Una poltrona per setteCome è andato il secondo dibattito (senza Trump) per la nomination repubblicana

La zuffa, a guardare le rilevazioni, è per il secondo posto: staccarsi dai bassifondi dei sondaggi dove l’ex presidente sembra imprendibile. Si distingue l’ex governatrice Haley, tutti contro Ramaswamy che si trova a difendere TikTok

Secondo dibattito tv tra candidati repubblicani alla nomination
Foto da X/@FoxBusiness

Escludendo l’«in disparte», a cui non è abituato, Donald Trump continua a rispondere «non vengo per niente» al dilemma di “Ecce Bombo” («Mi si nota di più se vengo e me ne sto in disparte o se non vengo per niente?»). A tre mesi dal primo voto, in Iowa, il secondo tragico, dibattito televisivo tra i candidati alla nomination repubblicana è soprattutto una mischia per uscire dai bassifondi dei sondaggi, dove l’ex presidente stacca ancora tutti di quaranta punti.

Si sono azzuffati in sette sul palco della Ronald Reagan Presidential Library, a Simi Valley, California. Da segnalare il tentativo, a vuoto, dell’ex governatore del New Jersey di Chris Christie di affibbiare al grande assente un nomignolo pavido, «Donald Duck», esattamente come farebbe il bullo. Il GoP ormai parla la lingua trumpiana anche quando l’originale non c’è. Gli altri, a leggere i resoconti dei media americani, si sono urlati addosso e attaccati a vicenda.

I moderatori di Fox News hanno spesso faticato a far rispettare i tempi e le regole. Il network avrà pure silurato Tucker Carlson, ma non puoi cacciare quei toni da dentro il partito che ha irretito. Tra gli highlights Vivek Ramaswamy s’è trovato a ricamare un’apologia di TikTok, piattaforma cinese ritenuta dagli Usa in odor di spionaggio, perché – riassumiamo – i giovani stanno lì e «la nuova generazione di americani» va raggiunta.

Mentre lo accusavano di codardia, Trump ha cercato di oscurare il prime time presentandosi in Michigan, dove i lavoratori dell’automotive scioperano per avere paghe più adeguate. Ma senza sposare la protesta, semmai il contrario. Il giorno prima era stato il presidente in carica, Joe Biden, a unirsi a un picchetto sindacale, con tanto di megafono. Il tentativo del tycoon era quello di costringere le reti televisive a uno «split screen», cioè la pratica di dividere lo schermo quando c’è più di un evento in diretta.

La performance più convincente – secondo New York Times, Washington Post e Geoffrey Skelley di 538 durante il confronto sarebbe stata quella dell’ex governatrice della South Carolina, Nikki Haley. Ha criticato Ramaswamy, al centro di un fuoco incrociato perché “vincitore” della prima serata, dicendo che non ci si può fidare di lui. «Ogni volta che ti ascolto, mi sento un po’ più scema». Ha deriso anche Ron DeSantis, il Florida Man eterno secondo finora: «Parli sempre del primo giorno di mandato, dovresti stare in guardia sul secondo».

Nelle bordate all’imprenditore trentottenne si è distinto il senatore Tim Scott (Carolina del Sud). «Quasi assente dal primo dibattito, è stato molto più aggressivo» ha commentato sulla Cnn l’ex stratega di Barack Obama, David Axelrod. C’era però un elefante nella stanza, o se preferite sul palco. Di natura matematica: nonostante il rituale, il cannoneggiamento verbale reciproco, nelle rilevazioni metà della base repubblicana ha già scelto ed è difficile spostare quella certezza, anche con la più brillante delle allocuzioni.

Infine, basta scorrere il sempre puntuale fact checking del Nyt per accorgersi di quante volte ricorra l’etichetta «falso» o «sviante», oppure «serve contesto». A riprova di come l’ex presidente, che ha chiesto al comitato nazionale del GoP di non fissare altri dibattiti, abbia ormai fatto scuola. Aleggia su quella scenografia, anche se a tremila chilometri di distanza.

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