La normalità e il senso della scoperta sono parte fondamentale della felicità di un individuo che è naturalmente, e seriamente, attratto dalle cose buone. Dopo le esperienze fuori dai giri degli influencer, si aggiunge un nuovo elenco di spunti gastronomici che non sono solo indirizzi o cibi, ma rappresentano una chiamata affinché tutti diventiamo ricercatori di cose buone fuori dai feed dei social di qualcuno o lontane dalle parole di un articolo di giornale.
La pasticceria sotto casa potrebbe essere il posto dove si creano dolci straordinari, ma nessuno li ha taggati. Mi rifiuto di pensare che Milano, Roma, Napoli siano i posti dove si concentra sempre “la migliore qualcosa” che potrete assaggiare. È solo un limite di comunicazione, dovuto al fatto che chi ne scrive e ne parla spesso vive in queste città e con fatica riesce a scandagliare le piccole botteghe della provincia e di tutte le città meno ingombranti, ma altrettanto colme di chicche che aspettano di essere raccontate.
Spesso alcune località remote diventano famose perché si scopre della loro bravura a fare il pane, il formaggio o perché coltivano varietà preziose di ortaggi. Bene, anzi benissimo. Ma chi lo sa che, a Cetara, diventata famosa per la colatura di alici, non esista anche una pizza che potrebbe far impallidire i napoletani?
È chiaro che non ho a cuore il mio bene ogni volta che arrivo in un posto gastronomicamente noto: inizio a smaniare alla ricerca di qualcosa di buono che non sia quello per cui sono lì.
Forse così non sarò mai felice, ma almeno avrò conosciuto delle cose nuove.
Locali normali, i cui cibi diventano straordinari per il semplice motivo che regalano un piacere di gusto inaspettato.
Alternativa alla piadina in Romagna
Dopo Roma, Ravenna è il comune con la maggiore estensione geografica del Paese, eppure il centro storico è così piccolo che ci si affeziona in fretta come si fa con i bambini e i cuccioli. Non sono le dimensioni che contano a Ravenna, ma lo spessore di una città patrimonio Unesco per i suoi otto monumenti paleocristiani dal valore storico, culturale e artistico inestimabile.
Sì, lo so che volete sapere cosa c’è da mangiare a Ravenna, ma è sciocco non godersi quanto più bello possibile. Inserite le pause commestibili tra un mausoleo e una basilica. Il richiamo della piada è forte, anche saggio. La fila fuori da Profumo di Piadina è tollerabile e le persone che mangiano nel vicoletto mettono di buon umore, può valere la pena passare da qui. Se vi piace stare comodi, Ca’ de Vèn fa per voi. Una enoteca dei vini di Romagna dove mangiare piatti tipici come i cappelletti al ragù e il crescione: un’alternativa alla piadina fatta a partire dagli stessi ingredienti (sì, anche lo strutto) ma chiuso come un calzone. Non a caso in altre parti della regione lo chiamano proprio cassone. Il ripieno varia, spesso a base di verdure, ma non mancano le versioni più proteiche.
Una deviazione al casello di Bologna – Trattoria del Gallo
Nei viaggi in auto lungo le strade statali e provinciali bisognerebbe fermarsi ogni volta che si intravede una trattoria o un ristorante dall’insegna poco glamour, ma che va dritta al punto tipo “Ristorante Il Pettirosso – specialità carne alla brace”. Tu leggi e capisci cosa aspettarti da quel posto. In città non esistono più queste insegne schiette, sono più robe tipo “Tananà – liquidi e masticabili”. Il problema vero di questi posti, spesso, è che non capisci cosa mangi neanche dopo aver pagato il conto, ma questa è un’altra storia.
Torniamo alle strade periferiche, più precisamente alla Strada Statale 64 Porrettana, a Castel Maggiore (Bologna), dove tra il nulla della pianura si intravede l’insegna Trattoria del Gallo (con un gallo disegnato) sovrastata dall’insegna del caffè Cagliari. È un locale conosciuto in zona, difficile trovare poca gente seduta ai tavoli.
Ovviamente si va forte con le paste fresche, come tagliatelle e strettine (una tagliatella più spessa e stretta rispetto alla classica) tipicamente condite al prosciutto, e le paste ripiene, come ravioloni e tortellini. Tra i secondi di carne, uno sembra essere quello di punta: la tagliata cotta prima alla brace e poi servita nella pirofila con una quantità di olio smisurata dove fare trenta minuti di scarpetta: poesia.
La dignità della pizza tonno e cipolla
Attenzione, questo è un viaggio nel tempo, non solo un suggerimento su dove andare a mangiare una pizza. Provate a ricordare quando, nel 1997, andavate a mangiare la pizza il sabato sera. È possibile ritrovare lo stesso spirito e la stessa dimensione al ristorante Novecento, un locale a Milano non lontano dalla fermata della metro De Angeli, dove il tempo si è fermato prima del Duemila. E come facevo prima di allora, ho optato per una pizza tonno e cipolla in un locale che, solitamente, vede clienti consumare piatti a base di pesce (l’orata in crosta di patate, ad esempio, è buonissima).
Pizza sottile, pomodoro, mozzarella, cipolla dolce e tonno sott’olio. Un’operazione nostalgia che dobbiamo ricordarci di fare più spesso e scapito di esperienze “alla moda”.
Messina in bianco e nero
Le cose possono sembrarti normali per tutta la vita, poi un giorno si trasformano in cose preziose. Come succede tra due buoni amici che dopo tanti anni si innamorano, per esempio. A me è successo con uno dei dolci tipici di Messina: il bianco e nero. Una versione totalmente messinese di profiterole, inventato nella fu pasticceria Scandaliato. Una montagna di bignè ripieni di panna montata ricoperti da panna al gianduia e foglie di cioccolato fondente, poi spolverata di zucchero a velo. Sia la panna sia l’uso del gianduia (assai presente nella pasticceria messinese) hanno lavorazioni molto diverse dalla pasticceria siciliana e italiana, al punto di rendere l’unione di questi due ingredienti una tipicità locale. Servirebbero mesi di ricerca per trovare il bianco e nero migliore da poter mangiare nella città dello Stretto. Ma si potrebbe partire dalla Pasticceria Crupi che, con la seconda generazione alla guida, sta portando avanti ottimamente la tradizione del dolce messinese, bianco e nero compreso.
L’Ecuador in via Lorenteggio a Milano
Via Lorenteggio non sarà la strada più poetica della città, ma nel tempo ci ha regalato gioie gastronomiche come quella di Mangiari di Strada, il primo di street food di Giuseppe Zen (che oggi prosegue il suo lavoro con Macelleria Popolare al mercato della Darsena). C’è anche la carne equina della Macelleria da Vito, dove è possibile acquistare carne di cavallo e tipicità siciliane, o consumare sul posto. Una soffiata dal Sud America ci informa dell’esistenza di un ristorante di cucina ecuadoriana molto frequentata dalla comunità sudamericana. Si chiama El Idolo, si trova accanto a un distributore di benzina. Poca poesia in linea con via Lorenteggio, a eccezione di un venditore ambulante fuori dal locale che vende pani dolci e altri lievitati del Sud America.
Il locale è semplice e in stile, ma tra la musica, gli arredi e i sorrisi di chi ci lavora, viene voglia di immergersi in questa esperienza perfetta per un sabato a pranzo in cui vi sentite piccoli esploratori. Alla carta ci sono zuppe calde, ceviche, tanto pesce fritto e diversi piatti a base platano, compreso quello grattugiato e compattato in foglie di banano, successivamente cotto e consumato con riso bianco in accompagnamento. La cosa più comfort da prendere è il piatto unico con filetto di pesce persico fritto, fagioli e riso bianco. E da bere? La Manzana, una specie di Coca-Cola, un soft drink prodotto a partire dalle mele. Un po’ la Fanta delle nostre latitudini.
Ogni piatto è più che abbondante, andate affamati o accompagnati da qualcuno che ha fame. Forse vi sentirete come a Quito, forse vi sentirete nella periferia di Milano. Di certo, all’uscita vi sentirete sazi.