A un anno dall’invasione russa dell’Ucraina, «l’Unione europea c’è e sta facendo la differenza» nel consentire la resistenza di Kyjiv. Così la pensa Pina Picierno, vicepresidente del Parlamento europeo, che ha da poco visto da vicino il presidente Volodymyr Zelensky. E che il 24 febbraio, nell’anniversario dell’inizio della guerra, parteciperà all’evento organizzato a Milano da Linkiesta e dall’ufficio di Milano del Parlamento europeo per celebrare l’assegnazione del premio Sakharov al coraggioso popolo ucraino.
In questa occasione, quale sarà la cosa più importante da ricordare in Italia?
Che guerra contro l’Ucraina è una guerra contro il nostro sistema valoriale e democratico. Le guerre nel ventunesimo secolo sono ibride e tendono al sovvertimento delle democrazie liberali. Per questo il nostro supporto non può venir meno: proteggere l’Ucraina oggi significa proteggere l’Europa di domani.
Finora la risposta dell’Unione europea è stata all’altezza?
Sento troppo spesso dire che «l’Europa deve fare di più per fermare il conflitto» o che «dovrebbe lavorare di più per la pace». Sono affermazioni che lasciano il tempo che trovano, perché gli sforzi della nostra diplomazia sono sempre stati incentrati sulla costruzione di una pace giusta e duratura. L’Unione europea c’è e sta facendo la differenza: i nostri sforzi sono stati molteplici e progressivi, ma in una guerra del genere bisogna essere elastici e mobilitarsi per comprendere quale possa essere il supporto ulteriore che il conflitto richiede.
In questa risposta, che ruolo ha giocato il Parlamento europeo?
Il Parlamento europeo è stata la prima istituzione a sostenere con fermezza il governo ucraino e il Presidente Zelensky contro l’aggressione russa. In questi dodici mesi di conflitto non abbiamo offerto una vicinanza teorica ma pratica. La visita di Zelensky è stata un momento molto importante, perché la nostra assemblea ha dimostrato ancora una volta di essere la casa della democrazia e dello Stato di diritto.
Eppure, proprio tra i membri dell’Eurocamera ci sono voci critiche, pur minoritarie, sulla posizione europea di sostegno all’Ucraina e le sanzioni alla Russia. Perché?
Il nostro continente è stato esposto per lungo tempo a un bombardamento di propaganda da parte del Cremlino, propaganda che continua anche tempo di guerra e che confonde i piani tra aggrediti e aggressori. Ancora oggi, un anno dopo l’inizio della guerra, assistiamo spesso non al consapevole esercizio del ragionamento, ma alla volontaria mistificazione della realtà.
Il Qatargate è probabilmente lo scandalo più grande nella storia del Parlamento europeo. Quali ripercussioni può avere?
Le istituzioni europee si sono dimostrate forti e compatte: nonostante i tentativi di ingerenza, la politica europea non ha modificato il suo corso. Così come la Presidente Roberta Metsola ha detto più volte, occorre implementare le regole di trasparenza che mettano al riparo il nostro continente da ingerenze dei Paesi terzi. Sono sicura che questa sfida verrà vinta.
Intanto il presidente del Partito popolare europeo Manfred Weber ha bollato il Qatargate come «scandalo dei socialisti» e in effetti i deputati coinvolti appartengono tutti al vostro gruppo, S&D. C’è un motivo particolare o poteva capitare anche in altre famiglie politiche?
La discussione non è individuare le responsabilità di un gruppo politico, ma tutelare la credibilità delle istituzioni. La storia ci ha insegnato che nessun partito è immune dalla corruzione. La questione morale non si affronta per stabilire chi è più morale dell’altro, ma per fare avanzare le istituzioni, nazionali o europee che siano, nella propria autonomia e onorabilità.
Come cambierebbe il Partito democratico se venisse eletta vicesegretaria alle primarie?
Innanzitutto significherebbe avere Stefano Bonaccini segretario del Pd, e mi sembra già una novità strutturale importante. Il nostro sarebbe un Pd che avrebbe nell’Europa non un orizzonte elettoralistico ma un approdo politico. Oggi la politica estera si sovrappone con quella interna e dobbiamo saper sfruttare l’occasione di metterla al centro della nostra azione. Non è più tempo di essere europeisti a parole, le sfide attuali non ci lasciano alternative.
Il Pd di Bonaccini-Picierno guarderebbe più al Terzo Polo, al Movimento Cinque Stelle o all’alleanza Europa Verde/Sinistra Italiana?
Il dibattito sulle alleanze per me viene dopo. Ora vogliamo ridare al Partito democratico quella vocazione maggioritaria che col tempo ha smarrito. E che può metterci su una strada in cui le alleanze non sono esperimenti di laboratorio, ma puntelli per rafforzare una proposta di Paese.