È un trend che entra a gamba tesa e non lascia indifferenti: bar manager, enologi, produttori di vino, tutti si interrogano sul tema del low o zero alcohol. E così il vino dealcolato irrompe come la moda del momento, ma si lascia dietro ancora troppi dubbi irrisolti. Sulla conservabilità, sull’autenticità, sui costi e sull’occasione di consumo. E con lui cresce anche l’interesse per gli spirits: confusione o mercato polarizzato?
Forse tanti non l’hanno ancora assaggiato, qualcuno non l’ha mai visto, ma il vino senza alcohol esiste e sta portando sconquasso nel settore e una prima, grande causa sta nei limiti che questo – presunto – prodotto porta con sé. Presunto perché, trattandosi di una novità che ancora pochi riescono a inquadrare sul mercato, non esiste una legislazione che tutela produttori e consumatori sul tema del vino privo di alcol. Non esiste nemmeno un nome univoco, perché fino a che punto si può chiamare vino una bevanda che vino non è?
I limiti per i produttori, in questo senso, partono dalla gestione dei costi. Dealcolare richiede maggiore energia e costi elevati; la sostenibilità di un’intera filiera nella produzione di alcol che poi deve essere eliminato sembra ambigua solo a dirsi, e manca un sistema burocratico che possa uniformare i metodi e i parametri di produzione di un prodotto che, di fatto, dovrebbe essere inventato da zero e comunicato in modo strategico con un linguaggio tutto nuovo.
Ci sono anche i limiti dal lato del consumatore, che merita un’etichetta trasparente e un prodotto salubre e sicuro: un tema che apre un’altra perplessità sul vino zero alcol, ossia la sua conservabilità apparentemente ridotta, a meno di ricorrere a escamotage industriali che, però, devono essere studiati e autorizzati.
Eppure, se se ne parla è perché le richieste di alcolici a bassa o nulla gradazione stanno aumentando. Il vino senza alcol rimanda a movimenti morigerati e di stampo salutista come il dry january, l’impegno a non bere alcolici durante il primo mese dell’anno. Esiste anche il sober curious movement, il movimento di benessere sociale di chi aderisce a uno stile di vita senza alcol – o con consumo consapevole e limitato – per ragioni di salute mentale o fisica.
Il vino da sempre porta con sé una funzione sociale ed edonistica: è aggregazione, tradizione, cultura, e la tematica del ridotto contenuto alcolico può effettivamente significare una maggiore accessibilità per chi non vuole o non può consumare alcol. Insieme alla necessità, c’è anche una certa curiosità che definisce un mercato apparentemente divisivo, la fascinazione verso prodotti innovativi che vogliono ricreare un’esperienza di consumo così radicata e riconoscibile, come quella di un calice di vino.
In effetti il vino dealcolato, pur con i suoi interrogativi di naming e posizionamento al supermercato, nasce come vino e come tale risponde a un’esigenza estetica, che interessa sia il prodotto nel suo aspetto sia la sua occasione di consumo. Un brindisi, un aperitivo, una cerimonia: sono diversi i momenti in cui il vino unisce e ha qualcosa da raccontare, e spesso le alternative non sono molte, volendo fare a meno di altre bevande zuccherine. Un vino dealcolato potrebbe essere proposto in sostituzione a un drink analcolico, per esempio, per chi è affezionato a quell’aromaticità e corposità caratteristica di una bottiglia stappata.
Certo, le perplessità sul profilo aromatico di un vino zero alcol rimangono e anzi, sembrano impensierire chi col vino ci lavora e ci vive. Questo è uno dei quesiti di produzione e di autenticità da non sottovalutare. Ancora una volta, però, è l’inclusività a presentarsi come un valore sempre più fondamentale, quantomeno nello status di consumo che il vino rappresenta.
La questione del mercato polarizzato lascia un velo di perplessità se si pensa che, in parallelo all’interesse verso i prodotti alcohol free, anche gli spirits stanno crescendo. Ma fino a che punto vino e superalcolici si fanno concorrenza? Non si brinda con il brandy e non si fa aperitivo con la grappa – almeno di solito – ed è ragionevole pensare che il consumo di queste bevande sia destinato a occasioni diverse. Piuttosto, partecipazione e poliedricità sono due aspetti su cui il mercato sembra orientarsi, ed è bene tenerlo presente.
Sul fatto che il vino riuscirà a tenere il passo, i dubbi non sono molti. Sul vino dealcolato, c’è da capire se possa effettivamente entrare in gara, con quale nome, con quale etichetta, con quale target. Come detto, si tratta di un prodotto dall’interesse nuovo e dalle caratteristiche acerbe, ancora da definire, e la confusione che – giustamente – viaggia tra i produttori è la stessa che colpisce appassionati e curiosi. Ci possiamo aspettare delle innovazioni, nel settore enologico, forse il “vino zero” sarà la prossima bevanda con cui brindare o forse non esploderà mai, tutto dipende dal mercato che, in un modo o nell’altro, ne detterà il destino. E dalla chiarezza che ancora deve essere risolta attorno a questo nuovo trend.