Ieri la divisione speciale dell’Alta Corte di Podgorica incaricata di giudicare il tentato golpe del 2016 in Montenegro ha stabilito il proscioglimento dei tredici imputati. Un processo per terrorismo si era già celebrato nel 2019 e aveva portato alla condanna dei cospiratori per un totale di settant’anni di carcere. Nel febbraio 2021, tuttavia, la sentenza era stata annullata dalla corte d’appello e il processo andava ripetuto. Nel nuovo giudizio la decisione è stata presa da un collegio di tre giudici, che hanno scelto di assolvere tutti i sospettati per insufficienza probatoria.
Tra gli imputati c’erano alcuni politici montenegrini, come Andrija Mandić e Milan Knežević, in precedenza condannati a cinque anni ciascuno, ma anche otto cittadini serbi e due ufficiali dell’intelligence militare russa, processati in absentia perché Mosca si è rifiutata di estradarli a Podgorica. Eduard Šišmakov e Vladimir Popov erano stati rispettivamente condannati a quindici e dodici anni per aver coordinato l’operazione che nel 2016 avrebbe dovuto rovesciare con la violenza il governo dell’allora premier Milo Đukanović e provocare un colpo di Stato per evitare l’ingresso del Montenegro nella Nato. Ora Andrija Mandić è presidente del parlamento e guida un partito ultranazionalista serbo, mentre Milan Knežević fa parte della maggioranza di governo con posizioni conservatrici.
Il piano eversivo avrebbe dovuto svilupparsi nel corso delle elezioni parlamentari del 16 ottobre 2016, quando i golpisti avrebbero dovuto prendere il parlamento e assassinare Đukanović. Ma nei giorni precedenti all’esecuzione iniziarono a filtrare informazioni dell’intelligence serba e montenegrina che mise in guardia i due governi, spingendo persino l’allora premier serbo Aleksandar Vučić ad allertare Podgorica sul rischio golpe. Clamorosamente il capo del consiglio di sicurezza russo, il falco Nikolai Patrushev, fece una visita urgente a Belgrado, nel tentativo di evitare una crisi diplomatica per la scoperta del piano, condotto sia da ufficiali del Gru che dell’Svr. Così le autorità del Montenegro poterono arrestare i sospetti e portarli alla prima sentenza, poi annullata.
Nelle motivazioni della nuova decisione, il giudice Zoran Radović ha affermato che la procura non ha dimostrato che i due politici montenegrini abbiano commesso i reati di terrorismo e sovversione dell’ordine costituzionale di cui erano accusati. Non ci sarebbero state neanche sufficienti prove dei loro incontri con gli agenti russi. Non è ancora chiaro se la procura ricorrerà contro la sentenza, ma oltre la dimensione giudiziaria c’è una delicata questione politica. Infatti, l’ex procuratore speciale a capo dell’accusa nel primo processo nel 2019, Milivoje Katnić, è stato arrestato lo scorso aprile con accuse di legami alla criminalità organizzata serba insieme al suo vice Saša Čađenović, già ai domiciliari dal 2022. Alla trama golpista si sovrappongono perciò lotte intestine e dinamiche di potere della politica montenegrina. Il nuovo procuratore Vladimir Novović ha mantenuto le stesse accuse nella ripetizione del processo, ma senza successo.
Secondo le motivazioni della corte, le armi e attrezzature preparate per il golpe, con il fine di occupare il parlamento, non sono state portate in Montenegro. Infatti, l’organizzazione logistica del piano era affidata ai complici serbi, tra cui un ex generale della gendarmeria di Belgrado, Bratislav Dikić. Per i giudici non è stata neanche provata l’intenzione di sparare sulla polizia montenegrina da parte di commando golpisti formati da infiltrati serbi, tra cui gli imputati Dragan Maksić, Srboljub Đorđević e Milan Dušić. Un’altra accusata, Branka Milić, nel 2018 è scappata dal processo rifugiandosi nell’ambasciata serba a Pogdorica.
Al di là della sentenza, restano abbondanti elementi e inchieste giornalistiche a suffragio di un piano russo per rovesciare le istituzioni montenegrine con la forza e impedire l’adesione del piccolo Paese balcanico all’Alleanza Atlantica, avvenuta poi nel giugno 2017. Tra i finanziatori di queste trame c’era l’oligarca russo e fanatico ortodosso Konstantin Malofeev, già noto all’intelligence occidentale per le sue attività di destabilizzazione in Europa. Nel 2016 Mosca voleva evitare che il Mare Adriatico diventasse di fatto un mare della Nato e anzi aspirava a stabilire una presenza navale nel porto di Antivari, con una richiesta già respinta nel 2013. Tale presenza avrebbe costituito una grave minaccia militare, oltretutto a pochi chilometri dalle coste italiane.
Per la preparazione del golpe, i servizi militari russi fecero allora leva sulle componenti filoserbe e antioccidentali nel Paese, ma anche a reti criminali, per sviluppare un sentimento avverso all’avvicinamento alla comunità euroatlantica e ai valori liberali. Senza dubbio il rischio che la Russia ricorra a piani sovversivi contro i paesi europei non è cessato, come dimostra il complotto sventato dal controspionaggio tedesco per assassinare il Ceo di Rheinmetall, l’azienda che produce le munizioni di artiglieria per la difesa ucraina.