanka, tra le tubature contorte e i giocattoli dei bambini frantumati. Guardate cosa può fare solo una delle bombe aeree di Putin da cinquecento chili. Provate a incrociare gli occhi supplicanti della gente che ha estratto 162 corpi dai detriti, che ne ha cercati altri ventotto mai trovati. Guardate quegli ucraini coraggiosi e rispondete a questa domanda: che cosa diavolo stiamo aspettando?»

Il testo racchiude un appello. «Ciò che è accaduto qui, nei sobborghi di Kyjiv, è ripugnante. Ma sta succedendo in ogni parte dell’Ucraina che Putin continua a occupare: torture, stupri, omicidi di massa – scrive Johnson –. Prima riusciremo a spingere gli ucraini all’inevitabile vittoria, prima finiranno le loro sofferenze e prima il mondo intero, inclusa la Russia, potrà cominciare a riprendersi dalla catastrofe di Putin. Ciò richiede che tutti noi in Occidente, tutti gli amici dell’Ucraina, raddoppino e triplichino i loro sforzi. Tutto ciò di cui loro hanno bisogno sono attrezzature che l’Occidente ha in abbondanza e che in questo momento non potrebbe trovare un utilizzo più morale o strategico che aiutare l’Ucraina».

È il lascito più autentico e importante del viaggio. L’Ucraina comparirà anche nel libro in uscita per HarperCollins sugli anni da premier. Nel 2015 Johnson aveva intascato un anticipo di ottantottomila sterline per una biografia di Shakespeare mai scritta, a differenza di quella dedicata al suo idolo, “The Churchill Factor”, che ha venduto oltre trecentomila copie. Da quando ha lasciato Downing Street, ha guadagnato 1,3 milioni di sterline come conferenziere. Quella dei (ben remunerati) discorsi a pagamento è una tradizione, condivisa con i predecessori David Cameron e Theresa May, ma gli è valsa un gettone da 276 mila sterline solo un’apparizione al Council of Insurance Agents & Brokers di Washington Dc.

Insomma, rintuzzare le finanze serve anche ad alimentare le ambizioni mai sopite. In fin dei conti, il comunicato con cui rinunciava alla corsa per la successione a Truss conteneva un avvertimento: «Penso di essere ben posizionato per realizzare una vittoria dei conservatori nel 2024». Niente ritiro dalle scene, anzi, ha detto agli elettori che si ricandiderà nel suo seggio di Uxbridge e South Ruislip. Nel frattempo, la situazione nell’accampamento Tory è come al solito caotica, confusionaria e alle prese con qualche nuovo ennesimo scandalo da disinnescare. No, quella stagione non è finita.

Gli indici di gradimento di Sunak sono scesi ai minimi dall’inizio del mandato. Se il boss della Bbc, prima di ottenere il lavoro, aveva aiutato Johnson a ottenere un prestito di ottocentomila sterline, l’attuale presidente del partito Nadhim Zahawi ha negoziato un patteggiamento milionario con il fisco mentre, la scorsa estate, era Cancelliere dello Scacchiere, cioè ministro delle Finanze. Cresce la pressione sul premier perché lo cacci, ma il vero punto è se fosse al corrente. Il Partygate resta un saga piccante, ma intanto i sodali di Johnson fanno campagna per cambiare le regole dei Conservatori e consentire ai leader che si sono dimessi di tornare in campo. A uno a caso.

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