Il 15 e 16 aprile, a Sapporo, si è tenuto uno degli eventi istituzionali “climaticamente” più importanti dell’anno. Ma non ne ha parlato quasi nessuno. Il G7 sull’ambiente e l’energia ha avuto un impatto mediatico irrilevante, soprattutto in Italia, dove i giornali tradizionali alzano le antenne solo quando leggono le sigle “Cop” e “Ipcc”.
Perché l’appuntamento è passato così in sordina? La motivazione è duplice. Al termine del vertice giapponese, a cui in quota Italia hanno partecipato il ministro dell’Ambiente Gilberto Pichetto Fratin e la viceministra Vannia Gava, non sono stati raggiunti risultati particolarmente eclatanti.
Inoltre, c’è una sorta di assuefazione diffusa dinanzi alla scarsa ambizione dei rappresentanti politici che partecipano a questi incontri. Non sarà certo un G7 a salvare il mondo e a stravolgere un sistema che sta deteriorando il Pianeta e le sue risorse, ma è (anche) un G7 a posizionare certi temi nel dibattito pubblico e a fissare obiettivi che orientino l’indirizzo dei (pigri) governi nazionali.
Il Giappone, il “vizietto” del carbone e l’asticella sempre bassa
Secondo un’analisi del Climate action network (Cam), il Giappone è il primo finanziatore pubblico al mondo di progetti energetici incentrati su carbone, gas e petrolio. Tokyo, dal 2019 al 2021, avrebbe investito in media 10,6 miliardi annui nell’industria fossile. Nel 2021 il Paese asiatico era ancora nella top 5 globale per emissioni totali di anidride carbonica e, al momento, un terzo della sua produzione energetica deriva dal carbone. Il governo, inoltre, sta promuovendo l’uso del cosiddetto “carbone pulito”, che davvero pulito non è (si basa sulle acerbe tecnologie di cattura e stoccaggio di CO2).
Guarda caso, al termine del G7 non sono stati fissati nuovi target sull’abbandono dei combustibili fossili (in particolare del carbone). Qui, la presidenza giapponese ha senza dubbio influito. Il Gruppo dei Sette ha sì confermato il suo impegno sul phase out (eliminazione graduale) dalle fonti energetiche inquinanti, senza però concordare scadenze più coraggiose.
Si tratta di una dichiarazione non in linea con il senso d’urgenza con cui bisognerebbe affrontare l’emergenza climatica e i suoi effetti pervasivi a livello economico, finanziario, migratorio, sociale e sanitario. Un’occasione persa che definirà il livello di ambizione del G20 e, soprattutto, della Cop28 di Dubai.
Secondo Euronews, i ministri dell’Ambiente di Francia e Gran Bretagna sono atterrati in Giappone nella speranza di far passare la loro proposta di bandire l’energia a carbone non abbattuta (le cui emissioni non sono coinvolte in processi di cattura e stoccaggio di carbonio) entro il 2030, ma Giappone e Stati Uniti hanno guidato il blocco di opposizione: «Penso comunque che la nostra unità verso il comune obiettivo del phase out sia molto importante», dichiara John Kerry, inviato statunitense per il Clima.
«Avrei ovviamente voluto l’eliminazione graduale del carbone entro il 2030, ma è una questione su cui possiamo ancora fare progressi nelle prossime discussioni», dice con l’amaro in bocca Agnès Pannier-Runacher, ministra per la Transizione energetica della Francia. La clausola sull’uso di energia «prevalentemente» pulita entro il 2035 lascia poi intendere che la storia d’amore tra il gruppo dei sette (responsabile di un quarto delle emissioni globali di gas serra) e i combustibili fossili sia destinata a durare.
Emblematico, inoltre, questo passaggio del comunicato finale sul gas: «Gli investimenti nel settore possono risultare appropriati, ma a condizione che siano chiaramente definite le circostanze nazionali e che siano attuati in modo coerente con gli obiettivi climatici, assicurando che i progetti siano integrati nelle strategie nazionali per lo sviluppo dell’idrogeno a basse emissioni di carbonio e delle rinnovabili».
La storia infinita dei biocarburanti
Leggendo il testo finale, fa storcere il naso anche riconoscimento dei biocarburanti sostenibili all’interno del settore dei trasporti. Non tanto per il loro impatto sull’ambiente, che con un adeguato livello di innovazione può essere notevolmente ridotto grazie all’uso dei materiali di risulta come gli oli esausti, ma per l’incongruenza rispetto alla posizione dell’Unione europea. Com’è noto, la Commissione Ue ha inserito solo i carburanti sintetici (voluti dalla Germania) tra le “eccezioni” concesse dopo il 2035 per far sopravvivere i motori termici, escludendo quindi i carburanti bio (voluti dall’Italia). Il G7, invece, ha deciso di non metterci una pietra sopra.
Una notizia che, ovviamente, è stata vissuta con entusiasmo da parte dell’esecutivo di Meloni, a capo del Paese leader in Europa per sperimentazione e produzione dei biocarburanti (alcuni, come il biodiesel HVOlution di Eni, sono già in commercio). Questa storia, insomma, sembra non avere fine.
«Occorre far ripartire il dialogo con i Paesi europei per arrivare con dati scientifici certi alle soluzioni migliori: i biocarburanti potranno sostituire benzina e diesel e mantenere viva l’industria dell’automobile italiana», dice con soddisfazione Gilberto Pichetto Fratin.
Non solo cattive notizie
«Nel complesso, il G7 ha riconosciuto che il modo migliore per affrontare le crisi di oggi e di domani è quello di allontanarsi dai combustibili fossili, a livello nazionale e globale», scrive su Twitter Luca Bergamaschi, fondatore del think thank ambientale ECCO.
I membri del G7 hanno poi messo nero su bianco l’impegno collettivo di aumentare la capacità eolica offshore (impianti installati in mare aperto) di centocinquanta gigawatt entro il 2030 e la capacità solare oltre il terawatt sempre entro il 2030. Per quanto riguarda l’eolico, è una cifra sei volte più elevata rispetto a quella attuale. Sulle rinnovabili, insomma, l’ambizione non manca: il problema è sempre dall’altra parte, ossia l’abbandono troppo lento e graduale delle fonti fossili.
Basti pensare che, secondo l’ultimo Global electricity review del think thank Ember, nel 2022 le emissioni del settore elettrico sono aumentate dell’1,3 per cento, raggiungendo il massimo storico. La domanda di elettricità è sempre più elevata (+2,5 per cento nel 2022) e le rinnovabili non riescono ancora a reggere il ritmo. Non a caso, nel 2022 è stato registrato il più basso numero di chiusure di centrali a carbone degli ultimi sette anni.
Un’altra buona notizia è l’accordo sulla data (2040) entro cui porre fine all’inquinamento da plastica, un tema contraddistinto da legislazioni nazionali troppo frammentate. Il G20 del 2019 di Osaka – ribattezzato Osaka Blue Ocean Vision – si era accordato sul 2050, ma il Gruppo dei Sette ha deciso di alzare l’asticella. Un risultato che, in linea di massima, ha fatto sorridere tutti. Positivo, infine, il riferimento all’energia marina.