Cambio di rottaIl governo Meloni rinuncia al ricollocamento dei migranti in Europa

La presidente del Consiglio celebra «risultati senza precedenti» al Consiglio europeo, ma nella nota finale non si fa alcun cenno alla solidarietà e alla redistribuzione delle persone con cittadinanza extra Ue che chiederanno asilo in Italia

La foto di gruppo al Consiglio europeo

Le parole di Giorgia Meloni non lasciano spazio a dubbi: l’Italia considera i risultati dell’ultimo vertice a 27 una vittoria. Perché la migrazione viene definita «una sfida europea», perché viene riconosciuta «la specificità delle frontiere marittime» e perché c’è un accenno alla possibile regolamentazione delle attività di salvataggio delle «entità private», cioè le navi delle Ong. La relazione finale del Consiglio europeo contiene in effetti una serie di punti molto netti sulla cosiddetta «dimensione esterna» della migrazione, ossia tutti gli aspetti del fenomeno che includono la relazione con altri Paesi situati al di fuori dell’Unione. Con i quali è necessaria maggiore cooperazione in entrambi i sensi di marcia, sia per prevenire le partenze che per accettare i rimpatri dei richiedenti asilo respinti dall’Ue.

Per raggiungere l’obiettivo, i leader dei 27 Paesi  intendono usare tutte le leve negoziali a loro disposizione: diplomazia, aiuti allo sviluppo,  commercio, opportunità di migrazione legale e anche la politica dei visti, con la minaccia esplicita (Articolo 25bis del codice europeo dei visti) di sospendere gli accordi con i Paesi che non cooperano sui rimpatri. Le operazioni di riammissione dei cittadini stranieri dovranno essere implementate anche tramite una maggiore collaborazione tra gli Stati dell’Ue, chiamati a riconoscere reciprocamente le rispettive decisioni di rimpatrio.

Se da un lato si punta a velocizzare le uscite, dall’altro si vogliono restringere le possibilità di entrata. L’utilizzo di fondi europei per la sorveglianza dei confini dell’Unione non è una novità: a oggi sono già stanziati 6,7 miliardi di euro fino al 2027 e una cifra poco inferiore (6,4) viene garantita a Frontex, che svolge i compiti di guardia costiera e di frontiera. 

Ma il punto 23, dedicato al «controllo efficace delle frontiere esterne terrestri e marittime» sembra un altro passo significativo in questa direzione. Tra le misure richieste ci sono nuovi accordi per l’impiego di Frontex al di fuori dell’Unione e finanziamenti ai Paesi situati sulle rotte migratorie per il controllo delle loro frontiere, oltre alla mobilitazione di «ingenti fondi dell’Ue» per infrastrutture, mezzi e attrezzature di sorveglianza dei confini. 

Rimane l’ambiguità sui muri alle frontiere, che non si menzionano esplicitamente e su cui la Commissione in passato ha negato ogni apertura. 

Ma il fronte dei 12 Paesi che li vorrebbero sembra aver guadagnato terreno, la presidente Ursula von der Leyen vacilla, e, come ha fatto capire all’uscita il cancelliere austriaco Karl Nehammer, finanziare telecamere, videosorveglianza, torri di avvistamento, veicoli e strade lungo le recinzioni equivale de facto a finanziare i muri stessi.

Addio solidarietà europea?
Al di là della soddisfazione generica per un approccio complessivo molto in linea con la propria narrativa, il governo italiano rivendica di aver ottenuto l’inserimento nelle conclusioni di alcuni punti specifici, rispondenti alle proprie esigenze.

C’è in effetti, subito in apertura del paragrafo dedicato alle migrazioni, il mantra dell’esecutivo Meloni sul tema: la situazione migratoria è «una sfida europea che richiede una risposta europea», trasformata chissà quanto inconsciamente dalla premier in conferenza stampa in «la migrazione è un problema europeo».

Al contrario di quanto sostiene Meloni, e come le fa notare un giornalista in sala stampa, non è la prima volta che una definizione del genere entra nelle conclusioni di un vertice. Ma per il governo italiano resta una conquista significativa, così come il riconoscimento della «specificità delle frontiere marittime» e «la necessità di una cooperazione rafforzata in ordine alle attività di ricerca e soccorso», che si leggono poco dopo.

L’Italia è soddisfatta di questi riferimenti perché li considera preliminari al proprio obiettivo finale, enunciato dalla stessa presidente del Consiglio: l’estensione a livello europeo del codice di condotta per le navi delle Ong, ideato dal ministro dell’Interno Matteo Piantedosi, e in vigore per decreto dall’inizio di gennaio.

In questa chiave va letta anche l’ultimissima riga del paragrafo migratorio: una menzione a quelle «operazioni di entità private», facilmente identificabili con le attività di salvataggio delle Ong.

Quello che invece manca nel documento redatto dai Capi di Stato e di governo europei è la dimensione interna della gestione del fenomeno migratorio. Nessun riferimento alla solidarietà tra Stati dell’Ue, ai ricollocamenti dei richiedenti asilo, alla redistribuzione dei migranti dai Paesi di primo ingresso. Solo un generico invito a «proseguire i lavori relativi al Pact on Migration», che contiene un complicato e parziale meccanismo di solidarietà in caso di afflussi massicci.

Questa assenza sarebbe stata amara per qualunque governo del passato, ma Meloni invece la rivendica con orgoglio. «La redistribuzione non è mai stata la mia priorità, perché è un po’ uno specchietto per le allodole».

Sostenendo che ogni forma di redistribuzione si applichi solo ai titolari di protezione internazionale (anche se in realtà nelle proposte della Commissione sul tema si parla di richiedenti asilo), la presidente del Consiglio vuole spostare il focus delle battaglie italiane in Europa: non più cercare di condividere gli oneri della gestione dei migranti con i partner europei, ma insieme a loro fare in modo che di migranti ne arrivino il meno possibile.

Meloni motiva questo cambio di rotta con l’inefficacia degli accordi finora presi: dopo lunghe maratone negoziali comunitarie, poche centinaia di ricollocamenti volontari davvero effettuati su un totale di 8mila promesse da parte degli altri Paesi dell’Unione all’Italia. Con il nuovo approccio, invece, secondo la premier è possibile andare d’accordo con tutti, pure con l’omologo olandese Mark Rutte o i Paesi dell’Est storicamente allergici a ogni tipo di condivisione dei migranti.

E anche con la Commissione, per una volta sulla stessa lunghezza d’onda del Consiglio. L’esecutivo comunitario ha stilato in un documento interno visionato da Linkiesta un chiaro ordine di priorità sulla questione migratoria: rafforzamento dei controlli alle frontiere; accelerazione dei rimpatri e lotta ai trafficanti; cooperazione con i Paesi terzi e, solo come ultimo punto, il lavoro sui cosiddetti «movimenti secondari», cioè gli spostamenti di migranti all’interno dell’Ue e la solidarietà tra i 27 Paesi.

Con l’ultimo vertice l’Unione sembra voler risolvere la questione migratoria in modo salomonico: non distribuendo i migranti in parti uguali, o proporzionali, sul proprio territorio, ma tenendoli fuori in ogni modo possibile.

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