Una ragazza legge un libro nella stazione della metropolitana di Teheran. La polizia morale la vede, non la lascia salire sul treno e l’arresta. Lei dice: «Finché pago le tasse in questo Paese ho il diritto di usufruire anche dei servizi pubblici». Ma alla polizia morale non interessa: la porta con la violenza in una stanza, le mette le manette e le chiede di tirare fuori la carta d’identità. Tutto questo capita mentre le stanno urlando contro le parole più volgari sulle donne della rivoluzione. Dopo averle fatto male alla mano, la ragazza viene accarezzata sulla guancia.
La storia è stata raccontata a Linkiesta da Rayhane Tabrizi, attivista e presidente dell’associazione Manaà. Ed è solo uno dei tanti episodi di violenza che succedono nell’Iran degli Ayatollah praticamente ogni giorno.
Nella Repubblica islamica la polizia morale è tornata a occupare le strade. Oggi una donna rischia di essere picchiata e violentata solo perché indossa male l’hijab. Non solo: lo stupro, come segnalato da Amnesty International, è usato proprio come arma per danneggiare gli oppositori del regime. E proprio mentre tutto il mondo parla della politica estera iraniana e dell’attacco sferrato sabato contro Israele, quello stesso giorno Teheran ha approvato una nuova legge contro le donne: il progetto Nour (“luce” in arabo) inasprisce le leggi per chi non indossa correttamente l’hijab.
La nuova norma è una risposta del regime alle critiche dei più fanatici fondamentalisti islamici, come spiega Tabrizi: «I fondamentalisti vogliono aumentare la repressione sulle donne perché dicono che mettono l’Islam in pericolo. Secondo loro, chi non condivide l’ideologia del regime degli Ayatollah è per forza contro l’Islam. Così si è creato questo conflitto interno e tanti di questi fondamentalisti mischiano il diritto della libertà con il diritto di portare il velo».
L’influenza degli estremisti islamici sul regime si era manifestato anche nell’attacco contro Israele: «Ogni dittatura – spiega a Linkiesta Pedram Entezar Ghofran, tra i fondatori dell’associazione DVL Italia – ha bisogno di un sostegno. E i sostenitori di Teheran stavano facendo pressione per le troppe brutte figure come la morte di Soleimani, di Zahedi e di altri generali. Ogni volta dicevano “risponderemo”, ma non l’avevano mai fatto. L’attacco di sabato sera era soprattutto un tentativo di mettere a tacere le critiche interne».
Se da un lato il regime vede indebolirsi, paradossalmente, il supporto di alcuni fondamentalisti, dall’altro il popolo da tempo non lo segue più: «Quello che è successo sabato è assolutamente un simbolo di debolezza – dice Ramtin Ghazavi, tenore iraniano al Teatro Alla Scala di Milano e membro dell’associazione Manaà – sia a livello di consenso popolare sia a livello internazionale». Gli ultimi dati dell’affluenze alle elezioni parlamentari sono stati tra i più bassi mai registrati: quarantuno per cento alle tornata elettorale di inizio marzo per l’Assemblea consultiva islamica (potere legislativo) e l’Assemblea degli esperti dell’orientamento (funzioni religiose e clericali). Si tratta di un calo di quasi venti punti rispetto alle elezioni del 2016 (sessanta per cento) e avvicina l’Iran a una pericolosa soglia: le ultime elezioni prima della rivoluzione del 1979 che cacciò l’ex scià di Persia Mohammad Reza Pahlavi avevano ottenuto un’affluenza inferiore al quaranta per cento.
Ad aggravare la situazione interna del regime degli Ayatollah è anche l’impoverimento della popolazione. Un dollaro americano è arrivato a valere seicento quarantasette mila rial. Nel 2022 valeva duecento venti mila e nel 1979 settanta. Inoltre, racconta Arash Azizi sul The Atlantic, i negozi sono presi d’assalto per procurarsi le scorte in vista di un’eventuale guerra.
Adesso sembra proprio che il Re sia nudo. Il regime degli Ayatollah sta mostrando davvero la sua faccia più repressiva e non riesce più a nascondersi, dice ancora Tabrizi: «Hanno perso il controllo e hanno visto che il popolo ha superato la fase della paura perché ha già visto il peggio: abbiamo avuto un anno con la statistica più elevata di impiccagioni e oltre ottocento ragazzi hanno perso occhi e organi. E non parliamo delle torture nelle carceri. Mi auguro che questo sia il segno che ci stiamo avvicinando alla fine di questo regime».
Adesso i cittadini iraniani sperano in una risposta di Israele: il governo di Benjamin Netanyahu non ha ancora deciso se e come risponderà all’attacco iraniano sul territorio dello Stato ebraico, ma sono tanti i persiani che aspettano quel momento per iniziare una nuova rivolta: «Migliaia di chiamate anonime arrivano sui media come Iran international o Bbc e parlano a favore di un attacco di Israele in Iran – spiega Ghazavi – Chiedono però di colpire i punti giusti e non il popolo iraniano. Inoltre si scusano con il popolo israeliano perché loro non hanno nulla contro di loro. Dicono che le azioni belliche sono fatte da un regime che è minoranza».
In Iran potrebbero presto ripartire le immense proteste di piazza come nel 2022, dopo l’uccisione della ventiduenne Mahsa Amini. Alcune etnie presenti sul territorio persiano si stanno già preparando come racconta Entezar Ghofran a Linkiesta: «Questa mattina abbiamo avuto una riunione con i curdi all’interno dell’’Iran. Loro si stanno organizzando perché se Israele dovesse attaccare, anche di bassa portata, l’idea di almeno una parte dei curdi e baluchi è quella di scendere in strada per una nuova protesta». La storia delle proteste in Iran è stata definita da Entezar Ghofran «una sinusoide», con alti e bassi a seconda dei momenti storici, e questo potrebbe essere uno dei momenti più alti per poter provare a rompere finalmente la teocrazia iraniana in piedi dal 1979.