Sul tavolo della prossima Direzione del Partito democratico arriverà dunque un altro faldone intitolato “Cappato”: «Non può decidere sempre tutto da sola», è il capo d’imputazione depositato dai tanti che non accettano il dirigismo di Elly Schlein.
Come spesso accade non è tanto il merito della questione – l’appoggio a Marco Cappato nel collegio senatoriale di Monza che fu di Silvio Berlusconi (per Forza Italia-Mediaset oggi corre Adriano Galliani) – quanto la mitica “questione di metodo” perché, secondo chi la contesta, Schlein ha forzato e chiuso la discussione. Ma i problemi sono due: la fisionomia politica di Cappato, radicale, tesoriere della associazione Luca Coscioni, da sempre impegnato a favore della legalizzazione delle droghe leggere e della “morte dolce”, un profilo che non può garbare ai cattolici del Partito democratico. E poi, forse soprattutto, c’è il fatto che si tratta di una autocandidatura che è piovuta sul collegio brianzolo sostanzialmente ignorando la richiesta dei dem locali, che da mesi reclamano una candidatura rappresentativa del territorio: il solito problema Roma contro Resto del mondo.
I monzesi hanno duramente protestato, ha detto no Simona Malpezzi, è su tutte le furie Lorenzo Guerini, è molto critico, sul metodo e non sul nome, anche uno come Gianni Cuperlo che nella geografia interna non è lontano dalla segretaria, di cui però contesta questa attitudine al dirigismo solitario, obietta Pierluigi Castagnetti: «È vero che con questa legge elettorale i segretari dei partiti scelgono i candidati da Roma. Così la vecchia politica, non la presunta nuova. Mai però era successo per un candidato a perdere, e ancor meno in presenza di una richiesta di tutti i sindaci locali».
Eppure di tempo per costruire una candidatura condivisa c’era. Come al solito, il Partito democratico si riduce all’ultimo (le urne si apriranno il 22 ottobre) ed evidentemente la segretaria, dopo aver seguito altre ipotesi poi tramontate, e proprio perché il tempo è scaduto, ha messo tutti davanti al fatto compiuto pur sapendo bene che i dem locali sono contrari e che soprattutto i riformisti avevano parlato chiaro con Alessandro Alfieri: «Il metodo seguito da Cappato è stato completamente sbagliato perché se vuoi essere il candidato di una coalizione non puoi importi, ma ascolti prima il territorio. È lì che bisogna decidere». Invece si è deciso a Roma.
Ora il rischio è che molti elettori del Partito demoratico non vadano a sostenere Cappato. Il quale corre già in salita, in un collegio che appartiene alla destra e scontando anche il fatto che l’esponente radicale alle amministrative (vinte un po’ a sorpresa dal centrosinistra) aveva appoggiato il candidato della destra, una di quelle cose che i militanti locali non dimenticano. Ma è chiaro che la vicenda ripropone una questione di fondo: può il Partito democratico essere guidato in modo così verticistico dalla giovane segretaria e dal suo staff-gruppo dirigente?
Il nuovo incidente al Nazareno rischia dunque di indebolire la spinta a una candidatura che pure ha ricevuto l’appoggio di tante forze politiche – oltre al Partito democratio, Europa Verde, Sinistra Italiana, Azione, Socialisti e Radicali italiani – e la “non belligeranza” del Movimento 5 stelle assicurata di persona da Giuseppe Conte a Elly Schlein. E, pure se avesse voluto “belligerare”, si sa che sul territorio i contiani non contano, ma comunque Elly si appunta la medaglietta nel nome di un “campo abbastanza largo”.
Però una scelta l’ha fatta anche con un certo coraggio, forse poteva gestirla meglio: ora sta a Marco Cappato tirare su la rete, hai visto mai che con i chiari di luna che ci sono nelle elezioni suppletive, cioè un’affluenza che può creare sorprese, l’esponente radicale non riesca a farcela. Sarebbe un bel tonico per Schlein, che non vince mai o quasi.