Traduzioni sbagliateLa raccapricciante diffusione del partenariato, dall’economia alla politica

Il termine vorrebbe essere il corrispettivo italiano dell’inglese «partnership». Ma poiché il risultato finale sarebbe stata una parola cacofonica, abbiamo preso in prestito alcuni suoni pure dal francese. Un esempio dell’italica arte di arrangiarsi, che però non è sempre raccomandabile

(Unsplash)

Tra le parole più raccapriccianti sciorinate negli ultimi anni con manageriale sprezzatura da politici e amministratori vari, nonché, a pappagallo, dai giornalisti, una seria candidata alla vittoria è “partenariato”. Brutta e di accidentata formazione, non è però facilmente sostituibile con soddisfacenti sinonimi reperibili nel vocabolario italiano: implica un rapporto di collaborazione tra due o più soggetti, ma è qualche cosa di più strutturato e organizzato di una generica collaborazione, è più propriamente e professionalmente il coordinamento della gestione integrata di un processo in vista di un obiettivo.

Partenariato è la traduzione italiana di partnership, una parola che nella lingua inglese ha cominciato a circolare in senso commerciale nel Settecento come «associazione di due o più persone per l’esercizio di un’impresa» (Etymonline, Online Etymology Dictionary), con il suffisso denominale -iato che tiene il posto di -ship. Tecnicamente si tratta di un prestito linguistico adattato, ossia quel fenomeno per cui certe parole straniere vengono accolte in un’altra lingua, in questo caso la nostra, adattandosi alle sue caratteristiche fono-morfologiche: un esempio tipico è bistecca, dall’inglese beefsteak, fetta di (carne di) manzo; ma lo sono anche toletta o toeletta, dal francese toilette (metonimia dalla “piccola tela” merlettata che copriva il piano del mobile attrezzato per l’igiene personale) e gol (che si limita a cambiare la grafia dell’inglese goal).

Partner, la parola alla base di partnership, è invece in italiano un prestito non adattato, o integrale, assunto nel nostro lessico così com’è e ormai neppure più sentito come forestierismo. Il vocabolario Treccani ne fornisce le seguenti definizioni: «compagno, o compagna, e specialmente ciascuno dei componenti una coppia in spettacoli, giochi, sport o altre attività. In particolare, ognuna delle due persone legate da un rapporto sentimentale o sessuale […]. Con accezioni più ampie, riferito a soci in un’impresa commerciale, a partiti alleati, a paesi che intrattengono relazioni economiche o anche a nazioni legate da un’intesa politica o militare».

Ma come si passa da partner (e partnership) all’inopinato «partenar» di partenariato?

È una storia tormentata, un rimpiattino linguistico che si snoda attraverso la storia e la geografia, ogni volta modificando, perdendo e aggiungendo qualcosa. In origine, nell’anglo-normanno parlato alla fine del XIII secolo, c’è il vocabolo parcener, usato per indicare «chi partecipa di qualche cosa». Ma questo termine è un adattamento del francese antico parçonier, «socio, compartecipe, comproprietario, coerede», da parçon, «partizione, divisione, porzione, condivisione», dove la c con cediglia (ç) è una fricativa alveolare sorda che rimanda alla s del latino pars (genitivo partis); da cui, sempre nel latino antico, partitio, «partizione, divisione, distribuzione», e in quello medievale partionarius e partitionarius, che nell’inglese nel XIV secolo ha influenzato la trasformazione di parcener in partiner e poi partner, nel senso di «chi condivide il potere o l’autorità con un altro» e dalla metà del Settecento in quello di una delle due persone unite in matrimonio (Etymonline). Secondo un’altra ipotesi etimologica, nella formazione della parola potrebbe confluire anche, sempre dal francese antico, l’eco della locuzione part tenour, «colui che detiene una parte»; il che tuttavia non cambia i termini della nostra questione.

A questo punto però il rimpiattino diventa un ping-pong. Perché, per effetto di un ulteriore adattamento fonologico, la parola partner, a sua volta adattata dal francese antico, rimbalza nel francese un po’ meno antico come partenaire, e qui fin dalla fine del Settecento genera l’equivalente di partnership, ossia partenariat (un vocabolo che tuttavia deve aspettare un paio di secoli per venire registrato, nel 1997, nel dizionario Petit Robert, con la definizione di «associazione di imprese, di istituzioni al fine di condurre un’azione comune»).

La lingua francese, con implacabile consequenzialità, adatta fonologicamente facendolo suo un termine inglese, e su questo adattamento sviluppa morfologicamente la parola che ne deriva; l’italiano, invece, improvvisa attingendo un po’ di qua e un po’ di là, prende in prestito senza adattarlo l’inglese partner e, siccome una parola come «partneriato» risulterebbe abbastanza cacofonica, impapocchia dal francese partenariat la forma derivata «partenariato» – e da questa, già che c’è, ricava pure l’aggettivo «partenariale».

L’italica arte di arrangiarsi. Non sempre, però, raccomandabile. Nelle questioni di lingua, a volte il forestierismo è meglio di un prestito malamente adattato: visto che abbiamo accolto senza problemi partner, perché lambiccarsi per tradurre partnership?

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