Dopo il fracasso polacco, è arrivato il momento di avere il coraggio di dire a certi sovranisti che la misura è colma. Che non possono sputare nel piatto europeo dove mangiano, stringere la mano insanguinata di Vladimir Putin mentre in Ucraina si combatte e a Bruxelles i leader europei si collegano in videoconferenza allarmati dal ritorno di folli jihadisti nelle nostre città. Stiamo parlando di Viktor Orbán, che non si è collegato con i suoi colleghi perché era volato a Pechino per partecipare al forum della Via della Seta e omaggiare il capo del Cremlino. In un video si vede il premier magiaro agitato, che si aggiusta in continuazione la cravatta e la giacca, che tormenta una penna, ascolta come uno scolaretto Vladimir Putin.
A Bruxelles si discuteva del Medio Oriente in fiamme, dell’angoscia che la situazione possa precipitare, andandosi a sommare alla tragedia Ucraina, mentre l’amico di Giorgia Meloni baciava pantofola russa.
Ecco, questo signore, sempre più isolato, che è stato cacciato dal Partito Popolare, che boicotta gli aiuti a Kyjiv, esalta l’ossimoro della democrazia illiberale, comprime nel suo Paese lo Stato di diritto, il primo luglio 2024 assumerà la presidenza di turno dell’Unione europea. Proprio nei mesi delicati che seguiranno le elezioni Europee, con tutto quello che seguirà con la designazione delle cariche al vertice dell’Unione europea. Sarebbe il caso che qualcuno dica apertamente che Orbán non è una persona adatta e degna a dirigere la fase più importante per il futuro del continente.
Nutriamo poche speranze che ci sia nelle cancellerie europee qualcuno che abbia un coraggio del genere. Figuriamoci Giorgia Meloni che ha sempre visto in Budapest un faro sovranista di identità cristiana. Ultimamente un po’ meno, per la verità, da quando a Palazzo Chigi certe cose si vedono sotto una luce diversa, a cominciare dal dossier migranti, e da quando ci si rende conto che la propaganda sovranista e populista ha generato mostri nelle aspettative popolari. E da quando si è capito che i modelli dell’Est sono i principali nemici dell’interesse nazionale su cui si è fondata la mistica della destra italiana.
Allora sarebbe bene quantomeno prendere un po’ di coraggio nei confronti dei rematori contro l’Europa e metterli all’angolo. Ora che perdono quota in Spagna come in Polonia. È arrivato il momento di dire da che parte stare.
La campana suona pure per Meloni se vuole essere coerente con l’impegno di sostenere l’Ucraina. Deve cominciare a prendere le distanze da chi stringe la mano a un ricercato per crimini di guerra e si appresta a boicottare il doppio piano di aiuti a Kyjiv (sostegno militare e cinquanta miliardi per la ricostruzione dell’Ucraina). Sarà l’Ungheria a far mancare la necessaria unanimità. E potrebbe aggiungersi a questo boicottaggio anche la Slovacchia dopo la vittoria elettorale Robert Fico, un altro amico del Cremlino.
Meloni deve dire che è il momento di avere un’Europa più omogenea e veloce, che prende decisioni a maggioranza. Non può continuare a rimanerne impantanata in uno stato di ambiguità. Ora che ha perso l’alleato principale, la Polonia di Matuesz Morawiecki e Jarosław Kaczyński, non può puntare su Orbán che guarda verso Mosca. I voti ungheresi alle Europee non le serviranno per entrare nel futuro governo di Bruxelles. Anzi le saranno di impaccio. Non è più tempo di fare tante parti nella commedia europea dove si gioca il futuro del governo. Ha tanti problemi con la riforma del Patto di stabilità, con il debito pubblico che cresce, con Bankitalia che vede nubi nere all’orizzonte. La famiglia politica dei Conservatori rischia seriamente di arrivare stremata alla metà del voto. Non perda tempo con Orbán e Salvini.