Le proteste davanti alla sede del Parlamento georgiano in Viale Rustaveli contro l’introduzione della legge sugli agenti stranieri fortemente ispirata a quella russa proseguono da quasi tre settimane, e non si sono interrotte neppure dopo che le forze dell’ordine che hanno usato lacrimogeni e cannoni ad acqua contro migliaia di manifestanti (e per questo, Ursula von der Leyen ha rimproverato il governo di Tbilisi, che sembra allontanarsi sempre di più dall’Europa), né per celebrare la Pasqua ortodossa. La popolazione non ha desistito, e ha continuato a protestare sotto la guida di diversi promotori, dai politici di opposizione alle Ong. E non solo: anche i più importanti club techno della capitale da giorni incitano i loro clienti a scendere in piazza per cercare di contrastare il disegno di legge. Così, le pagine social delle discoteche sacrificano lo spazio dedicato di solito alla promozione dei dj set per pubblicare appelli che spingano chi li segue sui social a manifestare.
Sulla pagina instagram del Bassiani, il corrispondente georgiano del Berghain tedesco, si legge: «La classe dirigente della Georgia da anni non si fa scrupoli a sacrificare la popolazione per mettere in atto politiche anti-sociali, che perpetrano un’oppressione economica e sociale in cui il profitto personale viene messo davanti al bene comune». E continua: «È responsabilità di ogni cittadino farsi sentire, scendere in piazza e combattere fino alla vittoria. Il Bassiani si unisce alla resistenza». E non è il solo: anche Khidi e Left Bank, due dei maggiori club della città, hanno pubblicato storie in cui condividevano lo stesso messaggio del Bassiani. Anche se per un osservatore esterno può sembrare inusuale, in Georgia il fatto che le discoteche prendano posizioni così esplicitamente politiche non è un fenomeno nuovo.
Il 12 maggio 2018, il Bassiani e un’altra discoteca techno, il Café Gallery, sono stati bersaglio di raid della polizia, che ha fatto irruzione nei locali armata di fucili, in risposta alle accuse – infondate – per cui cinque persone morte di overdose nelle settimane precedenti avrebbero acquistato droga nei due club. In realtà al momento dei raid i sospetti spacciatori erano già stati arrestati, il che aveva sollevato dubbi in merito all’effettiva utilità delle operazioni. È più realistico che la decisione di bersagliare i locali sia arrivata poiché sia Bassiani, sia Café Gallery venivano usati come location dove tenere eventi promossi dal White Noise Movement (Wnm), che dal 2015 si batte per rendere meno severe le pene dei reati legati alla droga.
«Non servivano ad andare contro lo spaccio, ma contro la nostra libertà», ha commentato il co-fondatore del Bassiani Zviad Gelbakhiani, arrestato durante i raid. «La techno, per la nostra generazione, è stata uno strumento per raggiungere la libertà di espressione», e ha aggiunto. «Chi vuole chiudere i nostri locali non vuole che i valori occidentali circolino nel Paese».
La risposta degli appassionati di techno non ha tardato ad arrivare: la notizia dei raid ha iniziato a spargersi immediatamente tra i giovani di Tbilisi, che, insieme ai Dj che il 12 maggio stavano suonando nelle discoteche prese di mira dalle forze dell’ordine, hanno organizzato un rave durato due giorni in Viale Rustaveli, proprio davanti al Parlamento, a cui hanno partecipato circa quindicimila manifestanti, che hanno ballato uniti sotto lo slogan «Balliamo insieme, lottiamo insieme».
Grazie alle proteste del 2018, il Bassiani ha potuto vantarsi di «aver reso sexy l’attivismo in Georgia», dato che la società civile ha trovato nella rave revolution di Rustaveli un punto di riferimento per le manifestazioni a favore della libertà dei cittadini georgiani tenutesi negli anni seguenti.
Le discoteche più amate dai ravers georgiani sono anche luoghi in cui la comunità queer è libera di mostrarsi senza temere ripercussioni. Il Paese è ancora considerato poco sicuro per le persone che fanno parte della comunità Lgbtq, come dimostra il nuovo disegno di legge che mira a vietare le operazioni per il cambio di genere, i matrimoni omosessuali e i gay pride. Bassiani, Khidi, Left Bank e molti altri locali di Tbilisi si sono fatti portavoce della comunità e, ancora una volta, hanno incitato la popolazione a protestare a Rustaveli, definendo la nuova proposta di legge «un chiaro esempio di omofobia istituzionale».
Quello della Georgia non è un caso isolato: sempre nel 2018, dopo sole due settimane dalle proteste a Tbilisi, a Berlino più di centosettanta club hanno organizzato un evento chiamato “Niente piste da ballo per i Nazisti” (Kein Dancefloor für Nazis) per contestare il partito di estrema destra Alternative für Deutschland (AfD), che aveva chiesto che il Berghain venisse chiuso. La richiesta aveva dato una ragione ai locali techno della città di unirsi per combattere i valori antidemocratici sostenuti da Afd: «Dobbiamo politicizzare la società», aveva detto una degli organizzatori della protesta, «i club berlinesi hanno una posizione di potere che è giusto usino. I nazisti rappresentano tutto quello che noi non siamo, e vogliamo assicurarci che non trovino posto nelle nostre strade».
I locali techno della capitale tedesca avevano organizzato anche altre iniziative contro AdF, come quella, nel 2016, di affiggere cartelli ai loro ingressi in cui scoraggiavano i sostenitori del partito a entrare. «Siamo spiacenti, AdF non è in lista», recitava uno dei cartelli. E ancora: «Balla libero dai pregiudizi». Il progetto era nato dopo che, nel 2015, Angela Merkel aveva accolto più di un milione di immigrati in Germania, decisione strumentalizzata dall’estrema destra per incitare all’odio razziale.
Una delle ragioni per cui i club sono così popolari a Berlino, al contrario, è che la diversità di ogni tipo è accettata e incoraggiata sin dagli anni Novanta, quando la città era ancora povera, e proprio grazie alla scena techno era riuscita ad arricchirsi, poiché i tanti locali avevano attirato investitori progressisti provenienti dalla Germania dell’Est che cercavano un luogo adatto ad aprire le loro attività.
Anche per questo motivo, a marzo di quest’anno, la scena techno berlinese è stata iscritta dal governo tedesco nel Registro nazionale dei patrimoni culturali immateriali. Un cambiamento che, in caso di sviluppi positivi, potrebbe permettere ai locali di ottenere fondi dallo Stato e ricevere tutele da possibili progetti di modifica dell’urbanistica, un punto focale soprattutto per la sopravvivenza dei club autentici, che ancora mantengono la stessa atmosfera degli anni Ottanta e che non si sono commercializzati.
La necessità di mantenere viva questa tipologia di locali è stata raccontata a Linkiesta da Marco Mancassola, autore del podcast Chora Media “The Rave Party”: «Ovunque il clubbing viene soffocato dalle speculazioni immobiliari che fanno estinguere gli spazi; e dallo strapotere della tecnologia che, in un certo senso, fa estinguere i corpi, la loro vera aggregazione, la possibilità di nuove comunità e nuovi esperimenti creativi». Di conseguenza, «In questo scenario, ballare sembra restare possibile solo in circuiti altamente commerciali, in festival costosi, soffocati da gente che si fa selfie e aggressivi apparati di sicurezza». E conclude: «Per questo, in città occidentali come Berlino, il clubbing più autentico assume invece toni di protesta: una battaglia per spazi liberi, democratici, e per preservare la possibilità di un altrove: spazi protetti dalle logiche estreme dello sfruttamento commerciale e del controllo sociale».
Lo scorso anno, a dimostrazione di quanto spiegato da Mancassola, la giunta comunale di Berlino ha promosso la costruzione di un nuovo tratto dell’autostrada A100, iniziativa che, se approvata, porterebbe alla demolizione di trenta locali. Così, il 2 settembre ventimila persone si sono riunite per contestare la decisione, dando il via anche a un festival culturale, “Spectacle on Highway”, di fianco all’autostrada in questione per mostrare il potenziale dei luoghi che andrebbero distrutti con l’espansione dell’infrastruttura.
Parte dei manifestanti che hanno partecipato all’iniziativa erano anche attivisti del clima che protestavano contro l’impatto ambientale che avrebbe la costruzione dell’autostrada. La salvaguardia del clima e la techno si sono incontrati di nuovo lo scorso anno durante le manifestazioni di Alternatiba Paris, in Francia.
Anche questo collettivo ha scelto di veicolare il proprio messaggio attraverso la danza, e la sua esponente più famosa era diventata la venticinquenne Mathilde Caillard, che ha spiegato a Le Monde: «Prendere parte a una protesta può fare paura», soprattutto se le immagini che passano in televisione sono quelle di attivisti che vengono picchiati o arrestati. Per Caillard quindin il ballo è un modo di avvicinare le persone all’attivismo politico, che diventa meno spaventoso. L’attivista poi aggiunge: «Il sistema contro cui lottiamo vuole farci sentire tristi e insignificanti» e quindi, «anche essere felici è un atto di resistenza».
In gran parte d’Europa i rave (almeno quelli in senso più ampio, e che quindi non si tengono necessariamente in luoghi occupati illegalmente) iniziano a essere de-stigmatizzati e diventano un luogo di inclusione dove diffondere messaggi di democrazia e uguaglianza, al punto che non è solo la popolazione civile a partecipare alle manifestazioni techno, ma anche gli stessi politici. Lo scorso anno, l’allora presidente Alain Berset ha preso parte (insieme ad altre novecentoventimila persone) alla Street Parade di Zurigo, il più grande festival techno al mondo, nato nel 1992 come atto politico per promuovere uguaglianza e libertà. Ma basta spostarsi di pochi chilometri e purtroppo l’aria in politica tira da tutt’altra parte.
In Italia il dibattito pubblico sui rave è fermo a un decreto del governo Meloni che li rende illegali e punisce chi vi prende parte prevedendo a sei anni di carcere e multe anche di diecimila euro. Decreto che peraltro era stato scritto in maniera talmente approssimativa da essere contestato anche tra i membri di Fratelli d’Italia, dal momento che la sua vaghezza poteva aprire a eventuali abusi di poter da parte dei pm.
La logica dietro alla stesura del decreto sta nel voler controllare le aggregazioni umane che sfuggono alle norme accettate tradizionalmente dalla società. Mancassola spiega che oggi il modello della società di controllo, in cui il sistema capitalista ci controlla, ma in modo liberale – e quindi lasciandoci almeno formalmente liberi – è ormai obsoleto. Il tipo di controllo a cui siamo sottoposti si fa di giorno in giorno più brutale: «Stiamo tornando a forme di società di disciplina», spiega l’autore.
«La società di disciplina è basata su uno sbarramento di espliciti divieti, precetti, repressione, stato di polizia. È la società dei regimi non liberali». E così, conclude Mancassola, «il diritto al piacere, l’edonismo democratico, lo spazio del ballo, la gioia e la libertà dei corpi, del sesso, delle donne, delle minoranze: tutte queste cose che a lungo abbiamo dato per scontate sono e saranno sempre più sotto attacco. Chi protesta ballando lo sente, e dichiara col proprio corpo che non ha intenzione di arrendersi».