La stagione della cacciaSchlein rincorre Meloni mentre la maggioranza tiene d’occhio l’impresentabile Piantedosi

Gli attacchi della neosegretaria Pd alla premier saranno il film della stagione. Il bersaglio del momento è il ministro dell’Interno, che non ha molti amici nemmeno nel governo

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È cominciata la caccia di Elly Schlein a Giorgia Meloni: sarà il film della stagione. Quando ieri in commissione alla Camera ha chiesto le dimissioni del ministro dell’Interno Matteo Piantedosi, la neosegretaria del Partito democratico si è premurata di aggiungere: «…e una riflessione molto profonda da parte di Giorgia Meloni».

È questa l’impostazione di Schlein: mai separare i disastri dei ministri dalle responsabilità politiche di chi detiene la guida del governo. Altro che «Meloni brava e i ministri scarsi», che è stata un po’ la litania scandita anche a sinistra e infatti culminata in quel «brava» pronunciato da Stefano Bonaccini in piena campagna congressuale che certo non gli ha portato consensi: adesso che il governo vive la sua prima, vera, drammatica, difficoltà con la strage davanti al mare di Cutro, l’attacco del Partito democratico punterà sempre e comunque su Palazzo Chigi, in un corpo a corpo che punta a sfiancare la premier, e in ogni caso a ridare smalto all’opposizione dem piuttosto imbambolata nella mesta stagione di Enrico Letta.

Già, stavolta il governo non è alle prese con le accise e i rave party, qui ci sono decine di morti che si potevano e si dovevano evitare. Sulla ricostruzione dei fatti sono aperte varie ipotesi ma non si può certo ignorare quella della Guardia Costiera che ha detto che si poteva intervenire: c’è stato certamente un tragico pasticcio nel quale la maggioranza punta a scaricare le colpe su Frontex. I dubbi però restano pesantissimi, e mettono il titolare del Viminale in una posizione davvero molto difficile, peraltro in buona parte per colpa sua e di certe frasi che lo hanno visto annaspare sin da subito, per poi peggiorare via via fino al grottesco sbotto di ieri davanti ai deputati della commissione Affari costituzionali: «Vengo spesso stigmatizzato o giudicato per essere stato un funzionario di polizia, qualcuno ha detto un “questurino”. Sappiate che ne sono orgoglioso».

Una reazione del tutto fuori misura di fronte alle critiche che gli aveva rivolto il verde Zaratti, che poco si addice a un uomo che dovrebbe mantenere i nervi saldi soprattutto in frangenti simili. E invece Piantedosi in questi giorni ne ha sparate troppe (tutte «frasi indegne» per una Schlein davvero durissima che non ha nemmeno dimenticato di porre la questione del silenzio sui fatti di Firenze), dall’intimazione ai profughi di non partire «corretta» poi da un’inverosimile promessa di «andarli a prendere», alternando reticenze a mezze verità puntualmente smentite da precisi riscontri, perché quello che sta emergendo nel labirinto degli accadimenti è che lo Stato italiano – è il minimo che si può dire – non è stato in grado di assolvere a un preciso dovere morale e giuridico, quello di salvare vite umane.

Adesso Piantedosi si nasconde dietro il latinorum sulla catena di comando e la sua macchinosità aspettando che passi la nottata e che le bare di Crotone vengano seppellite e con esse un’orrenda prova di negligenza o perlomeno inadeguatezza – vedrà la magistratura il da farsi, si spera – dell’apparato che dipende proprio dal ministro dell’Interno.

In queste ore nel governo la tensione è massima. Meloni è partita – questi viaggi la soccorrono sempre nei momenti di difficoltà – per l’India e poi per gli Emirati Arabi, mettendo un bel po’ di fusi orari tra sé e le tempeste politiche romane che si alzano sul Viminale e non solo.

La richiesta di dimissioni formulata da Schlein probabilmente non porterà a nulla ma è uno squillo di tromba molto acuto, anche perché non isolato (la stessa richiesta è stata ribadita da Carlo Calenda, Riccardo Magi, nuovo leader di Più Europa, e dai Verdi-Sinistra italiana, i contiani critici ma inoffensivi) e si trova persino in sintonia con qualche malumore nella maggioranza, con i meloniani in queste ore a perdere il controllo della situazione: Piantedosi per loro ha già esaurito la sua spinta propulsiva, mentre persino l’uomo forte di Fratelli d’Italia, “il cognato” Francesco Lollobrigida avantieri è incappato in una topica con pochi precedenti («Noi quest’anno lavoreremo per fa entrare legalmente quasi cinquecentomila immigrati legali»), poi ovviamente auto-smentita, ma che ha dato il senso più evidente di un certo, come dire, sbandamento: ed è l’uomo forte.

Ed è proprio Lollobrigida, ministro dell’Agricoltura che ama pascolare su campi non di sua competenza, ad apparire ieri alquanto freddino con il ministro dell’Interno («Grande ministro ma è giusto approfondire»), un segnale che forse Meloni sarebbe pronta, se necessario, a mollarlo.

Di quasi tutti i ministri si sono perse le tracce, compresi Giancarlo Giorgetti e uno strano Matteo Salvini che si sente nel mirino a causa della freddezza dei meloniani sul “suo” Piantedosi. Su tutto questo pesa – come hanno notato in molti – il disastro comunicativo di tutta la macchina del governo. Ma lunedì prossimo arriva Mario Sechi eh.

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