Da martedì 7 febbraio è scattato il nuovo price cap di Unione europea e G7 per i prodotti petroliferi raffinati russi trasportati via mare verso i Paesi terzi. Una soglia di cento dollari al barile per i prodotti raffinati di alta qualità, come il diesel, e di quarantacinque dollari per i prodotti di bassa fascia, come la nafta, che si aggiunge a quello già approvato sul petrolio russo – fissato a sessanta dollari al barile – in vigore dal dicembre 2022. E entro il 24 febbraio Ursula von der Leyen punta a «celebrare» il primo anniversario della guerra con il decimo pacchetto di sanzioni.
Ovviamente, il tutto rilancia il dibattito sulle sanzioni stesse. Da una parte, infatti, le ultime stime del Fondo Monetario Internazionale danno il Pil per la Russia nel 2023 in crescita dello o,3 per cento, contro le previsioni di ottobre che lo vedevano in calo del 2,3 per cento a causa delle conseguenze delle pesanti sanzioni economiche che l’Occidente le ha imposto.
Secondo il Fondo, l’economia russa sarebbe infatti tenuta in piedi dalle esportazioni di petrolio, che continuerebbero a garantirle notevoli guadagni, e dal fatto che starebbe riuscendo ad aggirare le sanzioni commerciali grazie alla complicità di Paesi come Cina, India e Turchia.
Un’analisi del centro di ricerca statunitense Silverado Policy Accelerator stima ad esempio che le importazioni della Russia dal resto del mondo – esclusi Stati Uniti e Unione europea, siano notevolmente più alte rispetto ai flussi di prima della guerra.
Un rapporto della Free Russia Foundation dettaglia poi come il commercio tra Russia e Cina sia aumentato di circa ventisette miliardi di dollari tra marzo e settembre dello scorso anno, rispetto allo stesso periodo del 2021, fino a raggiungere i novantanove miliardi di dollari E sul fatto che la Russia stia riuscendo a esportare petrolio lo stesso concorda l’Economist.
Secondo il Moscow Times, però, se è vero che «i ricavi dalla vendita di petrolio e gas sono cresciuti del ventotto per cento lo scorso anno per raggiungere un totale di 2,5 trilioni di rubli (36,5 miliardi di dollari)», dal momento che «il prezzo del petrolio russo sembra scendere a causa di un limite di prezzo occidentale sul greggio russo, questi profitti sembrano destinati a ridursi. Gli analisti avvertono inoltre che un rafforzamento del rublo «potrebbe intaccare le entrate di petrolio e gas».
Molte analisi, in effetti, insistono sul fatto che l’impatto delle sanzioni è per forza di cose ritardato, visto il modo in cui sono state studiate – esercitano una pressione gradualmente crescente. È una tesi sostenuta da Politico, ad esempio, secondo cui durante i primi nove mesi della guerra di Vladimir Putin l’Unione europea ha inviato più denaro a Mosca rispetto a prima del conflitto. «L’Ue si è affrettata a colpire la Russia con sanzioni dopo che Vladimir Putin ha lanciato l’invasione dell’Ucraina, ma ci sono voluti tempo e un’escalation delle misure prima che Mosca iniziasse a subire danni reali».
Dall’inizio della guerra, infatti, novembre è stato il primo mese in cui il valore delle importazioni dell’Unione europea dalla Russia è stato inferiore rispetto allo stesso mese del 2021. Fino ad allora, l’Unione europea aveva inviato più denaro rispetto a prima del conflitto, ogni mese, per nove mesi. I motivi sono da ricercare nella dipendenza energetica dalla Russia; i prezzi dell’energia alle stelle; il fatto che mentre alcuni paesi dell’Unione sono stati molto più rapidi di altri nel ridurre i flussi commerciali con Mosca altri li stavano invece ancora aumentando alla fine dello scorso anno.
Più in generale, prima della guerra la Russia era la terza maggiore fonte di importazioni dell’Unione europea e la quinta maggiore destinazione delle esportazioni. Il valore delle importazioni dalla Russia è aumentato costantemente mentre il continente si riprendeva dalla pandemia. Hanno raggiunto il picco nel marzo 2022, il mese successivo all’inizio della guerra in Ucraina, prima di calare. Durante i cinque anni che hanno preceduto la guerra, i prodotti legati all’energia hanno rappresentato i due terzi di tutte le importazioni dalla Russia, in termini monetari. I Paesi europei avevano bisogno di trovare fornitori alternativi prima di poter smettere di acquistare da Mosca, e anche quando hanno ridotto i loro acquisti di energia, l’aumento dei prezzi ha fatto sì che i flussi di cassa verso la Russia non siano diminuiti in proporzione.
Ricorda Politico che dall’inizio della guerra alcuni Paesi dell’Unione hanno ridotto le loro importazioni di energia russa molto più di altri. Nel caso del gas, la riduzione delle importazioni non è stata necessariamente una decisione politica dei governi europei, ma qualcosa che è stato loro imposto dalla Russia.
Gazprom, controllata dallo stato russo, ha notevolmente limitato i flussi di gas in Europa nel corso della primavera e dell’estate, chiedendo ai clienti di pagare in rubli e poi interrompendoli quando non lo hanno fatto, oppure incolpando i problemi tecnici causati dalle sanzioni occidentali. Il sabotaggio, ancora inspiegabile, sui gasdotti Nord Stream a settembre ha posto fine all’ingresso di gas in Europa attraverso quella rotta. Paesi che come l’Estonia, la Romania e la Lettonia erano tra i più dipendenti da Mosca, hanno registrato forti cali nelle importazioni di energia, mentre l’Ungheria di Viktor Orbán, anch’essa dipendente, ha importato di più durante la guerra. In ciò ha evidentemente avuto un ruolo il differente approccio vers0 Putin.
Le esportazioni dai Paesi dell’Unione verso la Russia si sono in compenso dimezzate entro poche settimane dallo scoppio della guerra, rallentando molto più rapidamente dei flussi commerciali nella direzione opposta. Solo quattro Paesi hanno esportato di più in Russia tra febbraio e novembre rispetto alla media tra il 2017 e il 2021 per questo periodo: Slovenia, Lettonia, Croazia e Irlanda; sedici Paesi dell’Unione europea hanno importato di più dalla Russia durante la guerra rispetto allo stesso periodo degli anni precedenti, in valore delle merci, nonostante le loro esportazioni verso la Russia siano diminuite.
Appunto, una situazione ormai superata, anche se gli effetti sono destinati ad approfondirsi man mano che si andrà avanti.