Prima di salire sull’aereo per Washington, Giorgia Meloni ha chiamato, furiosa, Matteo Salvini. Voleva capire cosa avesse in testa il leghista, cosa significasse quella frase riportata nei retroscena di alcuni giornali. «Se Giorgia vota sì a Ursula von der Leyen, è l’inizio della sua fine», avrebbe detto il vicepremier durante una riunione di partito. «A che gioco stai giocando? Così mi regolo», è stata la sfuriata della premier. Il leader della Lega ha negato, mentendo, di avere detto quelle parole e si è affrettato a smentirle. Questo per dire come stanno le cose su un passaggio fondamentale della vita del governo e della battaglia che Meloni sta portando avanti a Bruxelles per le deleghe del commissario italiano.
Che sia Elly Schlein e l’opposizione a remare contro fa parte del gioco, che invece lo faccia l’alleato è considerato da Palazzo Chigi un vero “tradimento”. Il problema è che Salvini considera un “tradimento” votare per Ursula e fare quello che lui chiama inciucio. Senza tener conto che si tratta del ruolo istituzionale che avrà l’Italia in Europa e non del cortile italiano. Con i venti miliardi almeno da trovare per la prossima legge di bilancio e gli impegni che Meloni sta prendendo al vertice Nato.
È proprio qui che ha sbattuto tra i denti di Salvini la promessa fatta alla Nato e a Volodymyr Zelensky di mettere sul piatto aiuti per 1,7 miliardi, nuovi sistemi difesa aerea, e l’impegno nel tempo a portare al due per cento la spesa per l’Alleanza atlantica. Esattamente il contrario di quello che sostiene Salvini, per il quale più armi mandi, più al guerra continua. Ma il segretario della Lega (questa la sfida della premier) provi pure a fermare questa promessa, che verrà mantenuta compatibilmente con la situazione e le possibilità di spesa. E «con i tempi e le possibilità che abbiamo. Facciamo dei piccoli passi in avanti – ha detto Meloni – e penso che vada considerato anche l’impegno che si mette nell’Alleanza atlantica, il lavoro che si fa a 360 gradi perché non è solo un problema di soldi». Ma per gli investimenti aggiuntivi fino al due per cento (circa dieci miliardi) sarebbe necessaria una deroga al Patto di stabilità. Cosa che il governo italiano chiederà e questo richiede che i rapporti a Bruxelles siano buoni, che Meloni voti sì a von der Leyen. Cosa che molto probabilmente farà, anche per non dare la sensazione di esser sotto schiaffo dei Patrioti putiniani di Salvini.
Meloni ha messo in guardia l’alleato, gli ha detto di non confondere le vicende politiche dei Patrioti con gli “affari di Stato”. Lo aspetta al varco. Ma è con tutta evidenza che certi nodi nella maggioranza si stanno ingarbugliando. È in parte vero che gli altri governi europei non sono stabili (apparentemente) come quello italiano, e che sotto il cielo di Parigi la confusione è grande. Ma nessuno ha una componente che rema contro l’alleanza atlantica e gli interessi europei. A parte Viktor Orbán che sta proprio dall’altra parte della barricata e che Meloni vorrebbe ammansire. Prima o poi queste contraddizioni le scoppieranno tra le mani se rimane nel guado.