Super partesL’ex spia alla guida dei Paesi Bassi

Il nuovo primo ministro, Dick Schoof, ex capo dell’intelligence e veterano dei ministeri (dagli Interni alla Giustizia), si definisce indipendente e assicura di voler essere «il premier di tutti gli olandesi». Ma molti lo considerano troppo prono al leader estremista Geert Wilders

AP/ LaPresse

Carattere schivo, maratoneta, servitore delle istituzioni. Queste sono alcune delle (poche) informazioni che sono al momento note su Dick Schoof, sconosciuto alla gran parte degli olandesi fino a poche settimane fa e ora nuovo primo ministro dei Paesi Bassi. A più di sette mesi dalle elezioni il Partito della Libertà, il Partito Popolare per la Libertà e la Democrazia, il Nuovo Contratto Sociale e il Movimento Contadino-Cittadino hanno raggiunto un accordo per un governo di coalizione guidato da Schoof (che ha già giurato nelle mani di re Guglielmo Alessandro) dove risultano però assenti i quattro leader, che hanno accettato di restare al loro posto nella Camera dei rappresentanti.

«Voglio essere il primo ministro di tutti gli olandesi», ha dichiarato Schoof a fine maggio, rispondendo a chi gli chiedeva se fosse lì per conto di Geert Wilders, leader del Partito della Libertà e azionista di maggioranza di questo esecutivo. Lo stesso primo ministro, però, ha anche sottolineato «come i miei piani per i Paesi Bassi sono quelli concordati dai leader del partito». Una volontà di eseguire gli ordini che mostra un evidente cambio di passo rispetto al passato: se fino a Mark Rutte (dal prossimo 2 ottobre nuovo segretario generale della Nato) l’ufficio del primo ministro dei Paesi Bassi esprimeva una posizione politica chiara ed evidente, adesso promette di essere incolore e naturalmente soggetto a tutte le possibili diatribe che potrebbero sorgere all’interno della maggioranza.

Chi è Dick Schoof
Proveniente da famiglia cattolica, padre separato di due figlie adottate in Cina, a colpire di Dick Schoof è soprattutto la carriera di funzionario pubblico, dove vanta una lunga esperienza in incarichi legati alla sicurezza nazionale, a cui si aggiunge la direzione del servizio immigrazione tra il 1999 e il 2003. Nel 2013 è stato nominato coordinatore nazionale per la sicurezza e l’antiterrorismo, un incarico a posteriori molto discusso: negli ultimi mesi è stato infatti ricordato come Schoof abbia permesso ai suoi dipendenti di monitorare potenziali terroristi sui social media attraverso profili falsi, nonostante i pareri contrari degli avvocati. Inoltre, ha anche supervisionato la risposta all’abbattimento del volo MH17 sull’Ucraina orientale da parte delle forze legate dalla Russia, in cui morirono centonovantasei cittadini olandesi.

In quest’occasione è emerso un altro aspetto controverso: nel 2015 ha chiesto all’Università di Twente di gestire in parallelo una ricerca indipendente sulla gestione dell’indagine da parte dei servizi di sicurezza. Secondo le e-mail rese pubbliche, Schoof ha cercato di interferire criticando gli autori del rapporto, definendoli «troppo pesanti e troppo negativi» nelle loro conclusioni e incoraggiandoli ad ammorbidire il linguaggio. Nel curriculum di Schoof è inoltre presente anche un anno di direzione del servizio di sicurezza interna prima del passaggio al ministero della giustizia, dove ha svolto il ruolo di segretario generale. In quest’ultima veste ha preso parte anche ai negoziati sulla riforma dell’asilo che hanno portato al crollo dell’ultimo governo Rutte a luglio 2023.

Gli incarichi svolti lo rendono quindi l’esecutore perfetto di due dei propositi presenti nel programma della coalizione di governo: l’attuazione della «politica di asilo più severa di sempre» e una lotta senza quartiere contro la criminalità organizzata. «Difficilmente troverete qualcuno più accuratamente esaminato del signor Schoof», ha dichiarato il leader del Nuovo Contratto Sociale Pieter Omtzigt. A destare quasi scalpore però sono i complimenti e le critiche, provenienti rispettivamente da sinistra e da destra: Schoof, infatti, è stato iscritto fino al 2021 al Partito Laburista di Frans Timmermans, oggi prima opposizione in Parlamento, che del primo ministro ne ha parlato come di «un funzionario pubblico molto leale e dedicato».

Dall’altro lato, invece, la scelta non è piaciuta a Forum per la Democrazia, partito più a destra del Partito per la Libertà e che conta tre deputati nella Camera dei rappresentanti, che ha sottolineato, per bocca del fondatore Thierry Baudet, come «I Paesi Bassi abbiano votato per Geert Wilders e adesso stiamo prendendo un ex funzionario del Partito laburista che spia le persone da anni». Una posizione condivisa per ragioni diverse anche da un partito opposto come Denk, che cura gli interessi delle minoranze turche e musulmane: «Il coordinamento nazionale antiterrorismo non vedeva i musulmani come un alleato, ma come un potenziale pericolo: Schoof sembra essere qualcuno che non prende sul serio le preoccupazioni dei musulmani olandesi», ha dichiarato il leader Stephan Van Baarle. Dichiarazioni che sono un segnale che l’opposizione non sarà tenera nei confronti del governo e del suo primo ministro.

Il piano di governo e i dissidi tra i ministri
Il lavoro che Schoof dovrà svolgere sarà tanto, a cominciare dall’unire le anime diverse del suo esecutivo. Geerten Boogaard, professore di giurisprudenza all’Università di Leida, ha evidenziato a Politico Europe come sia alto il rischio che «ogni attore politico faccia pressioni per i propri interessi e mantenga la propria base di potere, anziché lavorare per il successo collettivo». A dimostrarlo c’è la divisione «da Manuale Cencelli» dei posti, con le ministre del Movimento contadino-cittadino Mona Keijzer e Femke Wiersma, rispettivamente titolari del dicastero della Casa e dell’Agricoltura, che si occuperanno dei temi cari alla loro base, così come l’esponente del Partito della Libertà Marjolein Faber, a capo del ministero dell’Immigrazione e nota per alcune sue dichiarazioni sulla teoria della «Grande Sostituzione» (poi in parte ritrattate), farà con la sua.

Un governo così identitario rischia di non attirare grandi simpatie da parte degli enti locali, visto che alcuni politici hanno dichiarato che non avrebbero risposto alle richieste del governo. Come osserva sempre Boogaard a Politico Europe, «in un paese relativamente fortemente decentralizzato come i Paesi Bassi, la cooperazione tra il centro e i livelli locali di governo è sempre stata cruciale, ma quella colla tradizionale ora sembra non esserci più».

La sfida più impervia, però, potrebbe essere Bruxelles: l’esecutivo, a cominciare dal suo primo ministro, non ha esperienza a nessun livello con le istituzioni comunitarie (nemmeno il ministro degli Esteri, Caspar Veldkamp, che nel suo curriculum vanta solo esperienze da ambasciatore) e si trova a dover rispondere di alcuni desiderata della maggioranza particolarmente difficili, per non dire impossibili. La maggioranza vorrebbe infatti ottenere l’opt-out per le norme in materia di migrazione e ambiente e, inoltre, anche ridurre il contributo de L’Aja al bilancio comunitario, che oggi è di 1,6 miliardi di euro.

Obiettivi su cui Bruxelles potrebbe avere avanzare più di qualche rimostranza sul tema: l’intenzione di ottenere un opt-out è infatti emersa negli stessi giorni nei quali gli Stati membri hanno dato l’approvazione definitiva al Nuovo Patto sulle migrazioni e l’asilo, una revisione completa che prevede regole collettive per gestire l’arrivo degli immigrati. Inoltre, gli opt-out, cioè l’esclusione che un Paese richiede dal diritto comunitario in una determinata materia, sono una rarità: ad oggi sono soltanto cinque, di cui due per la Danimarca, dall’eurozona e dall’Area di libertà, sicurezza e giustizia (Afsj); due per l’Irlanda, sempre dall’Afs e dall’Area Schengen, a causa del confine comune con il Regno Unito; e uno per la Polonia, dalla Carta dei diritti fondamentali, ma soltanto nella sua applicazione pratica.

La possibilità di un opt-out quindi, considerando che quelli esistenti sono stati stipulati in occasione dell’adesione dei Paesi o in caso di revisione dei trattati, è estremamente difficile: «Non sarebbe coerente con la riforma se i Paesi Bassi potessero negoziare un opt-out, che è anche uno dei motivi principali per cui è impensabile che possa essere raggiunto. Credo fermamente che il nostro nuovo governo sappia e comprenda che non esiste una procedura per ottenere un opt-out facendone richiesta alla Commissione. Questa rimarrà una promessa vana per gli elettori di estrema destra nella coalizione», ha dichiarato Mark Klaassen, professore di diritto dell’immigrazione all’Università di Leida, a Euronews. Senza esperienza, malvisto in patria e in Europa: il nuovo governo dei Paesi Bassi non avrà vita facile.

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