L’ultima primula rossaPerché l’arresto di Matteo Messina Denaro non deve essere la fine di un percorso

Il boss mafioso è stato arrestato dai carabinieri del Ros, dopo 30 anni di latitanza, all’interno della clinica privata “La Maddalena” di Palermo. Una vittoria storica, che tuttavia non deve far abbassare la guardia. La mafia è un’organizzazione strutturata, non è un’emergenza temporanea: fa perno sui suoi principali esponenti, ma è organizzata per sopravvivere a essi

Lapresse

Lo hanno cercato in tutto il mondo, alla fine è stato trovato a Palermo. Il boss mafioso Matteo Messina Denaro è stato arrestato dai carabinieri del Ros, dopo 30 anni di latitanza, all’interno della clinica privata “La Maddalena” di Palermo, dove un anno fa era stato operato e da allora stava facendo delle terapie in day hospital. Nel documento falso esibito ai sanitari c’era scritto il nome di Andrea Bonafede. L’inchiesta che ha portato alla cattura del capomafia di Castelvetrano è stata coordinata dal procuratore di Palermo Maurizio de Lucia e dal procuratore aggiunto Paolo Guido.

«Mi chiamo Matteo Messina Denaro», ha risposto a un carabiniere che gli ha chiesto come si chiamasse. Forse stanco di nascondersi, forse stremato dalla malattia, o soltanto consapevole di non avere vie di fuga. La clinica siciliana era circondata dai militari col volto coperto davanti a decine di pazienti. La certezza è arrivata tre giorni fa. I magistrati, che da tempo seguivano la pista, hanno dato il via libera per il blitz. I carabinieri del Gis erano già alla clinica Maddalena dove, da un anno, Messina Denaro si sottoponeva alla chemioterapia. Il boss, che aveva in programma dopo l’accettazione fatta con un documento falso, prelievi, la visita e la cura, era all’ingresso.

 

Un malattia confermata anche da Salvatore Baiardo, colui che decenni fa organizzò la latitanza dei fratelli Graviano: «Messina Denaro è malato, vuole farsi arrestare» aveva detto. Parole a cui nessuno aveva dato peso, che oggi assumo un tono inquietante. Dopo il blitz nella clinica, l’ormai ex superlatitante è stato trasferito prima nella caserma San Lorenzo, poi all’aeroporto di Boccadifalco per essere portato in una struttura carceraria di massima sicurezza. La stessa cosa accadde al boss Totò Riina, arrestato il 15 gennaio di 30 anni fa.

«Un giorno importante, anche se rimane l’amarezza che ci siano voluti tutti quest’anni, nei quali Messina Denaro ha continuato a operare in questo territorio», commenta Salvatore Borsellino, fratello del giudice ucciso dalla mafia. «È uno di quelli che hanno ucciso mio fratello, mentre quelli che l’hanno voluto morto sono altri: non sono ancora venuti alla luce. Non possono dimenticare quello che diceva Paolo: “Quando sarò ucciso, sarà stata la mafia ad uccidermi, ma non sarà stata la mafia ad aver voluto la mia morte”».

Sanguinario ma con il fiuto per gli affari, Matteo Messina Denaro compare in ogni pagina buia della storia criminale del nostro Paese. Figlio del vecchio capomafia di Castelvetrano Ciccio, storico alleato dei corleonesi di Totò Riina, Messina Denaro era latitante dall’estate del 1993 ed è stato condannato all’ergastolo per decine di omicidi, tra cui quello di Giuseppe Di Matteo, strangolato e sciolto nell’acido a 15 anni, come ritorsione nei confronti del padre Santino Di Matteo, ex mafioso diventato collaboratore di giustizia dopo il suo arresto nel 1993. Insieme a Totò Riina, latitante per 23 anni, e Bernardo Provenzano, scappato alle forze dell’ordine per 38 anni, è stato tra i mandanti delle stragi del ’92, costate la vita ai giudici Falcone e Borsellino, e degli attentati del ’93 a Milano, Firenze e Roma.

«Messina Denaro non era solo il capomafia di Castelvetrano, ma l’ultimo vero vertice di Cosa nostra, terminale dei rapporti tra la mafia siciliana e la ’Ndrangheta calabrese, custode dei segreti delle trattative tra Stato e mafia degli anni Novanta. Con il suo arresto finisce la cosiddetta stagione dei corleonesi» spiega Francesco Forgione sindaco del comune di Favignana ed ex presidente della Commissione parlamentare Antimafia dal 2006 al 2008. «Dell’arresto, però, c’è anche un aspetto negativo: adesso dovremmo abituarci a una mafia inabissata, che sceglie gli accordi politici e gli affari, ancora più silente e infida».

Una vittoria storica, quindi, nella lotta alla mafia, che tuttavia non deve essere intesa come un punto di arrivo. «Non si dica che la mafia è sconfitta. Questo è fondamentale», esorta Pietro Grasso, già magistrato ed ex presidente del Senato. Catturando Messina Denaro si lancia un messaggio importante: «Alla fine la giustizia raggiunge i colpevoli, facendo crollare i miti dell’impunità delle organizzazioni criminali». Ma non basta. «Ci sarà un terremoto negli ambienti mafiosi, in particolare per il mandamento di Trapani. Ma a breve verrà nominato un reggente e la vita criminale del clan continuerà», continua Grasso.

Cosa cambia quindi con l’arresto del boss? «È un giorno da ricordare, ma la battaglia è ancora lunga. La mia paura è che ci si possa accontentare: dobbiamo ricordarci che la mafia è un’organizzazione strutturata nel tempo, non è un’emergenza. Fa perno sui suoi principali esponenti, ma è organizzata per sopravvivere a essi», confessa Gian Carlo Caselli, ex magistrato. «Dobbiamo occuparci non solo del lato militare, ma anche dell’altro punto di forza delle mafie, che sono le relazione esterne, i rapporti con la politica e le infiltrazioni nell’economia. E la politica deve recuperare la lotta alle mafie come punto di interesse nazionale».

“U siccu”, il magro, “U signurinu”, per l’eleganza o “U bene”, per dire della devozione. Alcuni lo chiamano “Olio”, che è il prodotto tipico di Castelvetrano, altri “Diabolik”. Messina Denaro è il simbolo di una mafia antica capace di evolversi rimanendo ancorata al territorio di origine. Il boss si era gettato nel commercio e nelle energie rinnovabili, e al contempo aveva costruito una rete di protezione enorme che le ha permesso di vagare indisturbato per oltre trent’anni, senza che nessuna indagine riuscisse a sfiorarlo.

«L’arresto sarà decisivo se verranno date delle risposte concrete alla molte domande che la storia di Matteo Messina Denaro porta con sé», aggiunge Luigi Gaetti, ex vicepresidente della Commissione parlamentare Antimafia. Per esempio: secondo alcuni pentiti, dall’ultimo covo di Riina, Messina Denaro avrebbe portato via documenti, agende, prove e segreti. «Rimangono i non detti sulla stagione delle stragi, i legami con la politica e i grandi affari delle mafie. Oltre alla misteriosa latitanza dell’ex primula rossa, sulla quale dobbiamo capire chi ha agito a suo favore».

Quanto a una sua possibile collaborazione. L’ex boss Graviano è stato arrestato, ed è rimasto in silenzio per decenni. Messina Denaro, cosa farà? «Sarà molto difficile, ma spero vivamente che possa diventare un collaboratore di giustizia, e possa aiutare a far luce sui misteri che inquinano il passato», conclude Grasso.

Per Paolo Borsellino c’è anche un altro aspetto da tenere in considerazione: «C’è il sospetto che questa cattura sia ancora una volta frutto di un baratto con la criminalità organizzata. Non vorrei che a fronte di questo arresto ci sia la liberazione dall’ergastolo ostativo di personaggi come i Graviano. Mi aspetto di non vedere pagato nel prossimo futuro il prezzo di questa cattura, lo Stato deve avere voglia di verità, senza aver paura di quello che Messina Denaro potrebbe svelare».

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