Cos’è questo golpe?Il ruolo della giustizia negli anni di piombo tra sacrificio e corruzione

Gli anni Settanta in Italia segnano il periodo di più grande novità nel modo in cui i magistrati operano e vengono percepiti dalla caduta del Fascismo. Marcello Flores e Mimmo Franzinelli raccontano in “Conflitto tra poteri” (Il Saggiatore) il rapporto tra politica, mafia e giudici

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“Conflitto tra poteri. Magistratura, politica e processi nell’Italia repubblicana”, di Mimmo Franzinelli e Marcello Flores sarà presentato in anteprima al festival “è Storia” di Gorizia il
26 maggio, dalle ore 15.00 alle ore 16.00 presso Palazzo de Grazia a Gorizia, in via Oberdan 15. Conversano Mimmo Franzinelli, Marcello Flores e Alex Pessotto.

Il 24 agosto 1975, in un articolo dal titolo «Il processo» nella prima pagina del Corriere della Sera, Pier Paolo Pasolini enumerava l’elenco «morale» dei reati «commessi da coloro che hanno governato l’Italia negli ultimi trent’anni, e specie negli ultimi dieci; reati che dovrebbero trascinare almeno una dozzina di potenti democristiani sul banco degli imputati, in un regolare processo penale, simile, per la precisione, a quello celebrato contro Papadopulos e agli altri Colonnelli». Sulla stessa prima pagina del quotidiano milanese l’articolo in maggiore evidenza era quello intitolato «Condannati a morte i triumviri di Atene», che informava sulla decisione del tribunale speciale di Atene di condannare a morte Papadopulos, Makarezos e Pattakos, i tre principali protagonisti del colpo di Stato del 1967 in Grecia.

Le accuse di Pasolini riguardavano gli «intrallazzi» con i petrolieri, i banchieri e gli industriali, il «tradimento» in favore degli Stati Uniti, la «responsabilità nelle stragi di Milano, Brescia e Bologna (almeno in quanto colpevole incapacità di punirne gli esecutori)», la distruzione urbanistica e paesaggistica del paese, la condizione «paurosa» delle scuole e degli ospedali, la «stupidità delittuosa» della televisione, in una logica di «indegnità, disprezzo per i cittadini, manipolazione di denaro pubblico».

La morte violenta di cui sarebbe stato vittima lo scrittore e regista qualche mese dopo gli impedì di poter analizzare, nei dieci anni successivi, i reati, non soltanto morali, che sarebbero emersi a carico non unicamente dei politici democristiani ma delle istituzioni pubbliche nel loro complesso. È vero che Pasolini riteneva ormai conclusa e tramontata storicamente l’epoca del potere democristiano e invitava socialisti e comunisti a «spezzare tale continuità intentando un processo penale ad Andreotti e a Fanfani, a Gava e a Restivo», ma la conclusione del suo articolo, in cui chiamava a esprimersi Vittore Branca e Leo Valiani, Claudio Petruccioli e Italo Zanetti, Giorgio Bocca e Alberto Moravia, rifletteva la speranza in un processo concreto e reale.

Neppure la fantasia di Pasolini poteva immaginare che meno di due anni dopo, il 2 marzo 1977, Aldo Moro avrebbe gridato con forza in Parlamento: «La DC fa quadrato intorno ai propri uomini. Non ci lasceremo processare nelle piazze», nel tentativo di impedire alla Camera di votare la messa in stato d’accusa di due ex ministri della Difesa, Luigi Gui e Mario Tanassi, a proposito dello scandalo Lockheed, tentativo invece riuscito nei confronti dell’ex presidente del Consiglio Mariano Rumor.

La corruzione politica sembra aumentare, nel decennio di cui parliamo, come aumenta certamente la violenza pubblica, dei movimenti ribelli allo Stato e delle forze repressive dello Stato, connotando la seconda metà degli anni settanta come «anni di piombo», come recitava la traduzione italiana un po’ troppo accentuata del film di Margarethe von Trotta del 1981, Die bleierne Zeit. Gli anni di piombo fanno riferimento pressoché esclusivo al terrorismo rosso, che in effetti prevale in quel periodo, lasciando troppo sullo sfondo, però, lo stragismo neofascista che aveva improntato la violenza dei sei anni precedenti e che sarebbe tornato in forma eclatante – la strage politica più grave in Europa – con la bomba alla stazione di Bologna nell’agosto del 1980.

I governi italiani di questo decennio sono i due guidati da Moro nella VI legislatura, i tre con a capo Andreotti nella VII, i due di Cossiga, quello di Forlani, i due di Spadolini e quello di Fanfani nell’VIII legislatura, il primo governo Craxi nella IX, con una media di durata per ognuno inferiore all’anno. Le elezioni che hanno luogo in questo arco di tempo vedono la Democrazia cristiana passare dal 38,71 per cento del 1976 al 38,30 per cento del 1979 e al 32,93 per cento del 1983; il Partito comunista dal 34,37 per cento al 30,38 per cento e al 29,89 per cento; il Partito socialista dal 9,64 per cento al 9,81 per cento e all’11,44 per cento.

La spinta del PCI a raggiungere la DC, che sembrava inarrestabile a metà degli anni settanta, si arena negli anni della «solidarietà nazionale» perché, come scrisse a inizio ottobre del 1977 su La Repubblica Enzo Forcella, uno dei più acuti commentatori politici, il partito non suscitava più «né speranze né timori». La vita politica, che vede tornare il Partito comunista nell’area della maggioranza di governo (per la prima volta dopo il 1947), viene sconvolta dal rapimento e dall’uccisione di Aldo Moro da parte delle Brigate rosse, proprio mentre è in corso a Torino il processo contro i dirigenti dell’organizzazione terrorista.

La strage di Bologna del 2 agosto 1980 segna il culmine della violenza, riportando alla ribalta non soltanto le organizzazioni neofasciste che si erano macchiate di omicidi e violenze continue, ma i «depistaggi» da parte di uomini dei servizi segreti e degli organismi repressivi dello Stato e le collusioni con un mondo di affari, tentativi di golpe, legami con i settori più oltranzisti delle amministrazioni degli Stati Uniti che coinvolgono circoli sempre più ampi di persone e istituzioni. Quando i finanzieri inviati dai giudici milanesi Giuliano Turone e Gherardo Colombo scoprono il 17 marzo 1981 nella sede dell’azienda La Giole di Castiglion Fibocchi, vicino ad Arezzo, l’elenco dei membri della P2, la loggia segreta della massoneria del Grande Oriente d’Italia guidata da Licio Gelli, non sono in molti a rendersi conto, sul momento, della portata dirompente di quella scoperta; se non i vertici della Procura di Roma che avocano a sé le indagini e tutti coloro che, coinvolti, cercano di sviare o insabbiare l’inchiesta.

La magistratura, in questo decennio, è protagonista indiscussa della vita pubblica: i pool di magistrati che indagano sul terrorismo sulla mafia costituiscono una novità rilevante, come lo saranno le inchieste e i processi che si susseguono in questi anni a ritmo incessante. I magistrati che sono vittime del loro stesso lavoro, che sono messi a tacere venendo uccisi per interrompere lo scoperchiamento di verità sempre più precise e coerenti, capaci di portare nei processi a condanne certe e necessarie, sono moltissimi: Francesco Ferlaino nel 1975; Francesco Coco e Vittorio Occorsio nel 1976; Riccardo Palma, Girolamo Tartaglione e Fedele Calvosa nel 1978; Emilio Alessandrini e Cesare Terranova nel 1979; Nicola Giacumbi, Girolamo Minervini, Guido Galli, Gaetano Costa e Mario Amato nel 1980; Giangiacomo Ciaccio Montalto, Rocco Chinnici e Bruno Caccia nel 1983, senza ovviamente dimenticare quelli assassinati prima e dopo sia dalla mafia sia dal terrorismo nero e rosso.

A questo eroismo e sacrificio, tuttavia, fa riscontro il perdurare di comportamenti che gettano discredito sulla giustizia e sulla fiducia dei cittadini nei suoi confronti, dovuti a motivi diversi (arrivismo, paura, corruzione, incapacità, inadeguatezza, collusione, favoritismi) ma che costituiscono un’offesa e un oltraggio innanzitutto per chi ha pagato con la vita l’idea di servire lo stato con verità e onestà.

Le vittime di questo decennio, tuttavia, non si ritrovano solo tra i magistrati, anche se è la loro attività intensa su più fronti – il terrorismo, la P2, la mafia, la corruzione politica – a segnare un confronto nuovo, e dinamicamente sempre più conflittuale, con la politica e in particolar modo con alcuni suoi settori. Questo avviene per lo più da parte dei magistrati «servitori dello Stato», ma in alcuni casi anche da coloro che intendono invece servirsi dello Stato per i propri interessi e affari e colpiscono per questo figure ai vertici delle istituzioni pubbliche. Sono anni in cui la legislazione che riguarda la giustizia cambia e si modifica più volte, e in cui la dottrina e l’organizzazione dei giudici – quella dei loro uffici e quella della loro rappresentanza nel CSM – conosce tensioni ancora più forti di quelle che avevano attraversato il decennio precedente.

Tratto da “Conflitto tra poteri: Magistratura, politica e processi nell’Italia repubblicana(Il Saggiatore) di Marcello Flores e Mimmo Franzinelli, pp. 832, 36€

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