Decarbonizzare il PdPregi, difetti e ambiguità dei programmi ambientali di Bonaccini e Schlein

Il presidente dell’Emilia-Romagna non parla mai di combustibili fossili e delle altre cause del riscaldamento globale. Nell’ambizioso (ma un po’ generico) piano della deputata, invece, manca la magia di trasformare la crisi climatica nella costruzione di un Paese nuovo e desiderabile

LaPresse

La terza citazione nel programma di Bonaccini, dopo Enrico Berlinguer e Aldo Moro, è di Naomi Klein, non esattamente il nome che ti aspetti dal candidato centrista alla guida del Partito Democratico. L’incipit della mozione di Schlein è, testuale, «Giustizia sociale e giustizia climatica sono inscindibili». Segno dei tempi: al round finale delle primarie per la sua segreteria, il Pd si gioca anche parte della sua capacità di parlare a un pezzo di Paese che da tempo è politicamente orfano. 

Nei gazebo i due candidati sentono di dover riscattare il tradimento di quel mandato di fare del Pd la forza ecologista più grande d’Europa. Spoiler, non è mai successo: da Veltroni a Letta, il Pd ha perso non solo elettori e partecipazione, ma anche credibilità ambientalista. Più il tema del clima è cresciuto nella società italiana, più si è rimpicciolito nel partito. 

L’ecologia si è rivelata la prima vittima collaterale di quell’etica della responsabilità politica che è stata l’unica forza motrice del Pd per un decennio e che ora tutti rinnegano, chiedendo scusa per aver governato (e non per come hanno governato). La lotta contro i cambiamenti climatici è fondata sulla rottura dello status quo, condizione politica ed esistenziale della quale il Pd è stato il grande guardiano nazionale. Difficile fare retromarcia con lo stesso brand. 

Le proposte verdi di Bonaccini
La mozione di Bonaccini inizia con una serie di atti di contrizione, a nome del partito che si candida a guidare ma anche della sua figura, organica ai gruppi dirigenti nelle varie stagioni. Saper amministrare bene (o credere di saperlo fare) non è una personalità politica: questa consapevolezza nel programma del presidente dell’Emilia-Romagna c’è, il problema a quel punto è crearsi una personalità politica al di là della buona amministrazione. Il titolo della mozione è: Energia popolare, una formula che è anche un’allusione, non troppo impegnativa, ai dilemmi della crisi climatica. 

Però ora dobbiamo per forza partire da cosa non c’è nella mozione di Bonaccini: le cause della crisi climatica. Ci sono tre pagine sugli effetti, Marmolada, ondate di calore, studi su Nature, riscaldamento sulle Alpi, Ipcc, siccità, ma se uno sbarcasse sulla Terra da Marte e volesse capire cos’è la crisi climatica solo leggendo il programma di Bonaccini, penserebbe che il riscaldamento globale è un grande colpo di sfortuna che si è accanito su un Paese laborioso e onesto. O al massimo una colpa della destra (il vero problema della sinistra italiana, d’altra parte, è che la crisi climatica non l’ha causata Berlusconi, sarebbe stato tutto più facile e lineare). 

Bonaccini non parla mai di combustibili fossili, di gas, di petrolio. C’è ovviamente una grande enfasi sull’energia da costruire – lo sblocco delle rinnovabili che si trova nei programmi di ogni partito di tutto l’arco costituzionale – ma poco sull’energia da dismettere. Chissà cosa ne penserebbe Naomi Klein. 

Era difficile per Bonaccini d’altra parte smentire se stesso, il suo ruolo di commissario al rigassificatore di Ravenna, il suo sostegno al progetto di cattura e stoccaggio della CO2 dell’Eni, il suo convinto sì alle nuove trivellazioni di gas in Adriatico. Anche quando si tratta di parlare di importazioni di idrocarburi dall’estero, Bonaccini scrive «autonomia e indipendenza strategica dell’Italia e dell’Europa da fonti energetiche di altri Paesi». E non riesce a dire gas o petrolio proprio come Fonzie che non riusciva a pronunciare «scusa» in Happy Days. 

Bonaccini scrive che il compito del Pd è «farsi portatore della voce di milioni di ragazze e ragazzi che in Italia e in tutto il mondo chiedono alla politica e alle istituzioni una risposta all’altezza della sfida incombente. Anzi, nostro compito è portare questi ragazzi all’interno della politica e delle istituzioni affinché la loro voce diventi il cambiamento che serve. A questo serve il PD». Difficile, però, farlo su queste basi. 

Nel suo programma ribadisce il no del partito all’energia nucleare, il sì alle comunità energetiche, appoggia una serie di leggi che l’Italia da anni non riesce a darsi, come quella sul consumo di suolo o la legge nazionale sulla protezione del clima. Sono buoni pilastri, ma sono anche un po’ generici (la legge sul clima era richiesta anche nel mitologico programma di Impegno Civico di Di Maio, quella sul consumo di suolo a parole la vuole anche la destra, poi non la fa nessuno da cinque legislature). 

C’è anche il refrain un po’ consumato sul piantare alberi: «Diamo all’Italia l’obiettivo di piantare nei prossimi dieci anni sessanta milioni di alberi in più, uno per ogni cittadino». Berlusconi si prese un po’ di pernacchie con una proposta simile, a settembre, anche perché l’Italia ha un problema di verde nelle città, mentre sul territorio nazionale sono ottant’anni che le foreste crescono, sono quasi raddoppiate in un secolo e non ne servono di nuove. Bisogna gestire quelle che ci sono già. 

Le proposte verdi di Schlein
Sul clima, Elly Schlein gioca una partita che è allo stesso tempo più difficile e più facile. Più difficile perché si rivolge a un elettorato inselvatichito, diffidente, demotivato ed esigente, sul fronte ambientalista è il Pd ad avere l’onere della prova e nessuno si sente tenuto a partecipare alle sue primarie. D’altra parte la sua anima movimentista, il suo tesseramento pochi mesi fa, la sua storia personale le rendono più facile smentire e rottamare (diciamo «decarbonizzare») gli ultimi quindici anni di Pd. 

Ha le sue ragioni chi dice che spesso le letture di Schlein difettano di concretezza, ma almeno hanno il respiro della contemporaneità e la visione globale, l’unica ragionevole quando si tratta di parlare di clima. Se Bonaccini propone un ticket culturale con Naomi Klein, Schlein si gioca la carta Papa Francesco, l’enciclica Laudato Si’ e l’ecologia integrale. La sua mozione cita cose reali che solo in Italia sembrano fantasie degli ambientalisti: le Cop, le conferenze sul clima dell’Onu, il Fondo per il clima da rafforzare per aiutare i Paesi vulnerabili, l’Agenda 2030, il Fit for 55

Il problema di Schlein è che la sua lettura è giusta ma anche generica: non trova una sintesi, il suo piano è climaticamente corretto ma è anche quello che avrebbe potuto scrivere uno scienziato. Manca il contributo della politica, che è la scienza di prendere atto dei problemi globali e trasformarli in una visione spendibile per le persone che concretamente devono votarti. C’è tanto mondo e poca Italia, tanta Cop e poca Coop. Ha ragione quando scrive che «la sfida climatica non può essere risolta solo entro i confini nazionali. Va affrontata innanzitutto nelle sedi internazionali, nelle Cop sul clima e nei vertici economici globali». 

Però alla fine si candida a guidare una forza nazionale, e serve una versione nazionale di tutta la vicenda globale, altrimenti è troppo facile, né il Green deal né i rapporti Ipcc sono programmi politici, nella sua mozione manca la magia di trasformare la crisi climatica nella costruzione di un Paese nuovo e desiderabile. 

È difficile decarbonizzare il Pd e trovare quella magia: forse è il compito più difficile che una figura politica possa trovarsi ad affrontare. L’ambizione a Schlein non manca, mancano proprio idee originali. E quindi la posizione non invidiabile in cui si trovano un elettore o un’elettrice alle primarie del Pd (si vota domenica 26 febbraio dalle 8 alle 20) è la scelta tra una politica movimentista e ambiziosa ma allergica alla realtà e un bravo amministratore molto a suo agio con la realtà, ma solo a patto di eliminare dalla sua costruzione di realtà un dettaglio non secondario, le ragioni del suo imminente collasso. Bene, ma non benissimo. 

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