«Il titolo di quest’articolo è stato rettificato il 24 gennaio perché enfatizzasse maggiormente il punto centrale della tesi dell’elzeviro». Quando, tra cento anni, andranno in cerca del contrario del «combatteremo sulle spiagge» di Churchill, quando vorranno ricostruire le parole della resa, potranno rievocare questo rigo sul sito del Guardian.
Un rigo aggiunto quando, dopo ventiquattr’ore di suscettibilità e delirio, è stato chiaro che gli articoli (ve lo dicevo ieri) non li legge nessuno, e se li lasci tali e quali ma gli cambi il titolo la gente più stolida – cioè: gli istruiti che si sentono colti – smetterà d’indignarsi.
Il nuovo titolo è: Leggere è una bellissima cosa, ed è per questo che do via i miei libri. Il vecchio titolo era: Leggere è una bellissima cosa, ma santificare il fatto di possedere dei libri può essere una cosa da ceto medio presuntuoso.
Vi dirò: il vecchio titolo secondo me ci andava pure piano. Quando si poteva far l’ospite televisivo da casa, via Zoom, e io avevo un libro da vendere e non mi sottraevo certo alla promozione, una persona saggia mi segnalò la pagina Facebook di Joan Baez. Mi disse che faceva delle bellissime dirette dalla cucina, tra pentole e mestoli, almeno dietro non si vedono quelle pareti di libri che servono a dire: guardarmi, avevo buoni voti al liceo. Insomma: potevo collegarmi anch’io dalla cucina, risparmiando a tutti il velleitarismo di quei Supercoralli alle spalle.
Seguii il consiglio, ma – avendo ormai da decenni perso il controllo degli oggetti che riempiono le mie case – fallii miseramente: anche sui mobili della cucina, assieme ai biscotti e alle salse, alle pentole e alle reti di cipolle, anche lì c’erano pile di libri.
L’anno scorso ho affidato a una cameriera il compito di tirare fuori dagli scatoloni d’un trasloco i libri impolverati e di spolverarli. Mi sono raccomandata di metterli tutti per terra, poi a sistemarli nelle librerie ci penso io, e sono andata in altre stanze. La tapina non era di buone letture ma era di buon istinto: le era evidente che i libri sarebbero rimasti per terra per sempre.
Quando sono tornata in salotto li aveva messi sugli scaffali, e li aveva messi sugli scaffali come li metterebbero i velleitari che poi fanno la diretta con la libreria ordinata alle spalle: i Meridiani tutti insieme. Mi è quasi venuto un ictus, e per giorni ho citato a tutti quelli con cui parlavo quella scena dello Zio indegno in cui Giannini organizza la biblioteca di Gassman in ordine alfabetico, e quello dà fuoco a casa per rimediare.
Ma poi la pigrizia ha vinto sull’orrore e un po’ di Meridiani son rimasti lì, vicini e intoccati (i Meridiani sono fatti per quelli che non fanno le chiazze d’unto sulle pagine e ti dicono seri che non si sottolinea a penna). Qualche settimana fa ho messo un video su Instagram e, tra cento commenti sul disordine della libreria alle mie spalle (ognuno di quei commentatori si sentiva acuto osservatore, e aveva probabilmente una biblioteca senza neanche una Jackie Collins), ce n’era uno che si compiaceva dei Meridiani tutti vicini. Forse dare fuoco alla casa non è abbastanza, forse bisogna dare fuoco al ceto medio riflessivo.
Insomma il Guardian pubblica questo elzeviro, il cui sommario originale diceva «a volte butto i libri nella raccolta della carta» (io sempre: se devo cercare biblioteche cui donarli, diventa un lavoro), ma poi è stato emendato in «dono i miei libri a chi può averne più bisogno» (la versione midcult della famiglia Ferragni che dà in beneficenza la lattuga lanciata durante i festeggiamenti).
Elzeviro in cui una tizia dice sì che possedere una biblioteca viene considerato un sostituto dell’avere una personalità, ma dice anche cose ben più medioriflessive di quelle che direi io se dovessi parlare della borghesia aspirante colta che usa i libri per rappresentarsi. Per esempio, dice che ha iniziato a buttarli per liberarsi di quelli di cui si vergognava. Ne avrete anche voi, dice, e io penso: no, ho più di dodici anni e ho smesso di soffrire se gli altri bambini mi prendono in giro perché mi piace la cosa sbagliata.
Dice anche che feticizzava i libri, ma poi ha sposato un buddista che quando finisce un libro lo dà via. Quindi uno che i libri li compra e li legge, come facevo con gli Harmony comprati all’edicola della spiaggia negli anni delle scuole medie. Un’idea che non mi è mai aliena quanto lo è a gennaio, il mese degli sconti Adelphi.
Ogni gennaio io vado per comprare Adelphi scontati cercandoli tra i titoli che vuoi che prima o poi non legga, vuoi che prima o poi non mi servano, vuoi che prima o poi non; ogni anno, quest’intenzione s’infrange sul messaggio con cui Amazon mi umilia. È successo di nuovo tre giorni fa, cliccando sulle Interviste impossibili di Manganelli: «Hai acquistato questo articolo l’ultima volta l’8 febbraio 2015». L’elzevirista inglese, nel far imbestialire tutti i commentatori anglofoni, non affrontava il dramma di noialtri che per quanti libri buttiamo ne abbiamo comunque troppi per trovare quelli che ci servono, troppi per sapere quali non abbiamo, troppi perché siano di una qualsivoglia utilità.
Mentre ricompro in ebook tre libri che mi servono per scrivere una cosa, tre libri che già possiedo ma mica posso perdere tre giorni a cercarli, scorro i tweet indignati. «Che articolo orribile, io da piccola ero povera e i libri erano la mia via di fuga e i miei amici». «Ma come si permettono di dire che amare da una vita le parole e la conoscenza e la storia non è una personalità». «Se guardi gli annunci immobiliari in poche case ci sono libri».
E meno male, ragazza mia. Perché – glielo dico da una casa con migliaia di inutili volumi, e quattro Meridiani vicini vicini posizionati alle mie spalle, quello di Musil ancora col cellophane – lo sa cosa si ricava dall’avere una biblioteca in casa?
No, non l’avere una personalità. Sì, le domande dell’idraulico che vuol sapere se li hai letti tutti e se gli dici che tra i libri bisogna passeggiare chiama la buoncostume. Ma, soprattutto: se ne ricava polvere. C’è una cosa che accomuna noialtre che abbiamo in casa tantissimi di quei totem che lei chiama libri: che la messinpiega ci dura sette minuti, perché casa nostra è più polverosa d’una miniera. Quindi, date retta: come sfondo per le dirette su Zoom, mettete delle pirofile sui vostri scaffali.